Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “La bambina che non doveva esistere” di Paola Mezzogori

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

C’era una volta una bambina senza nome.

Suo padre si chiamava Persecutore e le diceva sempre che lei non doveva esistere. Solo se si comportava in modo da non recargli disturbo e si sforzava per rendersi utile in casa, poteva guadagnarsi un diritto condizionato all’esistenza. 

Persecutore era violento con lei e con la signora Vittima e la bambina aveva molta paura di lui. Provava anche rabbia per come il padre trattava lei e la madre, ma era impotente di fronte a quel gigante cattivo e lui era il solo in casa che avesse il diritto di manifestare la rabbia. Così la bambina decise che era meglio non sentire più quell’emozione, perché esprimerla era vietato e tenerla per sé la faceva star male. Continuò invece a sentire la paura, che le serviva per sopravvivere e, per affrontarla, sviluppò l’unico antidoto possibile: il coraggio.

La signora Vittima amava molto la sua bambina, che era l’unica gioia della sua vita, ma era impotente proprio come lei di fronte a Persecutore. L’unico modo che trovò per proteggere la figlia fu insegnarle che nessuna di loro poteva essere importante, né lo erano i loro bisogni o desideri, perché l’unica persona importante in famiglia era Persecutore: la loro sopravvivenza dipendeva da lui e dovevano fare in modo di compiacerlo affinché non si arrabbiasse. Era un messaggio ingiusto, di fronte al quale la bambina provava rabbia. Ma aveva già imparato che non le conveniva sentire quell’emozione, così prese una decisione: non avrebbe più sentito i suoi bisogni e si sarebbe dedicata con abnegazione alla signora Vittima per cercare di salvarla da Persecutore. Quando si prendeva cura della madre, infatti, la bambina si sentiva meno triste e impotente e, quando divenne un po’ più grande, riuscì a fronteggiare il gigante cattivo, minacciandolo di denunciarlo e così riuscì a mettere in parte un freno alle sue violenze.

Questo valse alla bambina il suo primo nome: Salvatrice.

Nel suo fagotto iniziò a mettere un po’ di bagagli. C’erano il divieto di esistere, di essere importante, di essere una bambina, di sentire la rabbia, che da ora in poi chiameremo ingiunzioni. C’erano gli obblighi a sforzarsi, a compiacere, a essere forte, che da ora in poi chiameremo spinte. E, infine, c’erano delle risorse preziose: il coraggio, la sensibilità e l’empatia.

Crescendo Salvatrice iniziò a ottenere i suoi primi riscatti fuori dalla sua casa-prigione: a scuola aveva molti amici, prendeva ottimi voti e i professori la lodavano per quanto era brava. Dopo le medie avrebbe voluto fare il liceo, ma purtroppo non poté scegliere gli studi. Persecutore, infatti, le impose una scuola professionale, così avrebbe portato presto un po’ di soldi a casa e lo avrebbe in parte ripagato di tutto quello che aveva dovuto spendere per lei. Fu allora che Salvatrice sviluppò una nuova risorsa: la determinazione. Si iscrisse a un istituto professionale, come voleva Persecutore, ma decise che una volta finite le scuole superiori avrebbe lavorato per pagarsi gli studi universitari.

In terza superiore Salvatrice incontrò una persona che fu per lei molto importante: il Pazzo. Lo conobbe a scuola: era stato bocciato per due anni di fila ed era un anno avanti al suo, sul suo stesso corridoio. Era bello come il sole e aveva una moto con la quale la portava lontano dalla sua casa-prigione. Come Persecutore era aggressivo e violento ma, all’opposto di lui, all’inizio della loro storia la fece sentire importante, desiderata e le disse che l’amava, bisogni che erano rimasti insoddisfatti troppo a lungo, ai quali Salvatrice non seppe e non volle rinunciare. Insieme al Pazzo Salvatrice scoprì che i loro corpi potevano darsi piacere, un piacere che non aveva immaginato di poter provare e che la portava in un altrove dove non c’era spazio per le violenze e le incessanti svalutazioni di Persecutore. Salvatrice credette che con lui sarebbe stata finalmente felice e ci furono dei momenti in cui lo fu davvero. Poi, però, emersero i lati oscuri del Pazzo e lei non riusciva a liberarsi da quella relazione, perché quello che lui le dava nei momenti buoni colmava vuoti così antichi e profondi che credeva di non poterne a fare a meno.

Fu così che la ragazza si guadagnò il suo secondo nome: Vittima.

Quello stesso anno Salvatrice Vittima entrò nella squadra di pallavolo della scuola e divenne molto amica di una ragazza di quinta. Anche lei era una Salvatrice e anche lei aveva avuto un Pazzo nella sua vita, che aveva lasciato poco tempo prima. Tra i bagagli nel suo fagotto alcuni erano condivisi con Salvatrice Vittima, come le ingiunzioni non essere importante, non sentire la rabbia e le spinte a compiacere e a sforzarsi, altre erano tutte sue, come la spinta a essere perfetta e la tendenza a criticare gli altri. Queste ultime, che le erano valse il nome di Rottermeier, provenivano da suo padre, il signor ‘So tutto io voi non capite niente razza di coglioni’, mentre sua madre, la signora ‘Io posso esistere solo in funzione della mia famiglia e per loro mi devo fare in quattro’, le aveva insegnato come sforzarsi e non essere importante. Salvatrice Vittima Rottermeier aveva anche delle risorse nel suo fagotto: era una sognatrice curiosa e appassionata, cosa che le valse anche il nome di Sognatrice e, come Salvatrice Vittima, era molto determinata. Essendoci passata prima di lei, Salvatrice Vittima Rottermeier Sognatrice fu l’unica che riuscì a esserle vicina durante la relazione con il Pazzo. Gli altri le dicevano che stava buttando la sua vita, che doveva lasciarlo, che era una stupida a restare con lui. La sua amica non faceva niente di tutto ciò. Spesso prevedeva in anticipo il comportamento del Pazzo e la preparava su quello che sarebbe successo. Ma soprattutto, invece di criticarla o dirle ciò che doveva fare, si limitò a dirle che la capiva e a condividere con lei la propria esperienza con il suo Pazzo, con le difficoltà e il dolore che aveva dovuto attraversare prima di riuscire a uscirne. 

All’ultimo anno delle superiori Salvatrice Vittima si innamorò di un suo compagno di classe, un bravo ragazzo che l’aveva amata in silenzio da lontano, perché credeva di non avere speranze con lei. Quell’anno però, complice l’euforia generale della gita a Varsavia e il fatto di dormire tutti insieme, una notte si era lanciato e lei aveva scoperto di corrispondere i suoi sentimenti. Fu così che Salvatrice Vittima riuscì a chiudere la storia con il Pazzo e iniziò una relazione finalmente serena con Compagno della vita.

Terminate le scuole superiori si iscrisse all’Università e trovò dei lavoretti per pagarsi gli studi. Nel contesto universitario fu presto notata da un professore di nome Porco sfruttatore, che la assunse per collaborare con lui nell’ateneo e per spremerla ben bene nel suo studio di commercialista.

Fu così che la ragazza ebbe il suo terzo nome: Lavoratrice indefessa.

Dopo anni di fidanzamento prima e di convivenza poi, Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa e Compagno della vita convolarono a nozze e presto arrivarono Piccola Principessa e Dolce Patatone, i loro amati figli.

Fu così che la donna si guadagnò altri due nomi: Moglie e Madre.

Furono anni intensi, allo stesso tempo felici e faticosi. Felici perché la sua famiglia le dava una gioia immensa, faticosi perché la spinta a sforzarsi e l’ingiunzione non essere importante si acuirono. Il suo lavoro era massacrante. I suoi responsabili, come il suo primo capo, erano dei Porci sfruttatori. Lei per loro era una risorsa preziosa perché, oltre a essere competente e affidabile, era una che si faceva il culo, non chiedeva mai niente per sé e non diceva mai di no. Fu così che si trovò spesso a lavorare fino a tarda notte, per poi alzarsi presto e occuparsi dei bambini. Quando era in trasferta, o tornava tardi dal lavoro, per fortuna c’erano i suoceri ad aiutarla. Per fortuna o per sfortuna, perché la loro massiccia presenza nella famiglia di Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre divenne presto terribilmente invadente. Tuttavia lei non poteva farne a meno, anche perché Compagno della vita era molto impegnato a coltivare le sue passioni, per le quali non esitava a dedicare molto del suo tempo libero e delle risorse economiche della famiglia.

In quel periodo della sua vita Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre si sforzò sempre di più in un’attività che aveva iniziato a praticare in gioventù. Già allora, infatti, non volendo deludere nessuno e potendo essere importante solo in funzione di ciò che faceva per gli altri, si era cimentata nell’arte dell’incastro. Sempre più spesso, dopo aver detto troppi sì in automatico senza darsi modo di soppesare il tempo e le energie a sua disposizione, si ritrovava a correre come una forsennata, passando da un impegno all’altro perennemente stressata, perennemente in ritardo, perennemente sfinita e pure caziata dai malcapitati che erano costretti ad aspettarla mentre lei era impegnata a incastrare i suoi troppo numerosi impegni. Non avendo il diritto di sentire, raramente Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre si accorgeva della sua stanchezza e andava avanti così, un giorno dopo l’altro senza mai lamentarsi, senza mai chiedere aiuto, senza mai dire no.

Quando parlava con la sua amica Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre le diceva di aver avuto una giornata pazzesca, piena di impegni e di corse. Lo diceva come se fosse stato un giorno particolare, diverso dagli altri e non si rendeva conto che quelle erano le sue giornate ogni settimana che Dio mandava in terra. A Salvatrice Vittima Rottermeier Sognatrice dispiaceva che la sua amica campasse in quel modo e cercò di dirle che era importante che si prendesse cura di sé, che non era giusto farsi sfruttare al lavoro, né che tutto il peso della famiglia ricadesse su di lei, o che dovesse sopportare le ingerenze dei suoceri. In fondo al cuore Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre lo sapeva e desiderava una vita diversa, ma si trovava in un punto della sua esistenza in cui ciò che aveva costruito ruotava intorno ai suoi messaggi di copione e tutti da lei si aspettavano che lo spettacolo proseguisse secondo il canovaccio. Cambiare le cose avrebbe significato non solo disubbidire ai potenti messaggi ricevuti nell’infanzia e rinunciare alle strategie di difesa che le avevano garantito la sopravvivenza, ma anche deludere le persone importanti per lei e sparigliare le carte della sua vita senza conoscere in anticipo l’esito della partita.

Poi accadde un evento inaspettato: arrivò la Pandemia. Paradossalmente quella fu per lei una parentesi pacificante. Quando il Governo dichiarò il lockdown, Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre era con la sua famiglia nella loro bellissima casa al mare e lì rimasero per diversi mesi. Per la prima volta nella sua vita rimase a lungo lontana dall’odiata città, dall’ambiente di lavoro tossico, da quei genitori che non avevano saputo amarla, dai suoceri invadenti e poté godersi la sua famiglia, la vita all’aria aperta e un po’ di tempo per sé in un posto che amava. In quel periodo si concesse finalmente una cosa che desiderava da tanto: iniziò a praticare yoga. Questo le permise di entrare in contatto profondo con sé stessa e di sperimentare il piacere di dedicarsi del tempo. Fu allora che qualcosa scattò dentro di lei e, per la prima volta, mise in discussione alcuni messaggi di copione. Iniziò a dire qualche timido no al lavoro e continuò a ritagliarsi qualche piccolo spazio di tempo per sé. Non saltava mai una lezione di yoga e si sentiva davvero bene: più centrata, più serena, più felice.

Ma le sue spinte e le sue ingiunzioni erano radicate e potenti e le persone che facevano parte della sua vita le ricordavano continuamente ciò che si aspettavano da lei. Fu così che, con il rientro in città e la graduale ripresa della vita “normale”, quei permessi iniziarono a farsi da parte, lasciando spazio al suo collaudato copione di vita. Cominciò a saltare le lezioni di yoga e a incastrare sempre più impegni, ritrovandosi di nuovo a correre inseguendo un tempo che non bastava mai.

Ogni tanto cercava di uscire da quel meccanismo perverso e ingiusto come quando, prossima alla tappa dei 50, decise con Salvatrice Vittima Rottermeier Sognatrice di fare il viaggio dei loro sogni. Era felicissima a quell’idea e credette davvero che lo avrebbe fatto, ma poi iniziò a mettere davanti una serie di esigenze altrui, tutte più importanti delle sue. Fu così che il suo sogno finì ancora una volta chiuso in un cassetto di cui solo lei aveva la chiave.

Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre trascorse il giorno del suo cinquantesimo compleanno all’ospedale insieme alla signora Vittima, che era caduta in casa fratturandosi l’anca. Poiché come si dice i guai non vengono mai da soli, poche settimane dopo ci furono per lei altre lunghe giornate in ospedale al capezzale di Persecutore, che aveva avuto un infarto. Fu così che nel giro di due mesi, oltre a occuparsi del lavoro, dei figli e della casa e, Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre dovette prendersi cura di entrambi i genitori anziani e malati che, per giunta, vivevano dalla parte opposta della città.

Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre lavorava in una grande azienda e avrebbe potuto usufruire della legge 104, che dà diritto a permessi retribuiti per assistere famigliari invalidi, ma non lo fece perché a quell’idea si sentiva terribilmente in difetto nei confronti dei colleghi e dei Porci sfruttatori per cui lavorava.

Non sapeva chi fosse l’inventore dello smart working, ma lo benedisse ogni giorno, perché questo le diede un minimo di flessibilità per gestire la situazione. Ma quel minimo non bastava mai e l’unico modo che trovò per incastrare tutto fu usare le sue ferie per assistere i genitori. Non chiese aiuto a nessuno, perché questo non era previsto dal suo copione e, purtroppo, nessuno glielo offrì.

In quei lunghi mesi Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre perse parecchio peso e iniziò a soffrire di insonnia. La mattina si svegliava più stanca di prima e durante il giorno faticava a concentrarsi e iniziava a dimenticarsi le cose. Profonde occhiaie le segnavano un viso sempre più scavato. Dopo l’insonnia vennero le cefalee. Arrivavano all’improvviso e il dolore era così intenso che era costretta a sdraiarsi al buio finché non riusciva ad addormentarsi. Allora dormiva profondamente per ore e poi, non appena si riprendeva, ripartiva per il suo tour de force racimolando le poche energie disponibili. Dopo l’insonnia e le cefalee arrivarono i collassi. Il primo avvenne in ospedale un giorno di luglio in cui il termometro toccò i 43 gradi centigradi. Era andata ad accompagnare il padre per una visita cardiologica, dopo che nel fine settimana aveva portato la figlia al mare da un’amica, era andata a prendere il figlio che rientrava da un campo sportivo in montagna e, la sera prima era andata col marito alla festa di un loro amico fuori città, tornando a casa alle tre di notte. Fu così che, mentre era in fila per pagare il ticket, iniziò a sudare e a sentire un formicolio sempre più forte. Poi vide tutto nero e perse conoscenza. Fu immediatamente assistita e furono fatti tutti i controlli necessari. La diagnosi fu “collasso nervoso”. Le dissero che sarebbe bastato tenersi riguardata e tutto sarebbe andato a posto. 

A casa di Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre tutti si preoccuparono molto e Compagno della vita iniziò a essere più presente, a occuparsi dei ragazzi e della casa come non aveva mai fatto prima. Lei fu commossa da tante attenzioni e, settimana dopo settimana, iniziò a recuperare le forze e la fiducia di potercela fare. Quando si sentì abbastanza bene iniziò a riprendere in mano le fila della sua vita al servizio degli altri. E, settimana dopo settimana, Compagno della vita iniziò a recuperare i propri spazi e a riprendere in mano tutte le sue passioni e i suoi impegni.

Passò l’estate, pesante per via del gran caldo, ma alleggerita dal poco traffico del mese di agosto. 

Dopo l’estate venne l’autunno, più leggero per via delle temperature più fresche, ma appesantito dalla ripresa delle scuole, delle attività extrascolastiche dei figli, dalle scadenze al lavoro e dalle visite dei genitori.

Dopo l’autunno venne l’inverno, con un picco di stress causato dal traffico impazzito e dalle corse per i regali di Natale, ai quali Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre teneva moltissimo. 

Mancavano pochi giorni a Natale il giorno in cui Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre mentre guidava sulla tangenziale per andare dai genitori, ebbe il suo secondo e ultimo collasso.

Fu così che, mentre si occupava di chi non aveva saputo prendersi cura di lei, Salvatrice Vittima Lavoratrice indefessa Moglie Madre perse la vita sul cemento della città che odiava, nella stagione che odiava, sotto un cielo incolore dal quale iniziavano a scendere i primi fiocchi di neve.

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1 commento »

  1. Trovo piuttosto interessanti i richiami, non so se voluti o meno, all’analisi transazionale di Eric Berne, e ho molto apprezzato il fatto che tutti i personaggi presenti siano privi di nome.
    Come scrisse Shakespeare “Cosa è un nome, una rosa smetterebbe di avere lo stesso profumo se la chiamassimo in altro modo?”
    Sicuramente più interessante chiamare i personaggi per quello che rappresentano nella vita quotidiana, per come le loro caratteristiche si evolvono nel tempo andando ad aggiungersi a quelle introiettate nell’infanzia, atte a stabilire il ruolo all’interno della società.
    Uno scritto drammatico e lineare.
    Grazie

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