Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Buona fine e buon principio” di Michela Fabbrini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Quattro ragazze decidono di trascorrere l’ultimo dell’anno a Cortina: tutte libere e belle, molto pronte per attrarre maschi temporaneamente liberi e belli anche loro.

Partenza alle tre del pomeriggio da Firenze: appuntamento a casa della Francesca, zona Piazzale Michelangelo, che ha una macchina bomba, una BMW X6, nera superaccessoriata, davvero di lusso.

Le quattro moschettiere meritano una accurata descrizione.

La Francesca è una cavallona di un metro e ottantatre, mora, extention lunghe fino al culo, davvero notevole tra l’altro, due tette notevoli anche loro, ma rifatte. Grandi occhi verdi, con ciglia al super mascara, una bocca carnosa e sensuale. Ha 34 anni ed è single perché separata da pochi mesi. Ha dei genitori ricchissimi e lei oltretutto è anche la cocca del papà, cosa che sfrutta abilmente ottenendo qualsiasi cosa le passi per la testa. Vuole partire subito.

Poi c’è la Sofia, i genitori fanno parte della media borghesia fiorentina come quelli delle altre due, anche lei è molto bella, un poco più bassa della prima, capelli color rame, magrissima, gambe chilometriche e un seno abbondante e naturale. A 29 anni fa ancora la modella perché sembra sempre una bambina con le trecce. Ha voglia di bere, ed è presto.

La terza, la Chantal, alta circa uno e settantotto, ha il padre di colore, dei Caraibi, forse Cuba. Uno schianto di cinquantenne che fa lo psichiatra. La madre invece è di Firenze. La pelle di Chantal ha il colore del cioccolato al latte, sfoggia un fisico da pantera, ottenuto con ore di danza e palestra. In più ha due enormi occhi nocciola e una bocca grande e piena di denti bianchissimi. Ha 30 anni e una serie di fidanzati che non se li ricorda tutti neanche lei. Dice che è tempo di dare inizio ai festeggiamenti.

Poi per chiudere in bellezza c’è la Melania , la più piccola, che compie 25 anni stanotte, è nata infatti il primo gennaio poco dopo mezzanotte. Non è molto alta rispetto alle altre tre, ma ha un corpo e un viso da lolita, sembra un angelo con quegli occhi immensamente azzurri e la carnagione bianchissima. Un tipo efebico. Seno piccolo ma corpo perfetto: un culo d’oro e gambe ben tornite. Vuole farsi un tiro di coca.

Tosta e dispettosa come poche si contende la leadership del quartetto in perenne competizione con Francesca che essendo la più vecchia e la più ricca, la pretenderebbe di diritto.

 “Potevi caricare in macchina direttamente l’armadio Francy… ridacchia Melania limandosi un unghia rossa laccata.” Guarda che stiamo via tre giorni non tre settimane”.

“Non mi chiamare Francy innanzitutto se non vuoi andare a piedi troietta, mi porto quello che cazzo mi pare dato che la macchina è mia”. Risponde cortesemente Francesca sbuffando e gettando a terra due valigie strapiene.

“Dai figliole, interviene Chantal mentre si sistema i ricci afro ribelli dentro un cappellino di lana rossa, “ se si ‘omincia subito ‘osì io un ci vengo” Nonostante il colore e i lineamenti del viso da pantera parla spiccatamente toscano, anzi fiorentino. “Sofia diglielo anche te a queste du’ strulle, ci s’ha da fa’ quattr’ore di viaggio” dice.

“E’ vero ragazze smettetela” langue Sofia, lei è sempre molto pacata e svampita, parla a voce bassa tanto che spesso non si capisce quello che dice e deve ripetere. Se ne frega di tutto e di tutti ad un punto tale che la gente immagina provenga da un altro pianeta.

 

Tra un battibecco e l’altro e con l’auto stracarica di valigie riescono a partire. Appena imboccata l’autostrada si guardano tutte e quattro e esclamano all’unisono: “cominciamo a festeggiare subito!”.

Di fronte a ognuna c’è uno specchio per il trucco, un monitor per vedere film o andare su internet e un mini bar centrale molto ben fornito.

Melania tira fuori dalla borsa con espressione furbetta un sacchetto di plastica trasparente: all’interno c’è un sasso bianco e polveroso.

“Ragazze questo è il meglio del meglio, una cosa del genere non l’avete mai assaggiata e neanche io. Me l’ha portata ieri sera il mio amico brasiliano, quello che fa i viaggi da là all’Italia: ha detto che è una cosa speciale per il mio compleanno”. Poi mentre preparava tre strisce prosegui: “A parte che me lo sono fatto perché è un fico della madonna, ma questo non c’entra, appena arrivato me l’ha fatta assaggiare e vi posso assicurare che è strabuona.”

Francesca quando guida non beve, non fuma e non tira. Inoltre non permetterebbe a nessun’altro di guidare il suo bolide. Le altre invece si incipriano il naso diverse volte durante il viaggio e si stanno divertendo.

 Giunte alla barriera di Milano sud decidono di fare una sosta in autogrill: bere e tirare stimola molto la vescica. Sebbene un po’alterate le ragazze non sono tese perché la coca che hanno consumato è molto vicina alla purezza. Non contiene anfetamina, cioè rende apparentemente lucidi i pensieri e trasmette un diffuso benessere psico-fisico senza provocare nervosismo e agitazione. Infatti non digrignano i denti.

Quando le quattro bellezze scendono dall’auto, per dirigersi verso il bagno delle signore, tutti i maschi presenti fuori dal bar osservano passare tutto quel ben di dio con gli occhi di fuori. Non sentono più neanche la morsa del freddo intenso di fine dicembre. Anzi la maggior parte di loro decide di aspettare che escano per ammirarle ancora.

 

“Ehi ragazze questo cesso è un vero cesso” dice Francesca sistemandosi le autoreggenti.

“Davvero a me mi fa rivoltà lo stomaco” risponde Chantal “mi scappa da vomitare” e si volta di scatto appoggiando la mano sul lavandino.

“Forza usciamo subito da qui” sospira Alice con la mano a molletta sul suo bel nasino.

“Andiamo al bar così ci facciamo sbavare ancora un po’ dietro dai camionisti, avete visto come ci guardavano?” Melania parla e intanto si sta guardando il culo nello specchio come per essere sicura che sia ancora lì. Mentre stanno per uscire si avvicina una zingara con alcune rose in mano:”Prego belle signorine, 5 euro una rosa e vi leggo la mano”. La osservano con espressione disgustata dalla quale non traspare un minimo di umanità, poi Francesca parla:”Dio che puzzo, stai alla larga, il tuo odore è insopportabile”, le fa eco Melania:” forse appesta così perché vive nei cessi.” E giù risata generale.

Ma la donna le sfida con sguardo fiero, puntando i suoi crateri neri contro ognuna di loro. Poi scandendo molto lentamente le parole dice: “ possiate subire voi stesse ogni umiliazione che avete inferto ad un altro essere umano. Accadrà molto prima di quanto pensiate.”

 Detto ciò dando le spalle alle ragazze e se ne va rercitando sottovoce una specie di litania.

Seguite dai fischi e dai commenti un po’ volgari dei camionisti le ragazze salgono in macchina chiudendo tutti e quattro gli sportelli insieme e filano via come il vento.

Nel giro di un paio d’ore sono già nella suite del loro albergo, con Francesca la velocità di crociera si aggira tra i 190 e i 220 chilometri orari. Come da programma il posto è splendido, di gran lusso, con delle stanze enormi e una vista mozzafiato sulle alpi innevate. Ma loro sono molto più interessate ad un altro tipo di neve.

“Sofia perché non esci per un attimo dal tuo universo parallelo e prepari quattro righe” suggerisce Francesca, poi ci ripensa e dice “anzi no, lascia perdere ci penso io, che mi devo rimettere in pari con voi tre”.

“Bimbe perché un ci si ‘ambia, e ci s’ha da provassi dumila vestiti, ‘ndiamo su” dice Chantal.

Insomma tra cambi d’abito, bottiglie del minibar vuote e quant’altro alle 21 sono pronte per presentarsi alla cena presso la dimora di un certo conte, un nobile di origine francese che ha poco più di vent’anni e spende svariate migliaia di euro in sontuose cene al castello di famiglia.

Prendono l’ascensore e guardandosi nello specchio, osservando la loro sfolgorante bellezza, non si sentono più così sicure, è come se da quella cabina di un metro quadro emanasse un opprimente sensazione di minaccia. Arrivano in silenzio fino al piano terra poi, apertesi le porte, tutto sembra a posto: le luci delle macchine, la gente che corre a festeggiare, la musica.

Raggiunsero l’auto con l’animo risollevato:” Forza belle gnocche mica avrete creduto alle farneticazioni di quella mentecatta?” Chiede ridendo Melania. Le altre in coro rispondono che neanche per idea pensavano a quella tipa sudicia.

Salgono sul loro super bolide e partono, sebbene adesso l’autista non sia più così sobria come prima. Con la musica a tutto volume e loro che strillano non si accorgono di un ragazzino che è sul ciglio della strada e vuole attraversare, la macchina prosegue veloce quando ad un tratto sentono un tonfo sul cofano. Al momento non ci fanno caso, poi Francesca vede dallo specchietto retrovisore un corpo a terra e dice: “Ragazze mi sa che abbiamo fatto secco uno, che facciamo lo lasciamo lì? Sennò addio cena”

“Non mi sembra una buona idea”, sibila Melania incazzata “non lo sai che l’omissione di soccorso prevede la galera. Inchioda e torna subito indietro, cerchiamo almeno di capire se quel bastardo è vivo o morto. Porca troia”

Scendono dall’auto e si avvicinano con cautela. “Mi sà che i ragazzo l’ è morto, un respira e un gli batte i’ cuore. Cazzo allora l’è morto pe’ davvero” mormora Chantal.

Mentre cercano di prendere una decisione sul da farsi, tra moccoli e imprecazioni varie il loro gioiellino si è messo in moto e sta sparendo a tutta velocità. Francesca inizia a corrergli dietro urlando: “bastardi, maledetti, giuro che vi uccido”. Cosi adesso l’auto non c’è più.

Nel frattempo molte persone si sono radunate intorno al piccolo cadavere, le ragazze le raggiungono proprio mentre stanno voltando il corpo a pancia in su. Quel volto è il volto di uno zingaro. Il panico piano piano si sta insinuando in loro. Anche tutte quelle persone sono zingare: c’è una giovane donna che accarezza piangendo il corpicino.

Si fa avanti un uomo anziano dai folti capelli bianchi legati dietro la nuca. Lui è il capo del clan e tutti gli altri lo rispettano e gli sono devoti. Prima squadra bene le quattro donne che istintivamente indietreggiano di qualche metro poi le apostrofa così: “ Il vostro bolide ha schiacciato il piccolo Aramil come se fosse un ratto. Ed è proprio questo il valore che ha per voi la sua vita, quello di un ratto. Bene adesso però noi non chiameremo la polizia e neanche voi lo farete, perché abbiamo altri programmi per lorsignore.

Melania e Francesca tentano un accordo: “Senta signor capo tribù, abbiamo la possibilità di garantirvi un indennizzo molto alto per questa fatale disgrazia, quindi cerchiamo di venire al sodo. Quanto volete?”

Il vecchio ordina ai suoi di accerchiare le ragazze, che si spaventano ancora di più, poi parla con voce grave: “tutto il vostro oro, i vostri gioielli e i conti in banca non possono ripagare neanche un capello della vita di Aramil. Vi assicuro che il denaro non vi servirà a niente dove andrete. Dovrete pagare per la sua morte subendo quello che ha subito lui nella sua breve vita.

Le quattro amiche adesso sono davvero terrorizzate, si guardano l’un l’altra senza avere il coraggio di parlare.

Alcuni uomini armati le sbattono dentro un furgone tutto scassato e talmente sporco che sembra un porcile. Il viaggio non finisce mai: attraverso una serie di strade sconnesse arrivano ad un enorme campo nomadi del nord italia. Sempre gli stessi uomini armati le accompagnano alla loro roulotte e lì le rinchiudono in attesa di nuovi ordini.

Rimaste sole tentano di elaborare un piano di fuga ma affacciandosi all’oblo si rendono conto che fallirebbe miseramente. Allora si guardano, si abbracciano e scoppiano in un pianto disperato. Sanno che la polizia non inizierà le ricerche prima di una settimana, e che non c’e via d’uscita.

“Ragazze ci sono i topi qua dentro ne ho visto passare uno, credo anche di sentirmi leggermente male” dice Sofia con un  filo di voce, poi sviene addosso a Chantal che per non farle sbattere una botta in terra la adagia delicatamente su un materassino lurido e unto che sembra essere il letto.

Mentre cercano di farla rinvenire la porta della roulotte si apre e vengono lanciati alcuni stracci sul pavimento di linoleum consumato.

“Che cazzo sono questi, forse vogliono che puliamo!” esclama Melania, ma viene subito interrotta da una giovane voce femminile dal tono molto crudo: “Quelli che voi chiamate stracci sono gli abiti che io e le altre donne del clan indossiamo ogni giorno. In onore di mio figlio defunto Aramil, voi adesso indosserete questi stracci e darete a noi i vostri abiti da puttane: li riavrete indietro insieme ai cellulari quando sarà il momento.

L’immensa umiliazione avrebbe impedito alle quattro di uscire vestite come la zingara che avevano infamato e sbeffeggiato poche ore prima, ma non potevano certo rifiutarsi di fronte alla voce tagliente della madre di Aramil.

 

Chantal con le lacrime agli occhi dice alle altre: “so’ siura che voi vu ci pensate quanto ci penso io, però nessuna c’ha ‘l coraggio di dirlo.” “Di dire cosa?” chiede esitando Melania “che quella zingara in qualche modo è coinvolta in quest’incubo – conclude Francesca.

Sentono qualcuno armeggiare con la serratura, la porta si apre e il capo anziano le fa uscire dalla rulotte perché tutti possano ammirarle. Ci sono risa e schiamazzi mentre le quattro figliole si tengono strette una all’altra per farsi coraggio: fuori è buio e fa molto freddo.

Appena il capo alza la mano ogni rumore cessa e lui si rivolge alle fanciulle: “Forse non ci crederete ma anche noi festeggiamo il natale, pur essendo esseri inferiori ai vostri occhi. Non solo, per l’ultimo dell’anno facciamo una festa ancora più grande in quell’immenso tendone che vedete di fronte a voi. Allo scoccare della mezzanotte inizia il cenone.

 

Il vostro compito, mie eleganti e nobili signore sarà quello di servire a tavola circa ottocento persone sedute a cerchio attorno ad un immenso tavolone. Guai a voi se combinate la minima cazzata, la punizione sarà esemplare.

Entrando nel tendone credono di trovarsi in un girone dell’inferno,pieno di fumi e di nebbia : c’e una musica gitana sparata a milioni di decibel. Gli uomini seduti a semicerchio sono già ubriachi, mentre le donne stanno nell’altra metà del cerchio. Loro sono le uniche a servire, in cucina ci sono diversi cuochi tra cui una è oltremodo perfida: al punto da estrarre una teglia incandescente dal forno e passarla alla Francesca ustionandole la mano.

Alla fine del servizio, verso le sei e mezzo del mattino le ragazze esauste riescono a scambiare una parola. Sono state derise, maltrattate, palpate dappertutto. Hanno dovuto subire le avances di uomini arrapatissimi di mezza età, che non avendo mai avuto una simile opportunità, le costringevano a sedersi sopra di loro infilando le zozze mani dappertutto. Le donne invece appena una delle quattro serviva un piatto qualsiasi la prendevano per i capelli sbattendole la testa sulla tavola, con la scusa che non avevano ordinato quella pietanza.

Mentre si avviano verso il loro porcile, piangono silenziosamente, poco dopo essere entrate sentono di nuovo trafficare e la porta viene chiusa.

 

“Ragazze non possiamo resistere un altro giorno in queste condizioni” dicono Melania e Francesca che da quando sono nell’incubo non hanno più avuto un alterco. Anzi durante la cena Francy ha cercato di proteggere la Mel con la sua stazza, per quanto a potuto.

“ L’unica cosa che sono riuscita a salvare” prosegue Melania “ è il sacchetto di coca: avrei tanta voglia di una bella striscia”. Quella notte però è tutto diverso: si guardano come se si vedessero per la prima volta, senza nessuna maschera. E’ piacevole passare qualche ora con un benessere non solo dovuto alla sostanza ma a una bella armonia che è nell’aria fetente di quella maledetta roulotte.

“Lo so che è inutile piangere sul latte versato, ma io mi pento di aver ucciso quel bambino, ne porterò il rimorso per tutta la vita.” Dice Francesca tra le lacrime, “aveva ragione il capo anziano, come abbiamo potuto pensare di valutare la morte di una creatura in base al denaro.”

“Domani parleremo con lui e si accorgerà da solo del nostro cambiamento e della nostra sofferenza.” Dice Sofia parlando per la prima volta con un timbro di voce risoluto e deciso. Le altre la guardano e in coro rispondono: “Cara Sofia addio mondi paralleli: benvenuta nella realtà.” E per la prima volta da quando tutto era iniziato riuscirono a sorridere.

La mattina del primo gennaio la porta che le tiene prigioniere non è chiusa, escono di corsa e in giro per il campo nomadi alle 9 di mattina non si vede un’anima. Solo tre stangone e una ragazza un poco più bassa camminano decise verso la roulotte del capo clan, che le sta aspettando davanti alla porta: “Vedo nei vostri volti segnati dalla stanchezza e dall’umiliazione un profondo cambiamento.” dice.

“ Lei sa cosa vogliamo venerabile capo” risponde Melania: “Tornare a casa per affrontare le nostre vite e per cambiarle”.

“Quello che abbiamo passato ci ha fatto capire come sono le sofferenze di che vive ogni giorno coperto di stracci, di chi non ha un futuro.” “Dobbia mo agire, darci da fare”prosegue Francesca.

Chantal ha lo sguardo triste e pensieroso quando parla :” vogliamo fa’ qualcosa pe’ la famiglia di quel bimbino, credimi capo un ce ne siamo davvero accorte, ma il rimorso ce lo porteremo dietro pe’ tutta la vita.”

Il vecchio le informa che se ne possono andare quando vogliono ma anche che sono invitate a tornare il 31 dicembre dell’anno prossimo: stavolta però come gradite ospiti.

Raggiungono l’auto davanti al tendone, l’anziano signore con la coda di cavallo è vicino alla macchina.

Mentre si salutano la Francesca gli mette in mano un assegno di 700.000 euro intestato alla famiglia di Aramil: “ non vogliamo comprare niente, non si arrabbi, vogliamo solo non aggiungere altro dolore. Questa cifra consentirà ai suoi genitori di vivere un’esistenza sicura e dignitosa, solo questo.

L’uomo accetta con piacere e sorride salutandole con la mano.

Le ragazze partono con calma, e senza fare sgommate si avviano dolcemente verso l’autostrada in direzione di Firenze.

Hanno deciso di andare a casa della Francesca per qualche giorno: vogliono parlare, stare vicine e soprattutto godere di questa nuova armonia che le fa sentire vere amiche. Quando siedono stremate intorno al fuoco, con buon bicchiere di vino in mano, si ricordano che tutto il loro guardaroba è rimasto all’albergo. Allora Chantal esclama: “ma chi se ne frega se vestiti un son tornati, tanto noi siam così belle ‘he ci sta bene anche du’ stracci.” Le quattro donne esplodono in una risata liberatoria. Sono felici: sanno che quest’ultimo dell’anno non lo dimenticheranno mai più. 

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5 commenti »

  1. Perchè nessuno commenta il mio racconto?

  2. Michela, non mi ero accorto del tuo racconto. L’ho letto, ed ho trovato in esso due mondi totalmente diversi. Il primo fatto di estrema superficialità ed anche incoscienza, vigenti in certi ambienti definiti “bene”, con un linguaggio sboccato, ma reale, purtroppo usuale fra molti giovani d’oggi. In quelle tre ragazze benestanti, ho visto una totalre mancanza di valori, l’euforia incosciente che le porta all’esibizione di se stesse nella vuoto totale del loro mondo. Poi, l’episodio del ragazzo investito e morto, la giusta umiliante lezione ricevuta presso la tribù degli zingari, ha provocato in loro la revisione del concetto di vita, facendo affiorare, in ognuna, quei valori prima ignorati, derisi, ed inconcepibili, nel lusso spensierato della loro abituale esistenza. Ho visto il loro riscatto, il loro pentimento, che sicuramente le avrà portate decisamente a cambiare, in futuro, il loro modo di vivere.
    Un racconto spontaneo, descritto senza freni inibitori e senza mezzi termini, papale papale, nella sua prima frazione, che rientra poi, col pentimento delle “fanciulle”, in binari più moralmente corretti, più “pulito”, anche nelle parole con cui è stato scritto, così come il tema imponeva, nella prima parte, di scriverlo.

  3. Si, mi sembra un’analisi molto azzeccata di quello che volevo trasmettere. Ti ringrazio. Michy

  4. Un racconto dai risvolti imprevedibili che, dopo l’euforico inizio, che sembra preludere a successivi sviluppi in un mondo movimentato e vacuo allo stesso tempo, regolato dalla logica del “carpe diem”, ci pilota imprevedibilmente in una realtà a noi vicina, che sovente però non vediamo o meglio non vogliamo vedere. Tutta la storia è sottesa da una filosofia che mi ricorda in qualche misura un vecchio film di Frank Capra. In esso il protagonista finisce per ritrovarsi in una dimensione parallela, dove tutto appare estraneo, minaccioso e gli si rivolta contro. Farà un percorso difficile, angosciante, ma allo stesso tempo istruttivo perché lo riavvicinerà a se stesso. Accade pressappoco la stessa cosa anche alle nostre protagoniste che potranno finalmente sperimentare cosa significa vivere una vera vita e ne apprezzeranno i valori, compresa una diversa modalità di dare e ricevere vicinanza, solidarietà ed amicizia.

  5. Grazie Franco per il tuo commento che ha analizzato perfettamente il messaggio del mio racconto. E’ un onore il riferimento a Capra regista visonario che stimo molto. Un saluto

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