Premio Racconti nella Rete 2023 “L’occasione” di Pietro Senatore
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Edoardo strisciò fino al bagno con gli ultimi brandelli di energia in corpo. Si chiuse a chiave e sperò che bastasse. Lui e il resto della sua famiglia erano stati contagiati. Molto presto si sarebbero trasformati in creature assetate di sangue e carne.
Il ragazzo sapeva che anche a lui sarebbe toccata la stessa sorte, e poco importava dove sarebbe avvenuto. Decise però che preferiva essere solo quando sarebbe successo.
La febbre alta gli provocò delle violente convulsioni. Gli sembrò che dentro al petto si muovesse avanti e indietro una giostra impazzita.
Da fuori provenivano urla di disperazione, spari e sirene della polizia.
Il giorno dopo il ragazzo aprì gli occhi. Si sentiva rintontito e sfinito. Dopo qualche tentativo, riuscì ad alzarsi e si guardò allo specchio. Si riconobbe. E questo voleva dire che era ancora umano.
Si palpò il viso come ad assicurarsi che quella fosse proprio la sua faccia. La sua attenzione ricadde sugli occhi. Erano di colore diverso. Quello a sinistra era rimasto color nocciola, quello a destra era completamente verde.
Dischiuse lentamente la porta del bagno. I suoi familiari potevano essere da qualche parte in agguato. Gattonò in cucina e tirò fuori da un cassetto un coltello da chef. Lo impugnò e ispezionò la villetta. Non c’era nessuno. Al piano di sotto trovò sfondata la porta in vetro rinforzato. Sull’apertura c’era molto sangue e pensò che dovevano aver rotto il vetro a furia di pugni e testate.
Si assicurò che tutte le altre entrate fossero sigillate e accatastò tutti i mobili più pesanti sulla porta vetrata.
Poi si accasciò al suolo e decise di riposarsi per qualche minuto.
Poco dopo lo svegliò un rumore di passi. Notò che la porta vetrata era di nuovo esposta. Sentì qualcosa alitargli sul collo. Si voltò e vide la sorellina dodicenne. Lei lo morse sul volto, strappandogli il naso lentamente.
Poi si svegliò in un mare di sudore. Aveva avuto un incubo.
Edoardo fece un lungo sospiro e si sedette sul divano. Era mattina presto.
Si preparò un caffè, che avrebbe razionato per tutta la settimana. I piani cottura erano ad induzione e i pannelli solari garantivano una certa autonomia.
Per un po’ non avrebbe dovuto preoccuparsi delle scorte alimentari: i suoi avevano provveduto ad accumularle appena si diffuse la notizia del morbo.
Il ragazzo contemplò la casa e pensò che ora avrebbe potuto liberarla da tutti quegli oggetti inutili che accumulavano i genitori e, soprattutto, non avrebbe più avuto esseri umani tra i piedi. Ripeteva sempre che da quando l’umanità ha imparato a vincere i batteri, è diventata essa stessa un’infezione estesa. Questo morbo terrificante gli sembrava il giusto antibiotico. Trovò appropriato che lui ne fosse immune.
Poi provò un senso di vergogna. I membri della sua famiglia si erano trasformati in mostri ributtanti, non gli era rimasto più nessuno e lui si sentiva quasi soddisfatto che il mondo fosse andato a puttane.
Un leggero fischio interruppe il flusso dei suoi pensieri. Si avvicinò alla moka e spense il piano. L’odore di caffè fresco si sparse per tutta casa. Ne versò un po’ in una tazzina e lo lasciò raffreddare, detestava il caffè bollente.
Pensò che sembrava una mattina qualunque, apocalisse a parte.
“Non devo sprecare questa occasione”, si promise.
Nelle settimane seguenti visse il suo sogno: riordinò casa, ogni sera guardava un DVD diverso e quando l’energia abbondava si divertiva con i videogame. Poi andava a letto. A letto presto. Lui che per tutta la vita aveva sempre fatto le ore piccole.
Da tempo gli incubi l’avevano abbandonato e il concerto di morte e follia che avvolgeva l’abitazione non lo toccava più.
Una sera sentì un ticchettio periodico provenire dalla stanza dei genitori. Prese la pulaski che portava sempre con sé ed entrò nella camera. Qualcuno stava lanciando dei sassolini sulla finestra.
Si affacciò e vide un individuo in tenuta antisommossa. Fece segno ad Edoardo di farlo entrare, ma il ragazzo rispose di no. Sapeva che in giro c’erano parecchi saccheggiatori ed era meglio non fidarsi di nessuno.
Lo sconosciuto tirò fuori un piede di porco e fece capire che sarebbe entrato con la forza. Il ragazzo realizzò che questo l’avrebbe comunque messo in pericolo, dato che il tentativo di scasso avrebbe sicuramente attratto gli zombie. Decise di aprirgli dalla finestra di camera sua, che dava su dei cassoni dell’immondizia utili per arrampicarsi.
L’individuo entrò. Si tolse il casco, liberando una lunga chioma di capelli ricci e corvini. Dal colore della pelle sembrava essere per metà afroamericana. Edoardo pensò che dal vivo aveva visto raramente donne così belle.
“Scusami”, disse il ragazzo, “ma sai com’è là fuori. Non volevo correre rischi”.
“Primum non nocere, giusto? Qui sei solo, ma almeno sai cosa affrontare” rispose lei.
“Sì, esattamente. Non ti preoccupa che io possa essere infetto?”.
“No. Ti faccio vedere perché…”.
La ragazza si tolse la bardatura e si abbassò il maglione fino a poco sopra il seno.
“Aspetta, ma che fai?” chiese lui, sconcertato.
“Guarda”.
Dal torace intravide una piccola pera rossa gonfiarsi e sgonfiarsi ripetutamente. La pelle era diventata trasparente proprio sopra il suo cuore.
“Mi è successo quando sono stata contagiata. Dopo la febbre mi sono svegliata ed ero normale, a parte questo ovviamente”.
“È capitata la stessa cosa anche a me, ma con effetti diversi” disse Edoardo, indicandosi gli occhi.
Il ragazzo si presentò e lei pure: “Mi chiamo Francesca”.
La ragazza si guardò intorno. Notò una libreria piena di videogiochi, alcuni erano ancora incellofanati.
“Non posso crederci”, disse lei.
“Sì, è un po’ una mia fissa” rispose, diventando rosso in viso.
“Intendevo dire che li colleziono anch’io così. Pensavo di essere la sola”.
Edoardo realizzò che con quella donna era concepibile un vero futuro in un mondo in cui finalmente si sentiva a proprio agio.
D’un tratto sentirono qualcuno che da fuori chiamava il nome di lei.
“Non posso crederci, ancora quel coglione”, disse Francesca. “L’altro ieri siamo scappati insieme da un attacco. È un tipo appiccicoso, ma innocuo”, spiegò a Edoardo.
Francesca aprì la finestra e gli fece cenno di abbassare la voce.
L’uomo disse: “Pensavo non ce l’avessi fatta. Poi ho visto che entravi qui e ti ho seguita”.
“Cosa vuoi?”, rispose lei.
“Qui vicino alcune persone si sono barricate in un centro commerciale. Hanno cibo e mezzi e stanno formando una resistenza. Perché non vieni?”.
“No grazie, qui starò bene”, disse guardando Edoardo.
Il ragazzo, per qualche motivo, abbassò gli occhi.
Francesca ebbe una strana sensazione. Intravide uno squarcio verso qualcosa che non comprendeva. E che di certo non le apparteneva.
“C’è qualche problema?” chiese a Edoardo.
“No, nessuno. Forse sarebbe meglio che andassi”.
Era una grossa scelta per la ragazza. Legarsi ad un unico sconosciuto chiuso in casa con lei era rischioso quanto seguire quella persona in un centro commerciale. Decise di affidarsi al suo istinto.
Indossò le protezioni che aveva lasciato e senza dire una parola si diresse verso la finestra. Il ragazzo ebbe la tentazione di fermarla, ma non riuscì a muoversi. Lei indugiò per qualche istante. Poi si calò fuori e si dileguò.
Edoardo non sapeva perché l’aveva lasciata andare così. Era la prima cosa importante che lasciava cadere nella sua nuova vita, ma non l’ultima di quella vecchia.
Si sedette per terra e percepì una sensazione familiare e sgradevole, che si era quasi dissolta nelle ultime settimane. Conosceva da tempo la compagna che aveva appena preso il posto di Francesca. E questa volta non aveva proprio idea di come se ne sarebbe liberato.