Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Lunedì mattina” di Giulio Traversi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Dario in macchina con la radio accesa e i fari rossi delle luci d’arresto, in fila. Piove e il fumo esce dal motore surriscaldato. Tutti i vetri appannati, macchioline di pioggia dappertutto offuscano la vista, i tergicristalli scandiscono la monotonia di un lunedì mattina. Sono le otto e trenta ma è come se fosse sera, d’inverno.

Mattina bagnata. Ogni metro più avanti Dario guarda dentro l’abitacolo degli altri e cerca lo sguardo degli altri. Se riconosce gli sguardi. Quando ci si incontra si prova imbarazzo. Se gli occhi sono estranei si possono fissare, assorbirli nei pensieri, perché non esistono.

Gli occhi degli altri non esistono finché non ti guardano.

Il peso degli occhi addosso.

Qualche altro metro in avanti, e qualcuno con l’ombrello aperto corre saltando tra le pozzanghere.

Impermeabili bianchi.

La sigaretta è accesa.

Oggi piove.

Fuori dall’abitacolo manca il saliscendi ipnotizzante per il parabrezza. Uscire dalla pioggia e bagnarsi il volto, scolarsi, sotto un albero. Ma l’acqua scende giù come un peso sulla testa e stai con gli occhi fissi, non puoi muoverti; piove giù fitto col fumo del rombo del motore e i fanali rossi e i fari nel buio delle otto di mattina.

Radio. Spenta. Semaforo rosso.

Davanti alla macchina di Dario una ragazza attraversa le strisce pedonali, le cade qualcosa sull’asfalto, lei s’abbassa per raccogliere, poi si volta e riconosce chi c’è dentro l’abitacolo. Ciao, fa con la mano. Dario la vede, non la riconosce. Lei ripete in mezzo alla strada, Ciao, e s’avvicina al finestrino. Ciao, risponde Dario dal finestrino, non ti avevo riconosciuta, vuoi un passaggio? Dario non pensa più all’acqua che scroscia ma saluta Annamaria che ora sta lì seduta sul sedile nero dentro l’abitacolo; la riconosceva poco alla volta: gli occhi gli occhiali che non porta mai, neri come gli occhi, quella camicetta stile rivoluzione francese bianca coi merletti, i jeans le spalle larghe capelli neri tirati, un sorriso d’attesa, curioso, le solite scarpe viola coi tacchi, i tacchi coi jeans con l’acqua in giro, trafelata e nervosa; aveva in mano una borsa, l’ombrello fradicio e quella carpetta verde che le era caduta.

«Che pioggia, Dario!»

«Come stai?»

Come stai, Annamaria?, da mesi che non si vedono, qualche sms di tanto in tanto quando monta la nostalgia, tra un fidanzato e l’altro, tra fidanzati! Quante volte Dario aveva pensato di incontrarla, anche quella mattina, incontrarla per caso, per dirle qualcosa di poco casuale, ci pensava ogni giorno, per almeno cinque minuti al giorno, da diversi mesi. Come sta Annamaria?, e anche Annamaria ci pensava. Aveva fatto di tutto per dimenticarlo. E forse c’era riuscita. Dario invece aveva ancora qualcosa da chiederle, sentiva di doverla rincontrare, aveva addirittura pensato di invitarla a cena. Io sto bene, dice lei col solito sorriso ingenuo. Io sto bene e tu? Entra dài! Si va avanti, bene. Dove vai cosa fai il lavoro la sera il cinema il teatro e Ivo? Selma e Marco? Carlotta l’hai più vista? S’è lasciata, sembravano perfetti l’uno per l’altro, Giulio è un tipo difficile, uscite ancora insieme? Scrive ancora? Ho incontrato Sardella, quando suona? Il lavoro va bene, è pesante a scuola, ma va bene, la solita vita, che giornataccia! mi piace quando piove. È una pioggia allegra questa, per me.

Anche a Dario piace il rumore della pioggia.

Ma sentirlo da fuori l’automobile, con l’odore della terra e del cemento, sarebbe un’altra cosa.

«Annamaria, stai con qualcuno?»

«Perché?»

«Così.»

«Che importanza ha?»

«Non lo so. Forse per te ha importanza, per me anche, forse…»

«Allora?» ripete Dario.

«E tu?»

«Io sì.»

(non è vero)

«Che ingorgo oggi…»

«Allora?»

«Mi interessa uno.»

«Ci vai a letto.»

«Dario, non sono cose ti riguardano!»

«Dimmelo, non c’è niente di male…»

«Sei uno stronzo!»

(Apre la portiera e vuole andare via)

«Non andare, scherzavo…»

«Da quando sei diventato così stronzo?»

«Perché?»

«Lo vuoi spiegato!»

«Di solito non perdi tempo.»

Dario era abituato al cinismo e alla disinvoltura.

«Anche tu, no? Il sesso non c’entra.»

«Ne sei stata sempre convinta.»

Annamaria apre lo sportello, esce e lo sbatte. Entra nella pioggia, stenta a coprirsi con un ombrello che non si vuole aprire, e corre via. Dario esce dall’abitacolo e la chiama, Ti devo dire una cosa importante davvero. Lei fa finta di non ascoltare, poi si gira, sotto l’acqua. Anche lui sotto l’acqua che scroscia, le grida di tornare in auto. La gente intorno sta a guardare da dentro le autovetture, finché qualcuno non si mette a strillare col clacson perché Dario ha bloccato il traffico. L’auto è in fila, le chiavi appese e il quadro illuminato. Dario salta una pozzanghera, l’altra l’ha presa in pieno, Annamaria, chiama, la raggiunge e la trattiene per un braccio.

«Che sei scemo!» gli fa.

I clacson delle auto sembrano impazziti.

«Dài, parliamo un poco, ti devo parlare!» dice Dario.

«Sei tutto scemo» gli fa lei, e si mettono sotto i portici. Aspetta che sistemo meglio la macchina, dice Dario, e corre dall’altra parte e posteggia sopra il marciapiede, che quasi investe una ragazza che cammina rasente il muro per ripararsi dall’acquazzone.

Annamaria sta in piedi sotto il portico e scuote la testa e ripete fra sé e sé: Questo è proprio scemo!

«A che ora sei a lavoro?»

Lui dice che telefona e avverte del ritardo.

Lei invece è libera.

«Dove andavi?»

«A casa.»

«Che hai fatto stamattina?»

«Ho preso un caffé.»

«Saliamo a casa?»

«D’accordo. Ma vai subito via, ho da fare.»

Salgono, lei cammina avanti, lui dietro.

«Di cosa volevi parlarmi?»

«Con calma, prima saliamo.»

Da quanto tempo Dario non faceva quelle scale! Quando si conoscevano da poco tempo, saliva ogni giorno, la sera. Lui stava con lei, poi di notte andava via. E quelle scale erano sempre lì, le stesse, come un fedele guardiano. Mute. Fare l’amore era un crescendo, è stato un crescendo. Lei non parlava. Non diceva nulla. Stava ferma. Provava a muoversi, ma poi stava ferma. Lei lo faceva così. Ed era dolce ma freddo. Semifreddo. Con gli occhi chiusi, come se avesse aspettato da sempre un’onda che non arrivava, ne aveva il ricordo, un’onda come quando da bambina andava in spiaggia con i cavalloni e stava ferma sulla battigia con gli occhi chiusi, attendeva che le onde le fossero finite addosso; e cadeva e rideva, con la sabbia in bocca. Rideva dalla paura e dalla gioia, da sola, in silenzio. Non usava difese, non le chiedeva. Non le interessava. A Dario invece interessava. Forse anche per questo l’ha mollata. L’ha mollata perché era ferma. Ma voleva farlo sempre, non si tirava mai indietro.

Così, le solite scale, la solita porta, il solito letto.

«Annamaria, nonostante tutto io ti ho amato e ti amo, non mi dimenticherò mai di te.»

Annamaria lo guarda stranita. Non crede alle parole di Dario. Ma ha un sorriso di contentezza. È arrossita. Si tocca le guance con le mani.

«Vuoi qualcosa da bere?»

«Ti penso almeno una volta al giorno» ha detto lui.

«Un tè?»

«Lo sai perché ti ho lasciata?»

«Perché?»

«Perché sei irresponsabile.»

«Ne abbiamo parlato. Eri tu che avevi paura.»

«Lo sei.»

«Lo sono.»

«Lo sai perché ti amo?»

«Perché?

«Perché sei un’irresponsabile.»

«Ancora, ma che dici?»

«Che ti amo perché sei matta.»

«Mi prendi in giro, lo so.»

«Sì, ti prendo in giro.»

«E io che sto qui ad ascoltarti. Lo sai che sto con un altro?»

«Anche io.»

Mentre parlano, Dario stringe i fianchi di Annamaria e le sbottona la camicetta della rivoluzione francese. Andiamo di là, dice lei; lui invece le sbottona anche i jeans, che erano bagnati e la pioggia si sentiva ancora. E poi si sono sdraiatii sul pavimento: lei col suo solito modo di farlo aspettava che arrivasse l’onda, e che tutto andasse come doveva andare.

Vanno a fare la doccia, separatamente.

Si sdraiano sul letto.

«Tu mi ami?» dice lui.

Lei non risponde. Dice che è stato un errore.

«Lo so» risponde lui.

«Perché?»

«Così»

«Avevi nostalgia di tutto questo?»

«Forse.»

«È stato bello»

«Sì, come una volta.»

«Perchè dici che è stato un errore?»

«L’hai detto tu.»

«L’ho detto così per dire, per metterti alla prova…» dice lei.

«Hai ragione.»

«Un errore ma non importa» dice lei.

«Non importa, è vero» dice lui

«Sorridi?»

«Mi fai sorridere.»

«Anche tu» dice lei.

«Perché è stato un errore?» chiede lui.

«Perché oggi forse pioveva» ha detto lei.

Dario si riveste e saluta la sua ex fidanzata.

Annamaria è contenta, rimane coricata svestita sotto le lenzuola, pensa quanto sia scemo Dario, e quanto siano belle le giornate di pioggia: non è bella questa pioggia? è una pioggia allegra, il rumore sui vetri, le nubi basse, il ticchettio delle gocce sulla ringhiera, l’odore d’umido della terra; Annamaria s’addormenta, anche se sono già le undici e un sottile raggio di sole ha bucato appena il cielo dall’alto.

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1 commento »

  1. Anche le storie apparentemente vuote riservano delle sorprese, questa narrata è una di quelle che confermano che spesso non c’è una spiegazione plausibile per lo stare insieme. Ci si può sentire attratti senza che vi siano motivi sostanziali. Può anche essere che sto sbagliando tutto e che ancora una volta invece siamo in presenza del trionfo del non detto e dunque del misterioso motivo che impedisce a volte alle coppie di comunicare vissuti e sentimenti. Solo l’autore può risolvere l’arcano

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