Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “Conto alla rovescia” di Aldo De Michelis

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

Immobile.

Il cervello perennemente in movimento vorticoso ma senza la minima possibilità di far muovere un muscolo.

Quanti impulsi partivano dalla sua testa per raggiungere arti che si rifiutavano di eseguire gli ordini.

Ricordava perfettamente il formicolio al mignolo.

Quanto ci aveva scherzato su.

Me lo taglieranno, diceva quando ancora le labbra riuscivano ad aprirsi e dalla sua bocca potevano uscire parole.

Era stato il primo sintomo.

Lo aveva ignorato.

Non sarebbe servito a nulla darci maggiore peso.

La malattia che lo aveva ormai annientato era irreversibile e inarrestabile.

Una lenta –ma non troppo- progressiva paralisi di tutti i muscoli.

L’unica parte immune, lo malediceva tutti i giorni, il cervello.

Quando la sua mente non era ottenebrata dall’odio, venivano a galla ricordi del passato.

Quante volte aveva detto “piuttosto che rincoglionito meglio la morte”. Innumerevoli volte. Perchè non ponevano fine alle sue sofferenze e alle sue umiliazioni?

Della sua vecchia squadra era stato il terzo ad ammalarsi.

Che squadra gloriosa!

Sedici anni prima si erano classificati terzi nel campionato di Prima categoria.

Era stato l’anno in cui era comparso tra i dirigenti “U megu”.

Un giovane medico che riforniva di integratori.

Associati ad un allenamento molto intenso aveva contribuito a fare della squadretta una macchina da risultati.

Terzi in classifica dopo una cavalcata esaltante.

Quanto era stato bello!

Vincere. Dopo anni di campionati senza infamia ne’ lode, finalmente, qualche soddisfazione.

Ci sentivamo campioni di serie A.

Nessuno poteva immaginare che anni dopo avremmo pagato a caro prezzo quelle vittorie.

Ma cosa stava succedendo? Lo stavano spostando.

Come un oggetto, come una pianta.

Con il sorriso ipocrita di chi deve fingersi gentile, lo stavano spostando verso la finestra.

“Lo metta qui, così prende un po’ di aria” disse sua moglie.

Proprio come una pianta – pensò tra se’.  Quando pioveva spostava fuori le piante a bagnarsi.

Ora la pianta era lui!

Era davanti alla finestra del salone e poteva godere della vista del mare, inalare aria fresca.

Poteva scorgere ragazzi che correvano in riva al mare. Quante volte lo aveva fatto.

Gli allenamenti sulla sabbia. Che bella fatica! Il giorno dopo le gambe erano pesanti, si faceva fatica ad alzarle.

Gli scatti e gli allunghi. Gli scarti per evitare le onde…..

Fatica, sudore, sofferenza che faceva bene.

Maledette immobili gambe.

Quanto avrebbe pagato ora per poter anche solo camminare in riva al mare, godere del movimento, della libertà!

Quanto erano sembrate scontate queste cose: camminare, correre, parlare, prendere un oggetto……..

Non si trattava di sogni, erano la normalità.

E non si apprezzavano.

E ora?

Quando ancora poteva parlare, se pur a fatica, aveva lucidamente chiesto alla moglie di aiutarlo a morire.

Lo aveva fatto coscientemente.

Sapeva di aver fatto una richiesta difficile da esaudire.

Avrebbe anche accettato di morire per mano di un estraneo.

Non era riuscito a convincerla.

Speranza nei miracoli?

Condizionamenti religiosi?

Paura della morte?

Timore del codice penale?

Non sapeva esattamente cosa impedisse alla compagna di tanti anni ad esaudire il suo desiderio. Sapeva solo che quando fece la richiesta aveva già bisogno di qualcuno per morire.

Quando ormai la malattia avanzava inesorabile aveva tentato con tutte le sue forze ad opporvisi.

Con ridicoli tentativi di sua invenzione.

Affidandosi alle cure mediche, probabilmente inventate da chi a suo tempo gli aveva somministrato integratori “innocui”.

E poi era passato alle preghiere.

Le stesse preghiere che usava da bambino: se non mi fai succedere questo ti prometto che mi comporterò bene per sempre.

Se mi fai guarire sarò sempre buono.

Forse dio davvero non esisteva o forse era troppo impegnato in cose più importanti, ma non otteneva risultati da bambino e non ne aveva ottenuti neppure in questa occasione.

Era lì, un pezzo di carne immobile. In faccia stampata una smorfia che sembrava un sorriso. Un sorriso per cosa? Cosa c’era da sorridere?

No, era la fissità della malattia e, ironia della vita, lo faceva assomigliare ad un soddisfatto signore adagiato su una comoda poltrona da relax.

Il cervello. Quello non si atrofizzava.

Gli permetteva di vedere e capire mentre si occupavano di lui. Per tutto.

La mente lo riportò indietro nel tempo.

Erano momenti di raro benessere.

Forse era merito dei medicinali che gli somministravano, forse della fiammella della vita che ancora ardeva dentro di se’.

Era sdraiato sul tappeto e giocava a fare l’aereo al primo dei suoi figli.

Valeva la pena di essere nato anche solo per quel singolo momento.

Lo stupore, la gioia e la semplicità di un gioco.

Stupore e gioia di entrambi.

Erano scoperte di vita per tutti e due; era la vita.

Si sentì piangere, ma solo dentro al cuore. Il suo viso, lo sapeva, era impassibile, anzi, sorridente.

Chi gli passava vicino, sempre più raramente ormai, gli sorrideva. A volte gli diceva “ti trovo bene oggi”.

Sapeva che voleva essere una frase consolatoria, ma odiava profondamente quei momenti.

Ora era sulla neve. Stava imparando a sciare. Era stato diversi anni prima.

Una vacanza tutti assieme, prima che i ragazzi diventassero troppo grandi per potersi sentire liberi di divertirsi con i propri genitori.

Era stata una settimana fantastica.

Liberi di essere liberi insieme.

Erano state risate, cadute, fatiche.

Era stata vita!

Ma era stata vita anche il seguito.

Le difficoltà della scuola, i cambiamenti dell’ adolescenza, il diventare grandi e, momentaneamente, l’allontanarsi.

Erano passaggi dolorosi ma obbligati.

Sapeva che, un giorno, le distanze si sarebbero nuovamente ridotte.

La quotidiana visita del medico lo riportò alla realtà.

Una visita inutile.

Era come un notaio, prendeva atto e certificava il decorso della malattia.

Condizioni stazionarie.

Gli diede una pacca sulla spalla che non poteva percepire ma solo immaginare.

Credeva di capire lo stato d’animo del medico: abituato a sentirsi una sorta di dio, in casi come il suo, era un comunissimo mortale in cui familiari e malati riponevano speranze.

E lui sapeva di essere completamente impotente.

Illudeva e si illudeva di essere qualcuno dispensando patetici antidolorifici.

Probabilmente sospettava che l’unico vero antidolorifico sarebbe stata un’iniezione di veleno.

Ma non poteva dirlo.

Ne’ farlo.

L’ago della siringa entrò nel tubicino della alimentazione forzata e, lo sapeva, a breve si sarebbe pesantemente addormentato.

Cercava sempre di opporsi a quel sonno malsano.

Contò mentalmente: 10….. 9…… 8….. 7…… 6…… 5….. 4…..

Si alzò dalla sua comoda poltrona.

Senza alcuna fatica si trovò in strada.

Camminava tra la gente, ma la gente che incontrava non poteva vederlo.

Era come trasparente.

Dove si trovava?

Era la piazza della sua città.

Erano in tanti, quasi tutti visi familiari. Cosa era successo?

Parlavano tra di loro a bassa voce. Sentiva tutte le voci insieme, un allucinante brusio collettivo.

Ma cosa dicevano? Gridò per farli smettere ma non potevano sentirlo.

Ad un tratto vide avanzare un corteo.

Capì subito di cosa si trattava.

Chi era morto? Doveva essere un parente stretto altrimenti non si sarebbe trovato li.

L’auto si fermò e, dopo pochi istanti, persone che subito riconobbe come amici andarono a prelevare la bara.

Si chiese: “chi è morto?”

Lo urlò: “CHI E’ MORTO?”

Non lo sentivano, non lo vedevano e lui era li.

Lentamente nella sua mente si fece strada un’ipotesi agghiacciante: il morto era lui!

Poteva distintamente vedere sua moglie, i suoi figli, amici, conoscenti e sconosciuti intorno ad una bara che era la sua.

Riprovò ad urlare. Tentò di toccare chi gli passava accanto.

Niente. Non esisteva più.

Terribile.

Vedeva gente piangere, altri che parlottavano, altri che si trovavano li per obbligo e controllavano impazientemente l’orologio.

Si augurò che tra gli impazienti non vi fossero anche i figli.

E se anche fosse stato, cosa importava?

E il paradiso? L’inferno?

Cosa doveva aspettarsi ora?

La visita di qualcuno a comunicargli la destinazione?

Si svegliò di colpo.

Erano scese le prime ombre della sera ed era ancora davanti alla finestra. Se lo erano dimenticato.

No.

Premurosa,  la moglie gli si avvicinò. “Ti sei svegliato amore”?

Non poteva parlare ma stava urlando.

Non sono mai sveglio, mai addormentato, mai vivo, mai morto……. mai nulla!

Ma non potevano sentirlo, come nel sogno.

Solo, nel sogno, non odiava.

Erano queste le esperienze pre-morte?

Era questa la luce eterna e la beatitudine di cui aveva sentito parlare?

Si trattava solo di non odiare?

Sembrava poco ma forse non lo era.

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1 commento »

  1. Tristissimo ma molto bello.

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