Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “Dentro di me” di Andrea Polini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Salii sul treno, quindi sedetti su un sedile poco distante dalla cabina dei macchinisti. Faceva freddo, il cielo era coperto. Un tempo uggioso, ma per fortuna non pioveva. Una giornata di fine inverno, malinconica come malinconico era il motivo del mio viaggio per Firenze, dove mi recavo per svolgere delle pratiche cimiteriali che riguardavano uno zio di mio padre.

Pochi minuti dopo che mi ero accomodato a sedere il treno partì. Davanti a me avevo il display che indicava la velocità e la temperatura esterna. Un dettaglio da poco, ma che tuttavia acuì la malinconia che già provavo. Pensavo infatti che ai tempi in cui nella mia famiglia eravamo tutti in età più o meno non troppo avanzata tale dispositivo non c’era sulle carrozze ferroviarie, e se ci fosse stato ci sarebbe apparso un qualcosa di decisamente futuristico, simile a certi strumenti che si vedevano allora nei film di fantascienza e che facevano volare con l’immaginazione oltre la soglia del tanto chiacchierato Duemila. Ora invece quel piccolo schermo e i messaggi vocali che informavano i viaggiatori su alcuni dettagli del viaggio avevano su di me l’effetto di farmi sentire irrimediabilmente vecchio, come un sopravvissuto capitato in un tempo che non  percepiva più come il proprio. Il paesaggio che scorreva di là dal finestrino, invece, un po’ mi rincuorava.

Era poco cambiato da quando – trenta, quaranta o cinquant’anni prima – percorrevo questa tratta in compagnia di familiari oggi tutti scomparsi. La carrozza sulla quale mi trovavo, la prima del convoglio, era poco affollata, ed anche alle stazioni intermedie dove il treno si fermò il numero complessivo di viaggiatori a bordo, facendo il bilancio tra coloro che salivano e coloro che scendevano, variava di poco. Tutto ciò finì per conciliarmi il sonno, e forse solo perché il controllore, con fare cortese, mi chiese di mostrargli il biglietto, svegliandomi, non “bucai” la fermata di Firenze Rifredi, alla quale, invece, mi preparai con notevole anticipo, alzandomi dal sedile e andando di fronte la porta per la discesa dei passeggeri addirittura qualche minuto prima che il treno giungesse in stazione. Scesi sulla pensilina, e dato che ormai ero pratico del luogo perché per avviare la pratica cimiteriale c’ero già venuto un paio di volte, in breve uscii dalla stazione e mi avviai per la strada in lieve salita che portava verso la zona collinare dove vi erano le nuove cappelle del commiato e gli uffici dove venivano sbrigate le pratiche cimiteriali.

Arrivai lassù in una mezz’ora, forse anche qualche minuto in più. Davanti a me allo sportello c’era un po’ di gente, comunque quando fu il mio turno l’impiegato abbastanza sbrigativamente completò la pratica. Dovevo soltanto andare all’agenzia funebre a portare i documenti per la cremazione dei resti mortali dello zio, che poi avrebbero dovuto essere traslati nel colombario dove da qualche decennio già riposava la moglie. Per tornare a Rifredi un gentile signore che aveva atteso il turno nell’ufficio insieme a me si offrì di accompagnarmi in auto fino all’agenzia, che non era molto distante dalla stazione ferroviaria. Così il ritorno si rivelò assai più veloce dell’andata, e consegnati infine i permessi per la cremazione al direttore dell’agenzia funebre, poco dopo ero di nuovo alla stazione. Dovetti però attendere un’ora buona il treno che mi avrebbe riportato a casa.

C’erano soprattutto studenti sulle pensiline, ed ogni tanto un gruppetto di loro saliva su un treno che si era appena fermato e andava verso la propria vita. Oltre ai treni per le destinazioni regionali vidi passare anche diversi treni d’alta velocità “Frecciarossa” e “Italo”, poco o niente presenti dalle mie parti. Quando toccò a me salire sul regionale, contrariamente a quanto mi aspettavo vidi subito che vi erano parecchi posti a sedere liberi. Con un certo sollievo mi accomodai su un sedile, d’altra parte avevo camminato parecchio nel viaggio di andata, ed anche l’attesa del treno alla stazione l’avevo trascorsa quasi sempre in piedi perché le panchine erano molto spesso occupate dai numerosi studenti. Come avevo fatto all’andata scelsi un posto accanto ad un finestrino. Pochi minuti dopo il treno partì. Presto mi ritrovai con lo sguardo perso di là dal vetro verso il paesaggio della campagna collinare circostante che scorreva veloce sotto il  solito cielo grigio uggioso. Avevo addosso malinconia, ma la mia mente non si soffermava su nessun pensiero in particolare. In queste condizioni tendo spesso ad appisolarmi, ma una voce vicina quasi sussurrata mi scosse.

Contrariamente che nel viaggio di andata questa volta a chiamarmi non era stato il controllore. In piedi accanto il sedile un giovane, forse straniero per quel che potevo intuire dall’accento e un po’ anche dal suo aspetto, mi chiedeva di offrirgli qualche soldo. Lì per lì rimasi incerto sul da farsi, poi cortesemente rifiutai la sua richiesta. Il giovane non insisté, poi andò qualche fila di sedili più avanti ed evidentemente rivolse la stessa richiesta ad altri passeggeri, anche se ormai non potevo più sentire le sue parole. Mi parve però che anche loro rifiutassero le sue richieste. Così il ragazzo passò ancora oltre, su un’altra carrozza, e non lo vidi più. Qualche minuto dopo, eravamo prossimi a fermarci alla stazione di Empoli, un messaggio vocale informava i viaggiatori della presenza sul treno di agenti di polizia. Mi domandai se il messaggio avesse relazione col mendico di poco prima, e mi chiesi anche se avessi fatto bene a rifiutargli una sia pur piccola offerta. Mi dissi che se la vita fosse stata meno generosa con me, forse al suo posto avrei potuto esserci stato io.

Passarono i chilometri, ed altri pensieri passarono nella mia testa. Quando scesi dal treno alla stazione della mia città mi tornò ancora in mente il giovane mendico. Ancora non seppi darmi risposta se avessi fatto bene o meno a rifiutargli l’elemosina. D’altra parte le giustificazioni per una scelta possono essere parecchie, e non immotivate. Mentre camminavo verso casa, sotto il cielo uggioso ancora più velato per l’incipiente tramonto, mi dissi che a molte domande forse non avrei mai avuto risposta. Quando un altro viaggiatore farà per me quello che io avevo appena fatto per il vecchio zio – alla fine conclusi -, solo allora la luce della verità sarà dentro di me.

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2 commenti »

  1. I piccoli gesti, gli incontri casuali che inspiegabilmente suscitano domande più grandi. Lo scorrere degli anni e la consapevolezza che la nostra vita è un percorso limitato nel quale i nostri orizzonti si restringono perdendo affetti e punti di riferimento sino a diventare una semplice pratica cimiteriale. Il tuo racconto è bello e malinconico. Complimenti Andrea

  2. Anche a me è capitato di chiedermi spesso se devo o non devo versare un obolo per la persona che, a turno, me lo chiede.
    In genere seguo la semplice regola che se l’ho già dato a uno o addirittura un paio poco prima, posso ritenermi esentata. Così se non mi ritrovo delle monete in tasca.
    Ai rom che portano con loro dei bambini, per principio, non lo do mai per non incentivare una pratica contra legem, anzi chiedo: «Perché il bambino non va a scuola?» e, in genere, smettono di chiedere e se la danno a gambe. La cosa che mi dà più da pensare è incontrare un ragazzo o una ragazza che si ingegnano a fare degli spettacolini ai semafori oppure a suonare, a volte molto bene, nelle piazze, dare loro quello che ho e, in verità, avere l’assoluta certezza, dentro di me, di avere dato poco, troppo poco.

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