Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “L’ultimo Natale sulla Terra” di Cristiano Bartelloni

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Era il giorno dell’ultimo Natale sulla Terra. La fine del mondo era ormai vicina e sparute e solitarie presenze umane aspettavano rassegnate l’apocalisse resistendo come certi alberi attaccati alle pareti delle montagne. Dislocate ai quattro angoli del pianeta, avevano superato indenni un’infinita serie di catastrofi umane e naturali che avevano sterminato i loro simili e infine diviso i reduci. La Terra assomigliava in quell’epoca a un mattino di gennaio, gelido e nebbioso, in quella luce azzurrognola dell’alba che conferisce a tutto un non so che di spettrale che quasi quasi uno si chiede (a quel punto in realtà nessuno più lo faceva) se tornerà mai a sorgere il sole.

Mev abitava in un compound che risaliva a due o tre guerre atomiche prima e passava le giornate ad attendere questa benedetta fine che era diventata una sorta di compagna, tanto che spesso si poteva sentirlo dire al niente: “Ehi, ma quando arrivi? Io sono stanco del tuo continuo ritardo”. E brontolando si grattava la barba bianca mentre sceglieva il proprio pasto tra i cibi in pillola lasciati lì da chissà quale esercito. Quasi non si ricordava come fosse venuto al mondo, ma aveva la memoria del Natale ed era intenzionato a festeggiarlo. Sentiva in cuor suo che quello sarebbe stato per davvero l’ultimo. Spinto da un cieco stimolo, si organizzò per assicurare una certa ufficialità alla ricorrenza, spingendosi addirittura a ripulire il tavolaccio su cui consumava le pillole. Ricontrollò un paio di volte il calendario, onde evitare di festeggiare un giorno prima o un giorno dopo: sarebbe stato un vero peccato essere l’ultimo uomo sulla terra a ricordarsi del Natale, facendolo nel giorno sbagliato. A parte le tipiche pillole, su cui non si poteva far molta cerimonia, Mev trasse da un cartoccio logoro color carta da zucchero, due biscotti duri duri e con un filino di muffa che li aveva iniziati ad attaccare. Ne assaggiò una puntina e comprese che seppur in condizioni pessime di conservazione, i biscotti avevano ancora un sapore dolce. Si trattenne dal mangiarli tutti perché poi, e sarebbe stata una disdetta, ne sarebbero mancati per i suoi ospiti. Già, gli ospiti. Si potrebbe obiettare che logistica e numeri non fossero dalla parte di Mev: il primo essere umano era probabilmente a seimila chilometri di distanza e anche potendo contare su di un formidabile sistema di trasporto, il principale limite era che nessuno dei due sapeva dell’esistenza dell’altro. Inoltre sarebbe stato inelegante presentarsi in un’occasione tanto intima senza avere neppure un filo di confidenza. Nel muro, tra i buchi delle schegge dei mortai, viveva da qualche tempo un piccolo ragno con sette gambe: una maestosa ragnatela celava l’interno del buco da sguardi indiscreti. Mev spezzettò un pezzo di biscotto, facendone farina. Poi come una nevicata, buttò le briciole sulla ragnatela. Anche qui ci sarebbe da discutere sulla dieta del ragno, ma diciamocelo chiaramente, non era il tempo adatto per questi problemi. Il vecchio si avvicinò per vedere meglio se il suo ospite avesse gradito e indovinò tra i tanti occhi dell’aracnide un po’ di affetto. Era vero, non era vero, ma chi lo poteva giudicare? Sarebbe stato un racconto speciale a poterlo condividere con qualcuno.

Il vento fischiava tra i palazzi diroccati e le statue crollate di vecchi dittatori. Mev, con gli occhi socchiusi e i piedi incrociati sul tavolo, ascoltava quella musica e ne seguiva l’andamento. Le note alte delle raffiche si alternavano ai larghi espressivi dei salti di vento che rivelavano in lontananza altri spazi, altre gole. In quel soffio immaginava antiche melodie che aveva sentito da bambino, stretto a un petto di cui non ricordava più il volto. Il filo spinato batteva sui vetri blindati e suonava come l’eco di campanelle lontane. Pregava con parole tutte sue Mev, chiedendo l’arrivo della fine in quel momento perfetto. Dai sussurri, scivolò prima nel sonno e poi nel sogno. E sognava prati e acqua incontaminata, disciolta in stato liquido e non quella incrostata in neve ingrigita dai fallout. E sognava il sole. Giallo. Non quel disco color avorio che ogni tanto sembrava apparire dietro la spessa cortina di nubi. Non aveva mai osservato niente di tutto questo, ma ne aveva sentito parlare e aveva visto delle vecchie foto d’epoca, prima che la rete internet venisse cancellata definitivamente e con essa tutti i ricordi dell’umanità. Si svegliò di soprassalto e si guardò intorno spaesato quasi che quel sogno fosse stata la realtà e la realtà solo un incubo passeggero. L’odore putrido di umidità e cemento marcio lo riportarono a quel pensiero: “Vieni a me o fine, arrenditi!”. Ma anche a Natale, Mev non ricevette nessun regalo e rimase ancora molto tempo ad attendere la morte senza che questa gli usasse la cortesia di arrivare in un giorno speciale.

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