Premio Racconti nella Rete 2024 “Io ed Hemingway” di Stefano Minari
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024«Dì la verità. Sei piantato come un paletto, non è vero?»
«Più o meno… Ho infilato un tunnel a tutta velocità e mi ci sono incastrato. Adesso sono immobile come una balena spiaggiata. Per caso, hai qualche buon consiglio da darmi?»
Fortunatamente sono da solo in casa, altrimenti moglie e figli penserebbero che sono diventato scemo. Intravedere il riflesso della luce accesa nello studio fino a tardi o sentire i miei passi nel silenzio delle sei di mattina della domenica, è una cosa anche tollerabile, ma che adesso mi metta pure a dialogare col mio computer, è un pochino troppo!
Ma il vero problema è che… lui mi risponde pure. Ci sono giornate, come oggi, dove si sforza anche di essere spiritoso, ironico. Poi diventa strafottente e mi fa andare in bestia! Lo minaccio di prenderlo a martellate, ma lui replica subito che ritornare a carta e penna non è così banale. Oltretutto, a parte il fatto di non esserci più abituato, col mio modo di scrivere, cancellare, ripensare e correggere, distruggerei decine di chilometri quadrati di foreste del pianeta. Con buona pace della sostenibilità ambientale. Eh sì, perché io i racconti non li scrivo: li partorisco. Con tanto di doglie e contrazioni.
«Vuoi mettere il vantaggio di spazzare via tutto con un clic e ripartire da zero? Ti piaccia o no, non puoi fare senza di me» mi deride, sentendosi intoccabile.
Conosco bene quel tono sarcastico da bimbetto antipatico di terza elementare, che cerca solo un pretesto per attaccar briga: «Non provocarmi! Non sei esattamente l’ultimo modello e, a cambiarti con qualcosa di più performante, ci metto un attimo! Mi dai uno spunto, o no?»
«Ehi! Che permaloso! Da quando hai ricominciato a scrivere racconti, pretendi che le idee ti debbano venire fuori a ciclo continuo? Chi ti credi di essere? Ken Follett? Wilbur Smith? Quelli sì, che sono scrittori! Tu fai un altro mestiere! E, vista la vena creativa di oggi, magari è pure meglio che continui a farlo…»
Quest’ultima frecciatina mi tira fuori parolacce che non ricordavo neanche di conoscere. Al confronto, uno scaricatore di porto sembra il Petrarca.
«E tu che ne sai di quei due lì?» ribatto, con un respiro profondo, per recuperare la calma. «Magari anche loro si inchiodano decine di volte, quando scrivono un romanzo. Oltretutto, diciamo la verità: certe loro storie sono stiracchiate da far paura! Gli viene una bella idea e poi ci mettono trecento pagine per arrivare al dunque. Con due carotine e una mezza cipolla fanno venti litri di brodo.»
«E qualche milionata di dollari… Quelli sono dei professionisti! Credimi, fanno un altro campionato!» insiste l’agglomerato di microchip.
«E quindi? Per divertirsi a giocare a calcio, mica per forza devi stare in serie A! Io ho giocato al pallone per quarant’anni nei dilettanti e ti assicuro che me la sono goduta un sacco. Stai sicuro che era più divertente tirare randellate al centravanti, piuttosto che discutere con un arrogante come te! Ormai però non sono più un ragazzino e devo deviare per forza su un hobby più intellettuale. Cosa c’è di male? Ma… oltre a rompere le scatole, riesci a suggerire qualcosa di utile?»
Offeso, il computer fa partire un aggiornamento automatico; si chiudono tutti i file aperti e io pianto una manata sul tavolino, rendendomi conto che non ho salvato in memoria il mio lavoro da almeno due ore. Lo schermo diventa azzurro e parte il contatore della percentuale di caricamento delle nuove funzioni, lento come una tartaruga con l’asma. Mi ha fregato.
Nel frattempo, ripenso al mio racconto, al personaggio che ho abbandonato in un bar, ad ubriacarsi per dimenticare l’amore perduto. Luca, un postino romano. Ormai siamo quasi diventati amici. Certo che anche lui poteva evitare di innamorarsi di una escort… Che gli faccio fare? Lo sprofondo nell’alcool? Gli invento un incontro con una barista con una scollatura improbabile, in cerca di un’anima gemella? Oppure una fuga in Tibet, a meditare a tremila metri di altitudine?
Intanto, il bastardo tutto video e tastiera ha ripreso vita. Esordisce col solito salvaschermo con la foto di Hemingway e la finta dedica “A un collega scrittore. Con stima”. Ridacchia, quel mentecatto.
«C’è una giornata stupenda. Diciotto gradi, vento di otto chilometri orari, umidità quaranta per cento. L’ideale per una bella corsetta. Pensaci! Giova alla salute più che stare davanti al mio schermo a imprecare per disincagliare la storia. Dammi retta: non è giornata. Oppure vai a dare una zappata ai pomodori, che ne hanno bisogno».
Ma chi si crede di essere? Pensa di scoraggiarmi? Non è la prima volta che mi entra in testa un personaggio e non esce più, se non sotto forma di racconto. Certo, questa volta forse il parto si sta facendo complicato. Volevo azzardare un poliziesco, ma dopo una manciata di pagine avevo già ammazzato tre persone e l’assassino si capiva lontano un chilometro. Ho trasformato tutto in un racconto distopico, perché adesso questo termine fa molto figo, poi ho realizzato che la maggior parte della gente pensa che sia un animale e ho cancellato tutto. Ho infilato il personaggio in una storia horror, ma scrivere di demoni e vampiri mi fa dormire poi con la luce accesa… Uffa! Che abbia ragione lui? Un passatempo dovrebbe farti stare bene, mica imprecare in turco!
Riapro il file. Disastro colossale. Sono scomparse nel nulla digitale le ultime dieci pagine, che avevo scritto di getto, prima di piantarmi di brutto, come un palo da vigna. Mancava ancora il solito lavoretto di limatura per migliorarle, ma, come succede nei momenti di ispirazione mistica, le idee si concatenavano, come un sudoku che si avvicina alla soluzione; gli eventi avevano preso vita autonoma. La birra fresca sul tavolino aveva fluidificato il pensiero e spinto il personaggio ad entrare in un bar, dopo aver scoperto di essere un portatore sano di corna autentiche e molto ramificate. Quel bar però è ora il buco nero della mia fantasia: nulla riesce più ad uscirne. Tantomeno il postino Luca.
«Pensi di digitare qualcosa, o posso mettermi in stand by?» interrompe il mio compagno di lavoro.
Bevo l’ultimo sorso di birra rimasto. Ormai è calda. Si insinua l’idea di zappare i pomodori.
Il bastardo avvia di sua iniziativa il collegamento al sito di un concorso letterario, indetto dagli “Scrittori per caso”: «Partecipa a questo! Premiano i primi dieci. L’anno scorso hanno partecipato in nove; se non fai vomitare la giuria con la grammatica, magari un portachiavi di ottone lo porti a casa!»
Questo è troppo. Chi semina vento… Le sinapsi si riconnettono e le dita partono veloci.
Luca rientrò in casa, acciecato dalla rabbia e dalla mezza bottiglia di rhum che si era scolato. Si mise al computer, deciso a scrivere a quella infame tutto quello che non era riuscito a dirle in faccia. Non una mail: una lettera. Perché “scripta manent”. Iniziò a pestare sui tasti come un automa. Il pensiero si trasformava in parole all’istante e le dita sfogavano su vocali e consonanti la frustrazione di scoprire la donna della sua vita avvinghiata ad un altro. In pieno centro e, per giunta, nel bar frequentato dagli amici, che l’avevano riconosciuta subito, visto che Luca aveva mostrato loro diverse sue fotografie dal cellulare. D’altra parte, chi avrebbe mai dimenticato quel viso perfetto, le gambe da airone e quelle forme da sballo, coperte giusto quanto bastava per fondere il cervello a qualunque uomo le arrivasse a tiro? Peccato che … Inizialmente avevano pensato fosse il padre, data l’età. I baci focosi, fotografati con bastarda precisione dagli amici, avevano sciolto ogni dubbio. Luca premeva sempre più forte sulla tastiera, manco stesse suonando Schumann al pianoforte. Sempre più forte, con violenza, come per dare ai caratteri un’impronta più calcata del grassetto. Ancora di più, mentre la plastica cigolava sotto le dita ed i tasti si deformavano per lo sforzo. Impazzito, afferrò lo schermo, per staccarlo dal resto, come un rapace che strappa lembi di …»
«Ehi! Ehi!» grida il computer. «Calma! Non è il caso di metterla giù dura per qualche battuta! In fondo cercavo solo di pungolarti: non sei malaccio, ma sotto pressione rendi meglio.»
Eccolo qui, il novello Socrate, l’allenatore di menti umane! È insopportabile. Non so cosa gli farei… Anzi, no. Lo so benissimo.
Luca si fermò, ciondolante per la sbronza, ma col sorriso stampato, al ricordo di una delle ultime parole di quella stronza: «Fai volare da me i tuoi pensieri». Pensò che fosse un’idea romantica. Prese il computer aperto e lo lanciò fuori dalla finestra. D’incanto, riappare il faccione di Hemingway, con un nuovo sottotitolo: “Scusa. Facciamo pace?”