Premio Racconti nella Rete 2024 “Gregorio” di Massimo Ubertone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024Svegliandosi dopo una notte piuttosto agitata Gregorio si accorse che aveva dormito sopra il lenzuolo.
Strano, pensò, ricordava che per addormentarsi se l’era tirato fin sopra il naso, come ogni sera.
Dora si era già alzata e aveva aperto le persiane.
Allungò la mano e cercò a tentoni l’orologio, senza trovarlo. Si girò: l’orologio era lì, sul comodino, proprio dove lo stava cercando. Le cifre luminose sul display indicavano le sette e dodici. Fece per prenderlo una seconda volta e vide una cosa stranissima: le punte delle sue dita e le unghie penetravano nell’orologio come se fosse fatto di acqua e lo attraversavano senza riuscire a trattenerlo.
«Alzati, Gregorio, che è tardi. Il caffè diventa freddo!»
Era Dora: lo stava chiamando dalla cucina.
«Un momento, arrivo!» gridò.
Doveva prima risolvere il mistero dell’orologio liquido.
Si mise seduto sul letto per infilarsi le ciabatte, ma anche quelle avevano qualche problema: le dita dei piedi sbucavano dalle punte. O le sue ciabatte erano tutte e due sfondate oppure anche loro erano diventate liquide. Ma erano nuove, gliele aveva regalate Dora per il suo compleanno. Provò a muovere i piedi e vide che riusciva a farli uscire dalle ciabatte e a farli rientrare liberamente anche dai lati. Sembravano due ciabatte fantasma.
Fu allora che gli venne un sospetto. Spinse la mano sulla testiera del letto e ci affondò dentro fino al gomito. Non erano le ciabatte, e nemmeno l’orologio: era lui il fantasma.
Calma, pensò, ragioniamo. Non credeva alle magie, agli spettri e a tutte le scemenze sul paranormale. Aveva una formazione scientifica: era anche abbonato a Focus. Così sul momento, però, non ricordava niente, dalle sue letture, che potesse spiegare quel fenomeno. Del resto, lui era geometra, non uno studioso, tanto per dire, di meccanica quantistica. Pare che ci siano un sacco di cose strane che si spiegano con la meccanica quantistica, a capirci qualcosa.
Sì, ma anche senza essere grandi scienziati una cosa si poteva capire: se di recente in base a qualche fenomeno quantistico altre persone prima di lui si fossero trasformate in fantasmi di sicuro ne avrebbero parlato sui giornali e alla televisione.
E se durante la notte fossi morto? pensò. No, in quel caso ci dovrebbe essere il mio cadavere e tutto un viavai di medici, preti e addetti alle pompe funebri. E mia moglie, auspicabilmente, sarebbe qui a piangere, non mi starebbe chiamando dalla cucina per la colazione.
Dunque non sono morto. Meno male. È già qualcosa.
Vediamola in positivo: forse è un disturbo passeggero, e forse non è neanche così raro. Uno si sveglia la mattina che è un fantasma, poi in pochi minuti torna come prima. Se non ne parla con nessuno, magari perché se ne vergogna, nessun giornalista e nessuno scienziato può venirlo a sapere.
«Gregorio, sbrigati!» urlò Dora.
«Sì, arrivo, ho detto!»
Chissà se però lei poteva sentirlo.
Per vedere se c’erano miglioramenti provò a spingere la mano contro il muro: le dita ci entrarono dentro come se fosse di burro.
Si alzò in piedi e si guardò allo specchio: non si vedeva trasparente, nebuloso o qualcosa di simile, aveva il suo aspetto normale. Non sembrava un fantasma, insomma. Bene: doveva solo fare un po’ di attenzione e forse Dora non si sarebbe accorta di niente.
Scese le scale, titubante.
«Oh, era ora!» fece lei. Riusciva a vederlo. Anche questa sembrava una buona notizia.
Si sedette al suo solito posto e senza farsi notare provò a sollevare la tazzina. Niente da fare.
«Non lo bevi il caffè?»
«No, non ne ho voglia».
«Ah, no? Allora sbrigati e vatti a vestire che tra dieci minuti abbiamo l’autobus».
«No, mi sa che non vado a lavorare, questa mattina».
«Ma che cos’hai? Hai una faccia! Non è che ti sei preso l’influenza? Fammi sentire la fronte».
Lui tirò la testa indietro.
«Non toccarmi, per favore».
«Cosa c’è? È per la telefonata di ieri sera? Guarda che era solo una cosa di lavoro. Siamo in stagione e Raoul vuole che tenga sempre il telefono acceso, anche la sera tardi».
Raoul era il suo capo, che in effetti la sera prima aveva chiamato Dora poco prima di mezzanotte. E quella di Dora era la classica spiegazione non richiesta.
Raoul. Un nome del cavolo, comunque.
«E chi ti ha detto niente di Raoul?»
«No, è che non mi va giù quando fai il geloso per niente».
«Non faccio il geloso, non sono arrabbiato. Solo che oggi non sono molto in forma».
Lei si era già infilata il soprabito. Aveva in mano la sua tazza sporca e la scatola dei biscotti.
«Vabbè, è tardi, aiutami almeno a sbrigare qui, che devo scappare».
Lui guardò la caffettiera, alzò la mano ma non si mosse.
«Dai, Gregorio, vedi di fartela passare questa luna! Ci vediamo stasera. Ciao».
Si avvicinò per dargli il solito bacetto ma lui scostò la testa. Dora si raddrizzò di scatto e si mise la borsa a tracolla.
«Stronzo!»
Infilò il corridoio.
«Rifai il letto, almeno, visto che resti a casa!» Poi uscì sbattendo la porta.
Gregorio restò a gironzolare per casa tutta la mattina. La situazione non dava segni di miglioramento e lui non sapeva cosa fare. Non poteva telefonare in ufficio per avvertire della sua assenza, non poteva prendere in mano il libro che aveva iniziato o accendere la televisione. Non poteva nemmeno bere un bicchier d’acqua. Se anche ci fosse riuscito, del resto, l’acqua sarebbe finita tutta sul pavimento.
Lui e Dora avevano un accordo: il primo ad arrivare a casa dopo il lavoro doveva apparecchiare e occuparsi del pranzo. Al suo rientro quel giorno Dora trovò la cucina in disordine con la caffettiera e la tazzina col caffè freddo ancora sul il tavolo, per non parlare del letto ancora da rifare, e si irritò non poco. Volarono delle parole grosse. Gregorio, non riuscendo a escogitare nessuna scusa plausibile, passò al contrattacco. Le disse che era stufo di fare il suo servo, che era lei quella che in casa non faceva mai niente e si era anche permessa di dargli dello stronzo. Dora rispose che aveva provato tre volte a chiamarlo al telefono, quella mattina, per chiedergli scusa, ma lui non aveva mai risposto e allora voleva dire che non si meritava nessuna scusa perché stronzo era proprio la parola giusta per definirlo. Lui ribatté che la stronza era lei, ma che lei, in più, era anche una puttana. A questo punto Dora fece partire uno schiaffo che si stampò sulla faccia di Gregorio con un bello sciaff! sonoro.
Fu in quel momento che Gregorio, con la guancia in fiamme e il cuore pieno di gioia, si rese conto di essere guarito.
Nei giorni seguenti la sua mente scientifica lo portò a concludere che era stato vittima di un fenomeno ancora sconosciuto ma assimilabile a una sorta di crisi isterica, quelle che nei film si risolvono con qualche schiaffone ben assestato.
Serve un aggiornamento per sapere come poi sono andate le cose? Eccolo: la crisi fantasmatica di Gregorio non si è più ripresentata e Dora non ne ha mai saputo niente. Lei e Gregorio si sono lasciati. La separazione consensuale è stata omologata due anni fa e dopo qualche mese Dora è andata a vivere con Raoul.
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Certe volte serve una crisi per capire come stanno le cose. Kafkiano e sempre gradevole e fluida la scrittura. Complimenti ancora.
Grazie Cristina. Vedo che hai capito perchè il protagonista si chiama Gregorio. Vediamo qunto sei brava: e Dora?
una piacevole lettura tra realtà e fantasia perché così è la vita che sorprende non sai mai come va a finire.
Non credo di essere così brava… come Dora al momento mi viene in mente solo la moglie di David Copperfield, ma non trovo grandi analogie con il tuo personaggio, a parte il fatto di essere moglie del protagonista e donna un tantino superficiale.
Cara Cristina, questa era difficile: Dora è stata l’ultima compagna di Kafka
Pensavo ti riferissi ad un personaggio letterario, non reale. Comunque non lo sapevo o ricordavo.
Mi piace come scrivi, in bocca al lupo per i tuoi racconti.
Ciao Cristina,
anche il tuo racconto mi è piaciuto molto. Sempre di fantasmi si tratta, anche se la tua storia è decisamente più inquietante.
A proposito, lo sai che a casa mia abita, da circa due secoli, il fantasma di una suora? Ecco un estratto dal sito “Monster Movie Italia” in cui se ne parla:
“Si narra che un palazzo del centro storico di Rovigo sia infestato dai fantasmi, che appaiono di tanto in tanto a coloro che transitano nelle vicinanze. I testimoni parlano del volto di una monaca che appare da una finestrella. La faccia è nitida e visibile da grandi distanze. Secondo le dicerie, la suora si fece rinchiudere in una stanza di quell’edificio per lasciarsi morire.”
La presenza della suora (non del suo fantasma) è storicamente documentata. Si chiamava Maria Colomba Rosada e nella sua cella conserviamo il suo ritratto.
Anche il villino di mia nonna, qui a Roma nel quartiere Trieste, era (o forse è ancora) infestato da sinistre presenze con le quali l’eccentrica famiglia della madre di mio padre ha “convissuto” per decenni.
Qualcosa ci accomuna…
Ciao e a presto.