Premio Racconti nella Rete 2024 “L’alieno” di Francesca Emanuelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024La pioggia si è fermata, non cade più, cristallizzata è rimasta lì, sospesa, come in attesa che qualcuno le dica cosa fare.
Tutto è immobile intorno e dentro me, in cielo una coltre di nuvole densa e grigia è ferma ad osservare.
Sono circondato da una vegetazione sconosciuta, piccole piante con delle foglie lunghe di un verde scuro intenso, carnose e affusolate si muovono lentamente anche se non c’è traccia di vento, mi inquietano ma le ignoro.
E’ quasi notte ma sembra giorno, non ci sono fari sull’astronave ma una luce bianca circonda ogni cosa, anche me. Si appoggia a terra con delicatezza, i fili d’erba si distendono uno sull’altro con l’eleganza di un domino aprendosi per accogliere gli alieni. Nell’acciaio lucido e compatto si apre una fessura che diventa sempre più grande, non vedo nulla all’interno, solo nero.
Sono curioso e sereno, non ci penso affatto a scappare.
Dal buco delle piccole sagome gialle, che sembrano fagioli, cominciano ad uscire in ordine sparso come formiche da un formicaio. Sono buffe e devono essere morbide, penso di toccarle e mi sembra di sentire le mie dita affondare nel freddo, come nel gelato. Si avvicinano, una di loro viene verso di me, forse mi ha visto.
I contorni si dissolvono intorno alla sagoma dell’alieno, le forme perdono consistenza, sembra si stiano sciogliendo come se qualcuno le avesse dipinte con colori troppo fluidi che escono dal pennello e scendono verso il basso sfigurando ogni dettaglio, proprio come quando ero all’asilo e la maestra ci insegnava a dipingere su dei fogli attaccati alla parete ed i miei disegni erano sempre sgocciolanti.
L’aria diventa densa, mi sembra di essere avvolto dalla panna montata tanto è fitta, mi viene da toccarla ma le mie mani l’attraversano senza avvertire nulla.
Ora distinguo solo il fagiolo fermo di fronte a me. Non ha un volto definito ma, dal tremolare di un’escrescenza che somiglia ad un labbro, riconosco mio padre. La sua pelle è ricoperta da una fitta peluria compatta che mi fa pensare al velluto, a quello usato per tappezzare sedie e divani ma anche a quelle isole di capelli sperdute sul cranio quasi calvo di papà. Respiro il suo odore, è lo stesso che da bambino sentivo annusandogli il braccio, inconfondibile, sa di tabacco, quello che si usa per fumare la pipa.
L’alieno sembra irrequieto, si agita, si protende verso di me senza toccarmi, sembra infastidito dalla mia immobilità, come mio padre quando non reagisco alle sue provocazioni. Si muove senza meta, ondeggia, si incurva e si distende di nuovo, si gonfia, sembra un rospo, riprende la forma del fagiolo, saltella nervoso ma non vedo le gambe, rimbalza su se stesso come una palla e poi ondeggia di nuovo. Non distinguo gli occhi, sembra guardare nella mia direzione ma la sua attenzione è rivolta solo ai suoi gesti concitati. Si contrae e si distende, il movimento è ritmato, sembra guidato da una musica silenziosa che solo lui può udire. Non so cosa vuole da me.
L’aria è troppo densa, non riesce più a fluire nelle mie narici e il mio respiro diventa corto e affannato.
Il fagiolo è buffo e goffo ma ho paura. Non mi muovo, non ci riesco, sono incollato al terreno schiacciato da una pressione che mi spinge e comprime anche le tempie e il torace, sento la gola gonfiarsi da dentro. Un suono simile al fragore di un tuono entra nelle mie orecchie ed esplode nella mia testa, credo venga dal fagiolo ma è impossibile capire da dove sia uscito, non vedo una bocca ne fessura alcuna e lui è troppo piccolo per avere una voce così potente. Vuole dirmi qualcosa, è minaccioso proprio come papà quando mi urla addosso. Sento la paura crescere in me, adesso voglio muovermi, fuggire, ma le mie membra immobili non rispondono alla mia volontà. Vedo la furia crescere in lui.
Del fumo esce da due fori che si sono aperti ai lati della sua figura, sembra un drago. Delle protuberanze iniziano a sporgere dalla sagoma gialla, crescono, si allungano velocemente e si protraggono verso di me, ora somiglia ad una piovra, contorcendosi si avvicinano, mi hanno quasi raggiunto, si attorcigliano come dei rami di edera al mio collo, lo circondano. Forse ha capito che voglio scappare.
Apro la bocca per urlare ma nessun suono esce dalle mie viscere, ci provo ancora ma la mia lingua inizia a crescere e a gonfiarsi come una spugna di mare buttata nell’acqua, si incolla al palato, non ha più spazio, scavalca i denti ed inizia ad uscire. Non respiro, sto soffocando. Non posso fare niente, solo aspettare che mi uccida. Perché non stringe più forte? Ormai sono completamente avvolto da quei tentacoli, mi può sbriciolare e cancellarmi in pochi istanti.
L’orizzonte si è dissolto, intorno a noi solo nebbia, o panna, non lo so. Sono stanco, non voglio lottare e poi chi lo sa come ci si può difendere da un alieno o da un padre infuriato? Forse è arrabbiato perché non lo capisco, ma chi li capisce quei suoni? Ero solo curioso di conoscerlo, mi sembrava affascinante ma adesso mi sono stancato.
Nonostante la mia lingua debordante sia diventata enorme, un soffio simile ad un sospiro di insofferenza, si fa strada nel poco spazio che resta nella mia bocca ed esce finendo dritto in faccia al fagiolo. Senza occhi mi guarda, adesso quello sguardo lo sento dritto addosso, mi batte sulla pelle.
E’ sorpreso, turbato, forse confuso, devo aver deluso le sue aspettative. Non ho reagito come sperava, non ho lottato, non può infierire. Langue e si contorce, i tentacoli mollano la presa, scivolano lungo il mio corpo, inermi, si ritraggono. Mi appare patetico, non vedo lacrime ma giurerei che sta piangendo, la sua arroganza è crollata sfracellandosi sulle pietre della mia immobilità, smarrita da un debole soffio di indifferenza. Se fosse un cane avrebbe la coda miseramente infilata tra le zampe.
Un generoso vento alleato arriva in mio sostegno, inaspettato si solleva e rompe quell’atmosfera immobile spazzando via il fagiolo. Lo spinge nel buco nero, la fessura si chiude e l’astronave si dilegua in pochi istanti. La pioggia si scioglie e ricomincia a cadere, le nuvole sono leggere e si muovono lentamente, l’aria non somiglia più alla panna montata, le foglie verdi lunghe e carnose sono sparite e al loro posto è tornata la mia siepe di alloro, non sono più incollato al terreno, mi muovo, la mia lingua si stacca dal palato e ricomincio a respirare.