Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “Niente di più divertente” di Alfonso Angrisani

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Sono figlio d’arte. Da generazioni la mia famiglia vive, piuttosto bene direi, sulle disgrazie altrui. Senza colpa e senza portare sfiga. Ovviamente ogni cosa a questo mondo ha una contropartita, e nel mio caso il prezzo da pagare è stato ed è quello di imbattersi nella diffidenza e ritrosia della gente, ed è per questo che da ragazzo tutto volevo fare meno che il mestiere di mio padre.

Quello, quello è il figlio del cassamortaro: così mi hanno sempre appellato i miei compagni di scuola, sin dalle elementari. E non vi dico le volte, pochissime per fortuna, che mio padre è venuto a prendermi da scuola con quella lunga macchina nera…avrei voluto sotterrarmi, e lo dico con cognizione di causa, di queste cose me ne intendo.

Poi, come in molte altre faccende della vita, ci fai il callo. Alla fine, ti sembra naturale che gli altri ti evitino. E poi, in una naturale progressione delle cose, cominci invece ad accarezzare l’idea che quel mestiere non è poi così male. In fondo, è antico come il tempo, ha il suo lato umanitario e…al di là di queste alte considerazioni non posso dire che si guadagna male. Se a questo ci aggiungo che non avevo voglia di perdere tempo con l’Università (i miei mi volevano medico, ma a me non interessava curare i vivi, mi è sempre sembrato più deprimente un ospedale di un cimitero) la conclusione arriva naturale.

Così, per farla breve, arrivato ai 18 anni avevo ormai maturato l’idea di seguire le orme – forse dovrei dire le ombre, se è vero che il regno dei morti è fatto di ombre – paterne, calzando nere scarpe lucide su un completo classico, nero anch’esso. Il caso vuole che abbia anche i capelli nerissimi e, siccome mi piace esagerare, li rendo lucenti come quelle scarpe…perché ci godo quasi a stare nella parte di Caronte.

Anzi: ci godo proprio, ora. Quello che all’inizio mi creava complessi di inferiorità con gli amici ora lo rivendico con orgoglio, quasi con tracotanza, e mi diverte, sì.

Come quella volta che mi sono presentato, con la mia station vagon d’ordinanza, a casa di una bellissima ragazza, conosciuta in discoteca giusto la notte prima. Faceva la splendida e la misteriosa mentre ballava con me sulla pista, diceva di essere una dark, di amare il color nero e tutto ciò che aveva a che fare con l’esoterismo…sai – le ho detto in quel frangente – penso di essere più dark di te, e quanto all’ al di là posso dire che ci sono costantemente in contatto. Così il giorno dopo sono andato a prenderla sotto casa, con la Mercedes dotata di crocifisso sul tetto e cassa vuota nel wagon. Non vi dico la faccia che ha fatto, quando le ho detto che quella era la mia macchina. La splendidina ha dismesso d’un tratto le vesti alternative e carnevalesche di sacerdotessa infernale e ha girato i tacchi, dicendo che lei in quel coso lì non ci entrava. Al che ho provato a rilanciare alla grande: le ho detto che pensavo di fare sesso con lei nella cassa che portavo nel vano posteriore…se l’è data a gambe, avreste dovuto vederla mentre andava via, che camminata rapida e incazzata! E di questa cosa ne ho riso per settimane con i miei colleghi dell’impresa funebre.

Ah, sapeste quanto mi diverto a vedere come reagisce la gente quando viene messa al cospetto di certe situazioni e paure! Nel traffico, per esempio: mi danno quasi sempre la precedenza, vedo le macchine che mi evitano, fanno a gara per mettersi a distanza, nessuno vorrebbe fare un incidente, pur avendo ragione, con un carro funebre! Una volta, per esempio, mi è capitato di imbattermi in un tizio che ad un incrocio mi stava quasi venendo addosso. E’ bastato aprire il finestrino e apostrofarlo come si deve: Ah bello, se guidi così a me va benissimo! Qui dietro c’è un posto per te, se proprio vuoi, anche adesso! Mi ha fatto le corna e però è scappato via come se avesse visto il diavolo. Sono sicuro che si è anche grattato le palle…

Per non parlare dei funerali. Qui però cambierei aggettivo, non direi che sono proprio divertenti (oddio, a volte capitano pure cose esilaranti, e qualcosina vi racconterò tra poco) ma interessanti sì. Sono eventi che consentono un affaccio privilegiato sulla natura umana e le sue sfaccettature. L’ho detto anche ad un mio conoscente che fa lo psicologo: voi strizzacervelli dovreste studiare come la gente si comporta ai funerali, per capire cosa è e cosa non è l’uomo.

Perché c’è quello che ostenta commozione, e si vede benissimo che è lì solo per far piacere al parente o all’amico del defunto; c’è il semplice curioso, che non ha “invitato” nessuno, ma che è capitato lì in chiesa e si aggrega ai presenti; c’è la ragazza, la signora, ed i loro corrispondenti maschili, che si scambiano sguardi che non diresti di afflizione, quanto piuttosto di sottile seduzione: i funerali come i matrimoni sono sempre una buona occasione di rimorchio, e queste specie umane si riconoscono perché ostentano una eleganza più da sfilata di moda che non da cerimonia funebre; c’è il depresso, ché lo vedi perché ha un’aria tanto stanca quanto serena, lo diresti quasi in estasi: sapere che tutto finirà mette pace al suo animo afflitto, e infatti costui non piange mai in questi casi, perché si gode la scena…la sua scena, per capirci; e c’è la specie che si crede immortale, e guarda a tutto questo col mento alzato, la morte per lui o lei è destinata a perdere al loro confronto, e se nella circostanza potessero parlare, probabilmente direbbero: eh, lo so che questo capita a voi mortali, beh, sappiate che vi compatiamo, povere nullità che non siete altre. Insomma un campionario veramente interessante; e c’è persino l’invidioso, perché il morto era ricchissimo: l’esponente tipico di questa squallida categoria guarda con un misto di odio e, appunto, di invidia, i parenti che erediteranno una fortuna che a lui non è mai capitata e mai capiterà.

Ma ovviamente c’è anche del dolore vero, quello normalmente dei parenti più stretti (anche se in alcuni casi…mah, lasciamo perdere). E questo dolore non è comunicabile, lo vedi che resta lì, confinato, emarginato nella minoranza dei congiunti strettissimi, e non avrà alcuna reale condivisione ma, per fortuna, niente potrà inquinarlo: il dolore autentico, per quel che ho potuto constatare, non può essere sporcato da niente e da nessuno. E si prende da sé un rispetto che altrimenti nessuno gli concederebbe. Un rispetto che anche noi, avvezzi al mestiere, avvertiamo, non senza soggezione.

E poi c’è la Dea dell’ironia che a volte prende il sopravvento. Perché anche questo si impara nel mio mestiere: tutto è serio e niente lo è. Persino la morte, non solo la vita, può prendersi gioco di noi. E così vi voglio raccontare di quella volta…

…di quella volta che forammo mentre andavamo, dopo la cerimonia in chiesa, verso il cimitero. Capitò lungo una strada fuori mano, dove notoriamente stanno ai lati mercenarie del sesso, di tutte le etnie. E così, in quel frangente, tutto il corteo di macchine che ci seguiva dovette fare una sosta involontaria, dinanzi a quelle povere schiave. Ovviamente cercammo di non perdere il nostro aplomb, e di cambiare la gomma prima possibile. Ma tra noi – e sono sicuro pure tra non pochi degli altri presenti – qualche battuta divertente non si era potuta evitare: forse anche il defunto prima di lasciare la luce del sole aveva voluto concedersi un’ultima libertà, e come condannarlo. E che dire del fatto che, alla vista di quel corteo funebre, più di una di quelle si era grattata dove non dico (forse si trattava di trans?) per poi allontanarsi da noi: non c’è genere umano che non tema la morte e non sia sensibile alla superstizione! Ma noi dell’impresa funebre ridevamo, sia pure di nascosto, e non certo per mancanza di rispetto…

Tante altre cose sono successe negli anni, facendo questo mestiere. E adesso che scrivo son quasi prossimo a lasciare il testimone a mio figlio, sempre se vorrà a sua volta seguire le orme che scarpe nere e lucide hanno lasciato accompagnando i vivi a rendere omaggio ai morti: in fondo questo breve racconto è dedicato anche a lui, perché ancora adesso vedo che non è contento del lavoro che fa suo padre, e questo mi dispiace. Se pure volesse far altro nella vita, vorrei almeno che non si vergognasse di suo padre. C’è tanto da imparare su questo confine tra la vita e la morte.

Quel che ho appreso io è che gli uomini sono tutti uguali, microbicamente uguali, in certi momenti. Questa uguaglianza dà fastidio, talora, ad alcuni, forse genera addirittura paura in talaltri, e spiega perché anche nella morte la gente cerchi di differenziarsi, ordinando per esempio un feretro di mogano anziché di ciliegio, scegliendo una vettura di lusso per carro funebre, pagando somme cospicue per questa o quella cappella mortuaria. Non ci piace sapere che la nostra morte è in tutto e per tutto uguale a quella di un mendicante e che non c’è una vera differenza tra l’esser sepolti sotto un albero o in una bara di lussuoso legno. Spaventa, questa radicale democrazia del Nulla. Personalmente, quando sarà il mio momento, lascio ai miei parenti di decidere il come e il dove della mia cerimonia funebre e della mia sepoltura; l’unica cosa che chiedo è che in quella occasione si dia lettura di questo racconto, e che si sappia che non ho cercato altro che il sorriso altrui.

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2 commenti »

  1. Complimenti, ottimo racconto!

  2. INTELLIGENTE E SIMPATICA “CONFESSIONE” DI UN TITOLARE D’IMPRESA FUNEBRE. GUARDANDO IL MONDO COGLI OCCHI DI “TAFFO” L’AUTORE CI RACCONTA LE MISERIE DELL’UOMO MEDIO FACENDOSI GARBATAMENTE BEFFE DELLE SUE REAZIONI QUANDO E’ POSTO DI FRONTE AD UNA REALTA’ – COME QUELLA DELLA MORTE MA NON SOLO – CHE VA OLTRE LE SUE MEDIOCRI CAPACITA’ DI COMPRENSIONE. LETTURA CONSIGLIATA A CHI HA UN’ALTA OPINIONE DI SE’ , A CHI SI CREDE SUPERIORE AL SUO PROSSIMO, A CHI NON RIESCE A VEDERE IL BICCHIERE MEZZO PIENO, A CHI NON CONOSCE “LA LIVELLA” DEL PRINCIPE ANTONIO DE CURTIS, IN ARTE TOTO’ . E COMPLIMENTI ALL’AUTORE DEL RACCONTO.

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