Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “Fantasmi” di Aldo De Michelis

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

Mattina presto.
Malgrado non ne avesse più bisogno non riusciva a svegliarsi più tardi delle 7.
Mancanza di bisogno di sonno o indotto senso di responsabilità?
Se lo era chiesto tante volte; senza risposta, come tante altre domande.
Un’occhiata alla stanza, sempre la stessa.
Sorrise pensando al disordine che regnava nella sua casa.
Malgrado tutti i buoni propositi nessuno aveva come dono quello dell’ordine.
Una famiglia tutto genio e sregolatezza, pensò dirigendosi verso la cucina per prepararsi il primo caffè della giornata.
In una mattina simile di molti anni prima si era trovato davanti alla prima vera responsabilità della sua vita: comunicare la morte del fratello più piccolo al fratello superstite.
Lo aveva incaricato la zia da cui erano stati mandati la sera prima.
Una telefonata durante l’ora di cena.
I genitori che scappavano e gli lasciavano confuse istruzioni, l’arrivo dei nonni, una seconda telefonata che aveva fatto stare male il nonno, la corsa alla ricerca di una medicina per il cuore.
In quel momento aveva realizzato che il più piccolo della famiglia era morto.
Il trasferimento dalla zia e quella strana sensazione…… doveva sembrare tutto normale.
Passata la notte e arrivata la luce del giorno però il mistero doveva però essere svelato.
Era stato scelto lui. Non gli sembrava possibile. Ancora non aveva inteso cosa volesse dire MORIRE e doveva comunicarlo al fratello.
Lo aveva fatto. Aveva immaginato pianti, disperazione, recriminazioni. Invece nulla. Aveva continuato a giocare al piccolo flipper di plastica rispondendo un semplice “lo so’.
Come tante altre volte si trovò a pensare se e quanto questo lutto avesse modificato la sua vita.
Ma la caffettiera cominciava a borbottare.
Si versò un’abbondante dose nella grande tazza e prese a sorseggiare la bevanda bollente.
Una volta la prima tazza di caffè era necessaria per accendere la prima sigaretta della giornata.
Da tempo aveva smesso. Era una cosa della quale andava orgoglioso.
Liberarsi da una schiavitù.
Purtroppo in una vita le schiavitù sono tante….
La giornata poteva dirsi iniziata. Aveva da continuare lo scavo.
Nei due giorni precedenti aveva lavorato con impegno, ormai la buca era profonda quaranta centimetri, sessanta la larghezza e due metri l’altezza.
Il suo progetto prevedeva di arrivare ad almeno un metro di profondità.
Ci sarebbero volute almeno altre tre-quattro giornate di lavoro. Aveva tempo.
Quante volte aveva scavato quel terreno!
Ricordò la costruzione del recinto delle tartarughe. Ci volle una giornata intera.
Un lavoro immenso….. una giornata.
Una buca…… una settimana.
Cominciò a scavare. Picco e pala.
Ogni tanto si fermava e si detergeva il sudore.
La montagnola di terra lentamente cresceva e la buca diventava più profonda.
Erano ormai le nove e mezza.
Tra poco sua moglie sarebbe comparsa sulla porta. Da che i ragazzi erano andati via di casa lei si alzava più tardi.
Si era sempre chiesto se la ragione fosse la stanchezza, il fatto di non avere più molto da fare o il sistema per evitare lunghi momenti di intimità.
Sperava fosse semplice “pigrizia”.
Dopo pochi minuti, come previsto, lei comparve sulla porta di casa.
“Amore, dove sei”?
La risposta fu la stessa di sempre: “a Milano”.
Non faceva più ridere nessuno dei due, ma veniva riproposta da oltre 40 anni, sempre uguale, prevista eppure indispensabile alle tante convenzioni che esistevano e venivano santificate giornalmente.
Sorrise pensando a quanto non amava l’epiteto di “amore”, non lo amava ora e non lo aveva amato anni prima.
Le carinerie non erano ammesse.
Anche queste eredità di un passato pesante?
Lei si fece avanti.
Arrivata in prossimità dello scavo domandò: “ma chi devi seppellirci qui dentro”?
“Ho ucciso un giovane screanzato” rispose lui.
Naturalmente la risposta causò una certa ilarità.
“Certo” disse lei.
“Vuoi un altro caffè?”
“Sì, grazie” disse lui pensando all’effetto della tanta caffeina sulle sue arterie ormai consumate.
La mente corse veloce a tre sere prima.
Aveva giocato un’altra maledetta partita di pallone.
Il ragazzino che gli era toccato marcare era veloce e, lo ammetteva con rincrescimento, piuttosto bravo.
Naturalmente la differenza di età si era sentita.
Lo screanzato si era dimostrato poco rispettoso.
Alla fine della partita, dopo essersi complimentato con lui, lo aveva invitato a bere una birra.
Ucciderlo non era stato difficile.
Le mani che si stringevano sul collo.
Qualche sussulto.
Il giovane screanzato non si aspettava un’aggressione.
Il colore del viso diventava sempre più congestionato.
Le braccia, protese verso le sue mani, a poco a poco si allargavano come in una accettazione del proprio destino.
Un destino di morte.
Si sarebbe aspettato grida, singulti, sofferenza. Invece nulla. Come tanti anni prima. La morte, così tanto temuta, apparentemente, non lasciava traccia.
Un corpo ormai inanimato giaceva ai suoi piedi, e questa volta non avrebbe dovuto dare comunicazioni luttuose a nessuno.
Rientrò in casa a bere il caffè ormai pronto.
Frasi di routine.
Cosa mangiamo oggi.
Chissà se qualcuno dei nostri figli verrà a trovarci….. le solite illusioni dei vecchi.
Lei sperava sempre in una visita.
Lui aveva smesso da quando i figli avevano creduto di essere indipendenti.
Lo capiva.
Anche a lui era accaduto.
Voler diventare grande.
Aspirare alla indipendenza.
Dimostrare di essere capaci.
Invecchiare.
È curioso. Non rassegnarsi alla vecchiaia e, allo stesso tempo, aspirarci.
I ragazzi, di tanto in tanto, andavano a trovarli.
Erano visite brevi, dove si raccontavano avvenimenti.
Non era sicuro di riuscire a seguire tutto quanto gli veniva detto, ma si sforzava di comprendere.
A volte era più faticoso che correre dietro a qualche giovane giocatore….
Ma loro erano i suoi figli. Anche se non era stato capace di abbattere il muro che inevitabilmente si crea ad un certo punto delle reciproche esistenze, li amava e si illudeva del fatto che anche per loro fosse lo stesso.
Il caffè, come sempre, gli causò un piccola vertigine.
Non poteva arrendersi ora, c’era un lavoro da finire.
La sparizione del giovane calciatore presto si sarebbe notata e, forse, avrebbero potuto sospettare anche di lui.
Pensò che il cadavere del giovane presto avrebbe cominciato a deteriorarsi attirando qualche animale nel giardino.
Non voleva succedesse.
Il lavoro era ancora lungo.
Si diresse verso lo scavo.
Ci sarebbe voluto ancora molto.
Magari poter avere ancora la forza e resistenza di una volta…. ma in quel caso non avrebbe avuto bisogno di uccidere!
Affermava la sua vitalità: il tempo non lo avrebbe piegato.
Si sentiva vivo. Il sangue pulsava, le braccia dolevano dalla fatica, le gambe si piegavano sotto lo sforzo della vanga.
Era ancora vivo!
Ce la avrebbe fatta anche questa volta.
Si rammentò dei tanti incubi che avevano popolato le notti di quando era più giovane: non sapere come nascondere il frutto di un suo omicidio.
Ora non aveva questa paura.
Aveva solo bisogno di tempo.
Chi avrebbe mai sospettato di quel candido vecchietto?
La vanga continuava ad allargare la ferita nella terra. Come si apriva! Le sue braccia secche parevano dotate di una grande forza.
O era solo un’illusione?
Una delle tante.
A volte gli sembrava di sentire delle voci.
Credeva di parlare con qualcuno.
Poi si accorgeva che nulla era successo.
Di solito parlando con altri.
Una sua affermazione e di rimando un commento del suo interlocutore apparentemente fuori luogo.
Rimaneva perplesso.
Aveva ormai imparato che era lui l’anello debole della catena. Era lui che non aveva capito, lui che aveva sentito voci inesistenti, lui che aveva immaginato discussioni mai avvenute.
Era come tornare bambini.
Le giacche e le maglie che nella notte diventavano mostri.
I tragitti verso la sicurezza della camera dei genitori; lo stop imposto: “sei grande oramai, torna nella tua camera”.
Non c’era nulla di cui avere paura.
Comunque l’aveva.
Un rumore improvviso. Si girò e gli sembrò di scorgere l’ombra di qualcuno.
Impossibile. Era solo se si escludeva il corpo del giovane giocatore che certo non poteva essersi mosso.
Il sudore gli stava colando sugli occhi facendoli bruciare in maniera assai dolorosa.
Decise di sciacquarsi il volto.
L’acqua fresca gli diede subito sollievo, lo straccio posato sull’aiuola servì ad asciugarsi. Poteva ricominciare il lavoro.
Andando in profondità il colore della terra cambiava, si faceva più scuro.
Umidità.
Aveva fatto più in fretta di quanto avesse pronosticato.
Non era poi così fuori forma!
Lombrichi. Dimostravano la bontà della terra.
Corti serpenti rossi che venivano colpiti dalla vanga. Spezzati in due si contorcevano per continuare il loro lavoro anche se dimezzati.
Negli anni dell’infanzia questi cilindretti di carne erano stati protagonisti di storie raccapriccianti.
Facevano schifo alle ragazze e venivano immaginati spazzini delle carogne di inesistenti nemici facenti parte di bande avversarie contro le quali si sognava di combattere.
Che giornate!
La nostra banda. Soli contro tutti….e sempre vincenti!
Questa volta l’aveva vista. Era un’ombra molto grande che si spostava velocemente come i suoi pensieri.
Gli era passata dietro le spalle, ne aveva sentito lo spostamento d’aria. Non poteva essersi sbagliato.
Uscì dalla buca e fece qualche passo indietro.
Incespicando nel piccone posato a terra evitò di un pelo la caduta.
Però…..che riflessi! Era riuscito a non cadere.
Ritornò a rinfrescarsi il volto. Faceva caldo. E aveva l’impressione di essere osservato.
Impossibile.
Non c’era nessuno. Ne era certo.
Non aveva voglia di andare a vedere gli occhi senza vita della sua vittima.
E poi un morto non si muove ed i fantasmi non esistono.
Lo sapeva.
Quante volte tra ragazzini si erano raccontate storie di sepolti vivi, fantasmi, spettri? Tutte fantasie.
Era quello che, più o meno tutti, si ripetevano nel buio della propria camera mentre si faticava a prendere sonno: NON ESISTE E’ SOLO FANTASIA.
“I fantasmi non esistono”, si ripeteva a distanza di decine di anni, ora.
Ma l’impressione era reale, molto reale.
C’era qualcuno.
La moglie non poteva essere, era in casa.
In giardino c’era solo lui e l’ex giocatore a cui aveva accorciato la carriera.
Si decise ad andare a controllare.
Aveva sistemato il corpo in un sacco che aveva fatto entrare, a fatica, nel piccolo ricovero attrezzi in plastica che si trovava sotto il grande pino marittimo che alleviava la calura nelle giornate estive.
Cinquanta metri davanti a lui.
Lentamente si mosse in quella direzione.
Il contenitore plastico era schermato dal grande tronco che lasciava però visibile una delle porte.
La porta gli sembrò leggermente aperta.
Il suo cuore prese a correre. Sentiva distintamente i battiti. Li sentiva nel petto e nella testa. Sempre più forti e rimbombanti.
Sudori freddi gli bagnavano la fronte.
Le gambe si fecero rigide, faceva fatica a muoverle.
Ma doveva andare avanti, doveva sapere………..
I metri si riducevano lentamente.
Era a metà strada ormai e la visuale era meno parziale.
Le porte erano tra loro discoste, parzialmente aperte. Lo vedeva. Ne era certo.
Ancora qualche passo. Faticoso, lento, pesante…..
Il cuore pompava velocissimo e un dolore sordo cominciava a farsi strada dentro di se’.
Non poteva stare male ora. Non poteva non sapere.
…………………………………………………………………………………………………
Il mondo divenne tutto nero. Poi più nulla.
Silenzio.
Silenzio.
Quando riaprì gli occhi era tutto luce.
Tutto candido.
Strizzò gli occhi, la luce era troppo forte, lo accecava.
Dove era?
Era questa la morte?
Poi vide il viso familiare della moglie.
Possibile che fossero morti assieme?
Lentamente altri volti lo fissarono.
I suoi figli.
Non era possibile.
Era vivo.
In ospedale.
Provò a parlare. Non ci riuscì e fu panico.
Probabilmente chi lo stava osservando capì il suo stato d’animo e lo rassicurò, non era successo nulla di particolarmente grave.
Si sarebbe ripreso presto, qualche giorno di riposo.
Nella sua mente si fecero strada gli ultimi momenti prima del buio.
Vagamente si fece strada nella sua mente il terrore: c’era un corpo in giardino. Quanto tempo era passato?
Lo avevano trovato?
Non riusciva a parlare. Gli pareva che le labbra si muovessero ma non ne usciva alcun suono.
Si chinarono su di lui per tentare di capire…………
Flebilmente: “in giardino, in giardino”
“Sarà ora che la smetti di affaticarti troppo in quel dannato giardino” disse sorridendo la moglie.
“Ma nel posto degli attrezzi…….?”
“Tranquillo, la buca per i carciofi l’abbiamo finita noi e abbiamo rimesso in ordine tutto” dissero i figli.

Loading

2 commenti »

  1. Uno stile di scrittura scorrevole.
    Il racconto ha abbastanza ritmo e suspence con una sorpresa finale.
    Ho apprezzato il finale aperto.
    Mi è piaciuto.

  2. Molto ben scritto e articolato. Fantasia che, per alcuni aspetti, sembra realtà. Mi è piaciuto molto pur non appartenendo al genere di letteratura cui sono avvezzo. Promettente autore di avvincenti racconti.

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.