Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2023 “Sad Lisa” di Roberto Galatro Sibaldi

Categoria: Premio Racconti per Corti 2023

La vibrazione del telefono irrompe nella stanza, è notte fonda, scorgiamo sul letto la figura di una ragazza seduta a gambe raccolte incavate verso il petto. Appoggia la sigaretta che stava fumando e prende il telefono: «Pronto mamma.»

«Lisa, Papà…»

La vista vola al passato a quando lei era bambina, mentre sentiamo ansimare dal cellulare, la voce si fa più lieve e scorgiamo un uomo adulto con un volto corrucciato e allarmato, la mano della piccola cerca di raggiungerlo ma lui inizia a sbattere i pugni contro la porta, lei si ferma.

La voce, continua agitata, dice che l’ha appena saputo. L’uomo si gira verso la piccola facendo segni inequivocabili di scusa, fa per avvicinarsi ma lei si ritrae terrorizzata. Caccia un urlo che non sentiamo, ha gli occhi arrossati e il muco sul volto, isterico. Non so come dirtelo continua sua madre, lui prende la porta di casa e la sbatte alle sue spalle andandosene.

La mano adulta di lei afferra con forza le lenzuola nel pugno, ruota il viso come a scacciarne via il ricordo.

«Papà è morto.»

Lo sguardo si perde ancora nel passato, indugia oltre la soglia su cui prima l’uomo, suo padre, sbraitava. Vediamo di spalle una donna che singhiozza, una sedia ribaltata affianco.

Sua mamma ansima e chiede di lei in linea. Non fa una piega, esclama solo un freddo «Ok».

I giorni si susseguono come le chiamate senza risposta di sua madre sul cellulare, all’ennesimo messaggio prende il telefono leggendolo, scuote la testa seccata mentre lo ripone con lo schermo girato sul tavolo.

Lungo le mura della città, Lisa è seduta su una panchina, ha lo sguardo perso nel vuoto tra i passanti, ancora le gambe tirate su, incavate dentro il petto come a nascondersi.

Nei suoi ricordi vediamo lo stesso posto e stessa panchina, ma è suo padre lì seduto, la testa dondolante con il busto piegato in avanti, una mano a coprirsi la faccia. Lisa bambina si avvicina preoccupata, lo sfiora appena come avesse paura a toccarlo. Lui lascia cadere la bottiglia di birra che ha tra le mani e le impreca contro come reazione, dagli occhi arrossati vediamo che ha pianto forse, ma poi in un attimo cambia del tutto il tono, le afferra la mano e rassicura piano che ha bisogno solo di un attimo, poi andranno. Lisa chiede se la mamma sa che è venuto a prenderla prima a scuola, l’uomo sbuffa cambiando di nuovo espressione, scocciato e sgraziato si alza in piedi e trascina via la figlia, la voce sfumata del padre ricorda che le aveva soltanto chiesto un attimo di tregua.

Una mano sfiora le spalle di Lisa adulta, allarmata fa cadere la sigaretta tra le dita, il rumore però è quello della bottiglia di birra del ricordo. Sua madre, squillante e in contrasto in tutto con lei, si scusa del ritardo. «Visto che non c’eri poco fa, ho preso un gelato nel frattempo, tanto a te non piace.»

«No, infatti.» Ribatte. I suoi occhi si soffermano sul gelato e la sua memoria ha un brevissimo flash che non mette a fuoco stavolta. Sentiamo appena le risate di una bambina mentre sfocato suo padre, seduto davanti a lei, pare sporco intorno alla faccia, ride a sua volta.

Pronta? Le chiede.

Annuisce in silenzio.

Arrivate alla porta di casa le due si fermano. Sua madre le prende il palmo e ci mette sopra le chiavi richiudendole le dite. «Voleva che le avessi tu, la casa ora è tua, l’ha lasciata a te.»

La casa è quella dei suoi ricordi, si guarda intorno intimidita. La poca luce sterile che entra e il silenzio fanno notare ancor di più il vuoto al suo interno, mobili e affetti ci sono ancora, ma la vita dentro è spenta da diverso tempo.

Avanza con cura oltre il corridoio verso la camera da letto, accarezzando la parete del corridoio centimetro per centimetro con le dita. Si siede sul letto impolverato, respira profondamente come a calmarsi.

Viene raggiunta da sua madre che preoccupata le porge un barattolo di gelato. «Credo che appartenga a te», suggerisce. Dentro ci sono qualche oggetto, foto della bambina, di lei, cimeli. In fondo però, appare una musicassetta impolverata; l’etichetta titola Cat Stevens. Ha un sussulto, il volto le cambia espressione iniziando per la prima volta a sorridere ma allo stesso tempo inumidirsi gli occhi, si porta le mani alla bocca come colta dallo stupore improvviso.

Sua madre le chiede cosa abbia vedendola infatti quasi piangere, ma il volto di lei rimane nascosto tra le emozioni. La tranquillizza con il solo cenno della mano e la ringrazia.

Le racconta che quando era piccola, triste quel giorno, stava mangiando il gelato con suo padre da quell’identica scatola, lamentandosi che a scuola la prendevano in giro perché si mangiava le parole ed aveva la erre moscia.

Suo padre sogghignando di punto in bianco, prese il cucchiaio con il gelato e lo strofinò sul naso e sul viso sporcandole tutto intorno alla bocca. Lei contrariata gli chiese cosa stesse facendo, ma per tutta risposta la incoraggiò a tirar fuori la lingua, mettendola fuori a farle il verso con un grande “ah” a bocca aperta. Poi con un dito sporcandosi anche lui la faccia e fece ruotare la lingua intorno alla bocca per pulirsi dal gelato, fin sulla punta del naso.

Quando cercai inutilmente di pulirmi come mi aveva detto, continua a raccontare Lisa, mi aiutò con un fazzoletto. Gli chiesi perché mai lo avesse fatto ma lui sorrise e sicuro di sé rispose che ogni volta che avrei mangiato un gelato mi sarei dovuta sporcare la faccia. Scossi la testa ma insistette.

«Fallo ogni volta e vedrai che non ti prenderanno più in giro, non ti mangerai più le parole e la tue erre moscia sparirà».

Strabuzzai gli occhi esterrefatta.

Poi aggiunse che se mai avessi avuto bisogno di parlare, lui ci sarebbe sempre stato. Gli chiesi di fare lo stesso, che ci sarei sempre stata anch’io, annuì ridendo incrociando i nostri mignoli, poi allungò la mano sulla mia testa e mi chiamò come sempre faceva quando ero triste, intonando il verso di una vecchia canzone con il mio nome: “Lisa Lisa, sad Lisa Lisa.”

Scusa se ho insistito nel venire qua, sottolinea la mamma, ma lei ribatte che invece le ha fatto un grande regalo, non aveva più memoria di quel ricordo e nemmeno di suo padre sorridere. Lisa ruota lo sguardo verso il barattolo e lo stringe al petto.

Tra i suoi pensieri riaffiora lo stesso ricordo di quella notte, ma quando il padre, isterico, si allontana verso la porta, stavolta la bambina lo raggiunge di scatto abbracciandolo. L’uomo si china verso di lei e sorride con lo sguardo arrossato, allunga una mano sulla sua testa.

Nel presente, intanto, Lisa sistema il coperchio del barattolo sigillandolo e socchiude gli occhi, sentiamo le voci di suo padre e di lei adulta intonare assieme, stavolta, il motivo della loro canzone: «Lisa Lisa, sad Lisa Lisa.»

Mamma, annuncia, «ho bisogno di parlarti.»

Nel suo ricordo riaffiorato invece, suo padre si alza da lei e le sorride un ultima volta sulla soglia, poco prima di andarsene chiudendo con cura la porta alle sue spalle.

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2 commenti »

  1. Mi è piaciuto molto il filo rosso che lega le scene del racconto e ne potenzia il significato: il gelato, che diventa simbolo di freddezza dei sentimenti ma anche di ricordi gioiosi.

  2. Ti ringrazio molto Riccardo per la lettura e le belle parole, davvero di cuore.

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