Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Il freddo dell’estate” di Rossana De Lorenzo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

-Trovare il modo per uscirne indenne: ecco cosa voglio.

-Ma se cerchi di buttare giù la pillola, senz’acqua, beh credi che così, cambierà qualcosa?

-Non lo so, ma almeno lo spero. Deglutì.

-Lei non tornerà e lo sai.

-Sì, ma forse tornerò io. Finalmente.

-Dove sei stata per tutto questo tempo, in cui ti ho avuto qui con me? Ronald le si avvicinò piano, stringendole i fianchi in un abbraccio morbido.

-Non ero qui, tu l’hai sempre saputo, eppure hai fatto finta di niente. Per il mio bene, suppongo. Emily si abbandonò al calore di quelle mani, che le rassicuravano il corpo. Più di ogni altra cosa, le cancellavano il freddo di dosso, i brividi del niente e quel vuoto così pieno di paure.

– Adesso invece, intendo in questo preciso istante, dove sei? Mi sembri assente. Voglio sapere tutto, ogni piccolo dettaglio, anche il più insignificante, purché tu ritorni da te.

Riflettè per una manciata infinita di secondi. Si lisciò le labbra con la lingua, alzò gli occhi verso il lato destro del soffitto, come se lì si nascondessero i pensieri che stava cercando, e iniziò. Le palpebre socchiuse, in un rituale che si schiudeva sempre uguale.

– Sono al parco. Si scostò la camicetta, la sbottonò con gesti nervosi, mostrando l’incavo dei seni.

-Fa caldo, molto caldo. L’estate del 1984, e giugno mi scorre rovente sulla pelle. Non sono sola. Lei è con me, mi tiene per mano. Mi osserva, mentre mi sistema premurosa il colletto della camicia. Poi … Emily si fermò, assalita da un panico ingombrante nello stomaco. Lui lo capì dalle carezze, con cui si coccolava la pancia nuda, appena più pronunciata del solito. La abbracciò ancora più forte e il suo profilo aderì a quello di Emily: due pezzi di un puzzle, che combaciano perfettamente.

-Non volevo, però mi succede lo stesso. Mi manca, nonostante gli anni e le parole spese a dimenticarla. Ecco, poi mi lascia la mano e va a sedersi su una panchina, non lontana dal chiosco dei gelati. Io la fisso, mentre si allarga le pieghe della gonna, e tira fuori dalla borsa un giornale. Sembra non accorgersi di me. Sembra distratta, ma felice. Non so perché, ma io, invece, mi sento triste. Cerco di non pensarci e saltello verso lo scivolo, quello ad onde. Te lo ricordi, Ronald?

Annuì bugiardo, perché quel posto non l’aveva mai visto in vita sua. Non poteva contraddirla proprio ora. Non se la sentiva di spezzare quell’incantesimo bambino.

-Sono sola, in cima allo scivolo. Dei bambini mi indagano minacciosi da lontano, in attesa del loro turno. Non m’importa quanto tempo aspetteranno. Mi piace il freddo metallico sotto le gambe, scoperte dai pantaloncini. Rimango un po’ in quella posizione di dominio. E lei non mi manca quasi più. Ma qualcosa … un tremito elettrico la scosse di nuovo, facendole battere i denti. Ronald le ripiegò il colletto, chiudendo due bottoni. Si calmò e gli diede un bacio timido sulla barba.

-Avverto qualcosa nell’aria. Non è un profumo di fiori e nemmeno un suono di voci. E’ più un qualcosa a metà strada tra i due, forse un odore che suona strano. Non saprei definirlo diversamente. L’aria mi circonda immobile. Mi cresce dentro una strana sensazione. Voglio vincerla ad ogni costo, così mollo la presa e scivolo giù, come se mi stessi liberando del peso di me stessa. Sono io, ma senza forza di gravità. E la felicità, scivola pure lei insieme a me, impercettibile e forte. Dentro.Gli occhi socchiusi dalla lentezza del passato, mentre Ronald, che già conosceva il seguito di quella storia, le sfiorò le palpebre con le dita, perché non vi filtrasse più nessun dolore.  Lei si lasciò sfuggire un singhiozzo, tirò su col naso: aveva esattamente quattro anni, come allora, in quel giugno del 1984.

-Sto per atterrare sul fango sotto di me, quando mi giro a guardarla. E’ spaventata: la bocca leggermente aperta e gli occhi imbambolati. Non cadrò, stai tranquilla, le sussurro a mente, ma mia madre non mi sente. Mi corre incontro a braccia aperte, per afferrare il mio volo senza peso. Allora la felicità si spezza, come il filo di un aquilone sotto la pressione del vento. Capisci cosa voglio dire? Lui fece di sì con la testa. Le lambì sotto i palmi delle mani la piccola vita, che le viveva ignara nel grembo. Ignara del mondo doloroso, che le toglieva il sonno e la consumava un poco, ogni giorno di più. Ma Ronald non gliel’avrebbe permesso, di lasciarsi morire così.  

-Non so come possa succedere, che in un attimo si spalanchi il destino e tu non sai più chi sei, da un momento all’altro, dico.  Dopo tocco la terra con la punta dei piedi, sto per alzarmi, ma è già troppo tardi.

Scoppiò a piangere: una tristezza liquida e salata, le attraversò il viso, ancora più bello di quando sorrideva. Poche persone ci riescono, a risplendere sotto la cenere, ed Emily era una di quelle. Ronald lo aveva sempre saputo, dal primo istante che se n’era innamorato. A maggio può sbocciare qualsiasi cosa, anche un pensiero caldo tra due amanti, pensò.

– Ho i piedi ben piantati a terra, inzuppati dalla melma di una pozzanghera, ma le gambe mi tremano e lo sento tutto, il peso che non mi fa muovere un passo verso di lei. Non so cosa le sia successo. So solo che è ferma a terra, Ronald, con la faccia attaccata all’asfalto e la borsa abbandonata a qualche centimetro di distanza. Per fortuna che due signori la soccorrono, le tastano il polso, cercando di rianimarla. Uno dei due, scuote la testa ed io l’ho appena raggiunto, quando mi abbraccia per farmi coraggio. Io gli bagno la manica della giacca, non so per quanto tempo ho pianto stretta a lui. Ho quattro anni, è l’estate del 1984, quando mia madre muore per un infarto. Non voglio, Ronald, non voglio, protestò a voce alta. Come se avesse potuto impedire al passato di esistere già. Le arruffò i capelli sottili come fili di seta e pregò in silenzio, lui che nemmeno ci credeva in Dio. Pregò perché Emily potesse diventare madre, senza il fantasma di quella morte. Pregò perché lui riuscisse a starle vicino. Allora  l’accompagnò sul letto, le baciò delicatamente la fronte e le aprì le palpebre. Nessuno di loro due sapeva quando l’alba sarebbe arrivata: non restava che aspettare la fine di quell’incantesimo bambino.

-Sono tornata, Ronald, e sono qui per restare. Lui la contemplò stupito. Non ci avrebbe mai scommesso sulle preghiere di un ateo. Per la prima volta, si sentì come su quello scivolo ondulato, che non aveva mai visto in vita sua: insensatamente leggero e felice.

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1 commento »

  1. Molte volte, in certe situazioni importanti, ritornano alla mente ricordi che ci hanno segnato quando eravamo bambini. Li riviviamo come in un nuovo presente. E così il vero presente si aggiunge all’antico, segnado l’emozione di un momento d’amore, velato da un’inconsapevole paura, che poi si supera, nella speranza.
    Io ho inteso così il tuo racconto, Rossana. Ognuno può interpretare un racconto secondo il suo sentire. A me è piaciuto come ho scritto. Complimenti per le delicate espressioni che hai usato per questo tuo scritto.

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