Premio Racconti nella Rete 2011 “Dove finisce l’amore” di Roberto Riccardi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Amore che nasce, amore che muore. Una ruota che la vita ci mette ogni giorno sotto gli occhi. Di solito però succede agli altri, quando capita a te è un’altra storia. Non so come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto, gli amici ci vedevano come una coppia inossidabile. Avevamo il nostro appartamento in un quartiere elegante, arredamento moderno con un tocco di antico, lo schermo al plasma, il Suv. Abbiamo cresciuto due figli, viaggiato, frequentato la buona società, eravamo invidiati da tutti.
Giulio arriva fra mezz’ora. Da un mese si è trasferito in un residence, dice che ha bisogno dei suoi spazi, ha bisogno di riflettere. Anch’io sto pensando molto negli ultimi tempi, magari è un modo per recuperare, in passato non lo avevo fatto abbastanza. Non mi ero interrogata, non ero stata attenta ad interpretare i segnali.
La vita fa così. Ti avvolge in una quotidianità piena di avvenimenti di apparente importanza, una tempesta di rumori che ti assalgono da ogni direzione, e in mezzo a quel frastuono non ti accorgi del silenzio che regna fra le pareti di casa tua.
Come abbiamo fatto a ridurci così, amore mio? Ammesso che abbia senso chiamarti amore. Mi ricordo il giorno in cui ci siamo conosciuti, in una libreria del centro dove ogni tanto mi trovo ancora a passare. Tu sedevi in seconda fila, da promettente critico letterario qual eri ascoltavi attentamente e annotavi con diligenza i passaggi più importanti sul tuo Moleskine nero. Io come al solito ero arrivata in ritardo e mi sono seduta in fondo, avevo incastrato la presentazione fra mille impegni perché avevo letto il romanzo e mi aveva conquistata.
La scrittrice era bella e tu non le staccavi gli occhi di dosso, chinavi il capo per assentire a ogni affermazione, ridevi a ogni tentativo di battuta anche se nessun altro lo faceva. Perché lei era impacciata, non era per niente a suo agio, parlare e scrivere sono due talenti diversi, l’uno non implica l’altro. Aveva un eloquio involuto, si ripeteva di continuo e il pubblico si stava annoiando. A un certo punto un signore si è alzato ed è uscito, altri lo hanno imitato e tu ogni volta li guardavi male, poi ti voltavi di nuovo verso di lei e sembrava che volessi dirle: “Non curartene, sono degli stupidi, tu vali molto più di loro”.
È strano, ma è stato allora che ho iniziato ad amarti. Avevo smesso quasi subito di osservare il tavolo dei relatori e tenevo lo sguardo fisso su di te, con un pizzico di assurda gelosia. È stato allora che mi sono accorta dei tuoi colpi di tosse meccanici e continui, molte persone che ti conoscono da anni non li hanno mai notati.
Finalmente la presentazione è finita. Avevo già il libro, ne ho acquistata un’altra copia e sono passata a farmela firmare solo per farti piacere. Ormai nella sala eravamo rimasti in pochi, tu eri accanto all’autrice e io come una stupida ho cominciato a parlarle del suo romanzo: “quanto mi ha colpita”, “una prosa degna dei maggiori autori del Novecento”. Al mio ennesimo commento entusiastico mi hai guardata di traverso, sotto le lenti dorate dei tuoi occhialetti tondi da intellettuale, per un attimo mi è sembrato che sorridessi.
Prima di uscire ho aspettato che anche tu salutassi la donna, avevo paura che potessi restare solo con lei. Ho sentito quando le hai promesso di mandarle in anticipo la recensione, che naturalmente sarebbe stata perfetta. Le tue lo sono sempre, è un’altra cosa che amo di te. Dovrei dire “che ho amato”, prima o poi mi ci abituerò.
Ti ho seguito senza una ragione, andavi nella direzione opposta alla mia ma non m’importava, volevo portare ancora un po’ con me il tuo profilo distinto e affilato, il colore intenso dei tuoi occhi che in realtà non vedevo più. Eri davanti a me e avevo solo la tua schiena, su una strada bagnata di pioggia che portava chissà dove.
Dopo un po’ però ti sei girato e questa volta ne sono stata sicura: stavi sorridendo, sorridevi proprio a me, una stupida dipendente di un’azienda di trasporti che passava il suo tempo a leggere romanzi d’amore e a sognare di vivere le stesse avventure. Una piccola, scialba impiegata che non aveva uno straccio di fidanzato e si era invaghita di uno sconosciuto visto a una presentazione per una burla del destino.
“Faccio anch’io così” mi hai detto, sorprendendomi. Devo averti guardata con un’aria totalmente stralunata, perché ti sei affrettato a spiegare. “Quando un libro mi colpisce, se vado a un incontro con l’autore e ho dimenticato la mia copia, ne compro subito un’altra”. Io ero nel pallone e non capivo ancora. Non capivo nulla a parte il fatto che ti eri fermato, con un lampo nascosto dei tuoi occhi di cielo mi avevi vista anche se ero dietro di te e adesso mi stavi parlando, parlavi proprio a me. “Per via dell’autografo” hai aggiunto, non sapendo più come fare per aiutarmi a comprendere. “L’autografo, certo” ho risposto. Per un riflesso ho infilato una mano nella borsa, a toccare quel libro che mi aveva dato tanta emozione e ora mi portava qualcosa di molto più importante.
Sei mesi dopo eravamo fidanzati ufficialmente, un altro anno e ci trovavamo su un altare, io felice come non ero mai stata, come non sarei stata più. Ricordo perfettamente di essermi chiesta, un attimo prima del sì che ci ha uniti, da dove era saltato fuori tutto l’amore che provavo per te. Non capivo quale spazio avesse potuto contenerlo, per poi lasciarlo venire a riempire il mio cuore. Ora mi chiedo dove sia andato a finire. Magari nel posto in cui si trovava prima che noi due c’incontrassimo, una stazione dove la passione è ferma in attesa di raggiungerci e ritorna quando la smarriamo lungo il cammino. Perché è questo che ci è successo, Giulio, non è vero? Lo abbiamo perso per strada, il sentimento che ci teneva legati come se fra noi ci fosse un filo invisibile che c’impediva di stare lontani.
Stefano mi passa davanti senza vedermi. Sta andando in palestra, oggi è mercoledì. Gli urlo di prendere la borsa, come al solito la stava dimenticando, se ne sarebbe accorto una volta arrivato, al momento di cambiarsi. Hanno ancora bisogno di noi, i nostri figli, anche se tu da qualche tempo mi dici il contrario.
Laura non ha nemmeno dato il suo esame, l’altro ieri, ma tu non lo sai. Lei non ha avuto il coraggio di dirtelo e tu non sai più niente di quello che avviene o non avviene in questa casa.
Fra poco sarai qui. Il tempo scorre inesorabile, a momenti ti avrò di fronte e sarò costretta a chiedermi cosa è cambiato fra di noi, dal momento che io e te siamo gli stessi di allora, sono uguali i tuoi occhi, è uguale anche il sole di marzo che promette tepori dolcissimi.
Forse dovrò chiedermelo per il resto della mia vita, mentre tu andrai avanti con un’altra donna accanto. Almeno non sarà quella scrittrice, ormai vecchia, che in un giorno lontano mi ha ferito il cuore senza che io riuscissi ad odiarla.
Però qualche volta te lo chiederai anche tu, cosa è cambiato, perché ventisei anni di vita non sono acqua, i nostri figli non lo sono, non è acqua nemmeno quel giorno a Berlino, quando camminavi distratto e un automobilista ti stava investendo, tu attraversavi col rosso e lui aveva ragione, non era tenuto a fermarsi. Io mi sono lanciata verso di te e ti ho tirato indietro appena in tempo, e tu che non avevi visto nulla mi hai urlato “Cosa fai?”, non capivi perché ti avessi strattonato a quel modo.
Poi la sera in albergo, dopo che abbiamo fatto l’amore, mi hai cinto le spalle con un braccio e mi hai detto “Mi hai salvato”. Io ho chiuso gli occhi e mi sono sentita bene, senza pensarci ti ho risposto “Anche tu lo hai fatto”. Pensavo a com’ero triste e sola prima d’incontrarti. Domani mi sentirò di nuovo così, quando te ne sarai andato per sempre e io resterò in questa casa che avrà mille tracce della tua assenza.
La chiave gira nella toppa. Com’è possibile che io la senta? Per forza, sono nell’ingresso, davanti alla porta, me ne rendo conto solo adesso. Entri, ti guardo e chissà perché vorrei chiederti se quella sera, dopo la presentazione, ti sei accorto per sbaglio della mia presenza o sapevi dall’inizio che ti avrei seguito. Ma se è così vuol dire che sapevi già tutto, pure che oggi saremmo stati qui, uno di fronte all’altra, a ricordare insieme il nostro amore buttato alle ortiche e a dirci che è stato bello finché è durato, tanto per trovare il positivo. Vorrei proprio capire come hai fatto a sentire che ero alle tue spalle e perché diavolo ti sei girato, invece di continuare ad andare per la tua strada. Ma non ne ho il coraggio.
Che strano, in questo momento stiamo di nuovo camminando fianco a fianco. Ci dirigiamo insieme verso il soggiorno, in un silenzio che parla per noi. Quando siamo vicini alla nostra libreria, dove nessun volume si trova a caso nel suo scaffale, trovo finalmente le parole. Soltanto tre, non me ne servono di più. “Finisce tutto qui?”. Tu non dici niente, raggiungi ad occhi bassi la finestra e ti metti a guardare il cortile.
Struggente, molto ben scritto, attuale e vero. Succede proprio così, ho diverse amiche che sono state lasciate così, senza riuscire nemmeno a capire perché.
Lo hai raccontato con grande intensità e partecipazione, grazie.
Chiara
E’ un bel racconto, davvero strane coincidenze,anch’io parlo di amori che finiscono e dal punto di vista di un uomo, tu da quello di una donna.Che la scrittura ci aiuti forse a vedere gli aspetti della vita da diverse angolazioni? Intanto i miei sinceri complimenti al tuo scritto, se vorrai “urtare contro il mio Muro” puoi aprire qui:
http://www.raccontinellarete.it/?p=5424
Francesca
Sono contenta di “aver urtato per caso” contro il tuo racconto. Li sto aprendo un po’ a caso: qualche delusione, qualche sorpresa e, nel tuo, un’emozione. Un bel racconto, scritto dal punto di vista femminile con maestria, visto che sei un uomo e che, in teoria, non sai (non lo sapete mai…) come pensa una donna.
Auguri di cuore.
Nicoletta Molinari
Niente da dire, ci si deve mettere giusto mettere sull’attenti. Complimenti.
Da usare come un esorcismo.
Quando mi imbatto in vicende come questa, caratterizzata da abbandoni più o meno reciproci, scopro puntualmente che al di la del tema, sicuramente tra i più trattati, ogni storia aggiunge sempre un nuovo, importante tassello all’argomento, soprattutto quando affrontato con passione e partecipazione attiva da parte di chi scrive. Mi affascina poi il non detto, soprattutto se sistemato nel finale. Cosa dirà l’uomo dopo aver scrutato il cortile?
Sembra sia un quesito irrisolto quello del titolo, ma per tutto il racconto si sente la sofferenza e l’amarezza, quasi l’incredulità, per una lunga storia d’amore che sta per finire senza riuscire a darsi il conforto di una spiegazione. Ma forse una spiegazione davvero non esiste.
Un bel racconto, in cui il legame di coppia viene raccontato nella sua espressione più amara.
Nikki Simonetti
Gioacchino De Padova