Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “L’ultima lacrima” di Adelaide Gioci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

“ Dai Luca, finisci di bere il latte ”.

“ Non ne voglio più, voglio solo i biscotti ”. Mi risponde imbronciato.

“ Va bene, oggi te la do vinta, perché è tardi e dobbiamo correre a scuola ”.

“ Mamma, perché gridava papà prima? ” mentre me lo chiede ha lo sguardo triste , uno sguardo che nessun bambino dovrebbe avere a cinque anni.

“ Papà aveva un forte mal di denti, perciò urlava ”. Il suo sguardo si rasserena, e mangia più velocemente l’ultimo biscotto.

L’ennesima bugia, penso, ormai le urla di Guido, sono divenute una quotidianità.

Con il passare degli anni, il suo umore instabile è peggiorato.

In dieci anni di matrimonio l’alternarsi di euforia eccessiva a depressione totale , si è arricchita anche di scatti d’ira.

In questi anni, ce l’ho messa tutta per accontentarlo, per assecondarlo, per essere come lui vuole

che poi esattamente come mi vuole, non l’ho ancora capito, tanto qualsiasi cosa faccia, non va bene .

Appena sposati, lavoravo. Poi all’improvviso, mi disse che non ce n’era bisogno, perché quando rientrava da lavoro, voleva essere accolto , “come una brava moglie ,sa fare”, a suo dire .

Ho lottato per difendere il mio lavoro, la mia autonomia , ma dopo mesi di torture psicologiche di litigi, schiaffi e urla , a cui subito dopo seguivano scuse, persino lacrime, stremata, mi sono rassegnata alla sua volontà.

Poi ha iniziato a lamentarsi della cena, una volta non era buona, un’altra non era quella che si aspettava, persino i miei sorrisi che gli elargivo più per paura che per gioia, un certo punto, non andavano più bene.

“Cosa avrai da sorridere sempre ?” ha esordito una sera.

“ Beata te che non fai un cavolo dalla mattina alla sera, io invece a sgobbare in quella lurida fabbrica”.

Così, non lavorando più ho dovuto iniziare a chiedergli soldi, non solo per fare la spesa ma anche per le piccole cose destinate a me.

“ Spendi troppo! Non ti occorre! E’ inutile!”

Poi ha iniziato a criticare anche il mio modo di vestire. “ Non mi piace come ti vesti, troppo colorato vuoi attirare attenzione? ”

Questo è divenuto il mantra di ogni giornata, condito da urla e schiaffi.

Allora ho smesso di chiedere, veramente ho smesso di essere.

Persino ai miei capelli ho rinunciato, tutte le amiche me li invidiavano, lunghissimi, ricci .

Una sera, per l’ennesima volta ubriaco, mi afferrò d’improvviso i capelli, trascinandomi sul pavimento della cucina, sembrava volesse strapparmi il cervello e per quanto, lo supplicassi di smettere, lui continuò a trascinarmi.

La mattina seguente corsi a tagliarli, cortissimi, per evitarmi altre torture.

Quando tornai a casa mi disse, con disprezzo , “ Brava ! Ora sembri proprio un uomo”.

Non ho, più un’amica con cui uscire, confidarmi , perché a Guido le mie amiche non sono mai piaciute, “ Tutte delle poco di buono”, questo il suo giudizio.

Il giorno che mi resi conto di aspettare Luca, mi sentii rinascere, non sarei stata più sola.

Sperai che la mia gravidanza, che la gioia di diventare padre, suscitasse in Guido un cambiamento, infatti sembrò cosi.

I primi mesi di gravidanza furono tutte coccole, a volte tornando da lavoro, mi portava fiori, altre volte cioccolatini.

Rivedevo l’uomo di cui mi ero innamorata, attento, premuroso persino romantico.

Ma l’idillio durò solo tre mesi, ricominciò ad ubriacarsi, i fiori furono sostituiti dalle imprecazioni e

i cioccolatini dalle botte.

Col tempo, ho imparato a soffrire in silenzio, a nascondere il dolore, pur di non fare spaventare Luca.

A Guido, spesso gira male, non so mai, cosa gli passi per il cervello, non so mai, con quale umore possa rincasare.

Non so, cosa gli possa dare fastidio, di quello che faccio , di quello che dico, persino il mio silenzio può infastidirlo, allora ho sempre paura, paura di sbagliare, paura delle sue urla, delle sue mani, dei suoi sguardi, ho paura della belva che vive in lui.

Anche stanotte, urlava, puzzava d’alcool. Voleva fare l’amore, lui lo chiama così, quel possedermi con la forza, senza una carezza, senza una parola dolce.

Mi sono rifiutata e sono corsa a chiudermi in bagno. Ha iniziato a prendere a pugni la porta, ad urlare, poi si è stancato ed è sprofondato a letto in un sonno profondo.

“Mamma ! Mamma !” La voce di Luca mi risveglia dai miei pensieri.

“ Si tesoro , andiamo”.

Ci teniamo per mano, oggi c’è un bel sole d’Aprile. Fuori la scuola, un groviglio di bambini . Accompagno Luca fino all’entrata, l’aspetta la bidella che lo porta fin dentro la classe.

Luca si gira , mi sorride e mi fa ciao con la mano, “ ci vediamo più tardi”, gli dico e gli mando un bacio.

A volte penso di andarmene. Io e Luca, non farci trovare più, poi mi dico, dove vai?

Non ho un lavoro, i miei non ci sono più, mia sorella la sento a malapena, lei già mi ha condannata. Dice che sono una povera stupida, anzi il nomignolo con cui ha sostituito il mio nome è (invertebrata ).

Guardo Luca e penso di essere una pessima, incapace di offrirgli una vita più serena.

Lucia, la panettiera , che mi conosce sin da bambina, dice che potrebbe trovarmi un lavoro, come badante a tempo pieno, presso un ottantenne. La signora potrebbe ospitare me e Luca, data la casa immensa in cui vive ormai da sola.

Decido di passare dalla panetteria , voglio cambiare vita, voglio rinascere, soprattutto per Luca.

La panetteria è piena di gente, scorgo Franco, il collega di Guido.

Mi saluta e mi chiede, “ Che fine ha fatto Guido, sta lavorando altrove? ”

Rimango basita, balbetto , “ Perché non viene a lavoro? ”

Franco ha il mio stesso sguardo incredulo, ma continua : “ Guido non lavora più con noi da un mese, dopo che è venuto alle mani con il capo reparto è stato licenziato, per fortuna non l’ha denunciato”.

Mi sento gelare il sangue, non so che dire e scappo via. Corro a casa.

Guido dorme ancora, lo scuoto per svegliarlo, “ ma che hai fatto, ti sei fatto licenziare ?”.

“ Non era vero che ti avevano cambiato di turno, sei un vigliacco”.

“ Lasciami in pace, voglio dormire, non rompere”.

Io voglio solo andarmene via, mi dirigo verso la porta ma mi afferra per un braccio e mi sferra un cazzotto in pieno petto che mi lascia senza respiro.

Poi mi sbatte contro la parete e mi pianta un altro cazzotto, stavolta in pieno volto.

Cado a terra, inizia a prendermi a calci, uno nella pancia, un altro mi arriva nello stomaco.

Non so più come difendermi, mi copro il capo con le mani e mi raggomitolo su me stessa.

Odo lontano, il suono come ovattato, del campanello della porta e voci indistinte chiedere di aprire.

Con il poco fiato rimastomi, gli chiedo di smetterla, ma continua a bestemmiare e a sferrare calci, ho il sangue che mi esce dalla bocca, mi viene da vomitare.

Ho l’immagine di Luca che mi saluta , prima di entrare in classe, il suo sorriso.

Una lacrima mi riga la guancia, forse è l’ultima cosa ancora viva di me , poi il buio.

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