Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Arancine meccaniche” di Giuseppe Paolone

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

In un piccolo appartamento parigino

I resoconti con la propria coscienza sono come l’influenza: per quanto cerchiamo di evitarli, ce li ritroviamo sempre tra i piedi. Quando arriva il momento di fare i conti con se stessi, si prende un foglio bianco e si cerca di tirare una linea il più dritta possibile. La nostra intenzione di fare sul serio è totale.

Sul lato sinistro scriviamo in alto “Successo” e in quello opposto “Fallimento”. Scrivere in quest’ultima colonna crea non pochi mal di testa e spesso cerchiamo di omettere qualcosa.

Mi trovavo al terzo resoconto della mia vita, non perché fossi una persona rispettosa delle regole, ero solo molto giovane. Finite le scuole dell’obbligo, la mia più grande ambizione era fare il musicista. In realtà, avevo più voglia di fuggire da un piccolo paese che di mettermi a suonare per le strade d’Europa.

Di gente ne ho conosciuta, ci ho messo un po’ di tempo per capire che la maggior parte di loro non era utile per realizzare il mio sogno. All’età di venti anni ho scoperto quanto fosse vero il detto che riconosce più importanza alle conoscenze che alla conoscenza.

Della strada mi sono stancato presto.

In tre anni ho fatto i lavori più disparati, poi mi sono accontentato di vivere fuori dalla realtà e mi sono messo a fare il personaggio per la Disney, Pippo in particolare.

All’inizio mi divertivo a coinvolgere i bambini e a fare il pupazzo vivente sempre a portata di macchina fotografica.

L’euforia è durata pochi mesi, non ero soddisfatto del mio lavoro, sentivo che il giudizio su quanto avevo fatto fino ad allora sarebbe stato definitivo e inesorabile.

È accaduto tutto in una notte per colpa di facebook.

Avevo incontrato una mia ex compagna di classe durante una pausa pranzo: io con il testone di Pippo tra le mani, lei con un profumo accattivante e un trucco che ingessava i sorrisi. Mi raccontò che era diventata una ballerina professionista e si trovava lì per uno spettacolo.

Furono quelle parole a farmi capire quanta ragione avesse Bukowski nell’osservare il mondo dietro un velo cinico e alcolizzato. Vedere le foto di lei sul profilo hanno fatto il resto: io per vivere animavo un pupazzo enorme, muovendomi come se soffrissi di osteoporosi e lei firmava autografi e finiva anche in TV.

Davanti a una bottiglia di rum sentii la voce della mia coscienza che richiedeva un incontro privato. Alla fine della nostra chiacchierata, una sola parola mi bruciava in gola. Non avevo il coraggio di pronunciarla: avevo fallito.

Non ero diventato un musicista, anzi avevo persino smesso di suonare.

Ai tempi delle scuole superiori credevo che prima mi fossi incamminato per la strada verso i sogni, prima sarei giunto a destinazione. Ma così non è stato evidentemente.

Preparo la valigia in fretta e m’incammino tra le braccia del primo treno disposto a portarmi indietro nello spazio e nel tempo. Il viaggio sarà lungo e pieno di tappe, non posso tornare a casa dei miei senza aver prima regolato alcune faccende che ho lasciato in sospeso. Voglio ripercorrere il percorso al contrario per scoprire dove ho sbagliato.

In una pasticceria siciliana

«Ma tu non hai paura, Mari?»

«Non lo so. Credo che sia solo una casualità, in questo quartiere non succede così di frequente.»

«Cosa c’entra? Si tratta di un ristorante giapponese prima della chiusura. Tu come reagiresti? Se mi dovessero minacciare con un’arma, non sarei nemmeno capace di muovermi.»

«Esageri, Ele. Io non saprei, davanti a un rapinatore non perderei la calma, anzi gli proporrei di assaggiare uno dei nostri cannoli. Magari sono persone che hanno bisogno di un po’ di comprensione.»

«Cosa c’è da comprendere davanti a un uomo armato? Quelli vogliono i soldi e chissà cos’altro, e se tentassero di farci violenza?»

«Ma che diavolo dici? Non si entra in una pasticceria per violentare le commesse.»

«Ragazze, per favore, possiamo evitare questo tipo di discorsi?» irrompe la proprietaria della pasticceria indossando il cappotto. «Ho saputo della rapina al ristorante giapponese, se dovesse accadere anche qui, mi raccomando non reagite in maniera scomposta, abbiamo le telecamere. Sarà la polizia a interessarsi della questione, tornerò prima della chiusura per assicurarmi che sia tutto a posto.»

Le raccomandazioni della capa mettono in agitazione Elena che, presa dal panico, si lascia andare a un piagnisteo sommesso.

«Io vado fuori» reagisce Marianna sbuffando «a fumare».

La storia delle rapine si ripeteva con frequenza a Firenze, soprattutto nei fine settimana. I turisti e pattuglie della polizia non erano serviti a far diminuire il numero di aggressioni e furti.

Vivere nel terrore non avrebbe risolto nulla, nemmeno offrire a un balordo un dolce per fargli cambiare idea. Marianna si accorge che fumare non la rilassa come al solito, scrutando il cielo carico di nubi, si accorge che una riproduce un cuore tendente al grigio.

«Oggi siamo a quota otto» proclama rientrando in gelateria. «Se ne trovo un altro, è il mio giorno fortunato, sai, il nove è il mio numero astrale.»

«Ancora con questa storia dei cuori, Mari? Ma non avevi smesso?»

«Non ci posso fare nulla, sono segni occulti che vanno interpretati e io confido sempre nei segni.»

Le ultime parole sono pronunciate da Marianna in un sussurro. Si trova davanti un omone vestito di scuro che indica la cassa senza parlare, in mano ha un taglierino enorme.

«E ora cosa facciamo?» sussurra alla collega che fissa pietrificata il casco integrale del rapinatore.

«Apri la cassa, sbrigati» prorompe la voce camuffata dell’uomo.

«Ehm, sì certo non si agiti. Perché è venuto proprio da noi? Purtroppo non abbiamo nulla in cassa, la proprietaria si è portata dietro tutto.»

«Apri la cassa!» ripete il rapinatore avvicinandosi alla vetrina dei dolci.

«Non faccia così, magari vuole assaggiare uno dei nostri cannoli? La ricotta è freschissima e li facciamo espressi ogni…»

«Zitta!» la lama brilla sotto i neon del locale.

Alla vista dell’arma Elena emette un urlo insopportabile che richiama l’attenzione di alcuni turisti nei pressi della pasticceria.

Il rapinatore si porta le mani sul casco come per proteggere le orecchie, Marianna lo colpisce con un paio di arancini, uno si conficca sotto la visiera. L’ultimo esplode sulla schiena dell’uomo che fugge pulendosi il volto.

L’ottico dirimpettaio assiste alla scena con stupore, arriva di corsa, abbozza un sorriso vedendo la commessa armata di arancini davanti all’ingresso della pasticceria.

«Hanno tentato di aggredirvi?» domanda l’ottico.

«È tutto sotto controllo» sminuisce Marianna rientrando.

Il resto della serata passa nel silenzio, anche gli avventori parlano a bassa voce, non hanno mai visto le commesse così stralunate.

«Meno male che dovevi restare pietrificata, a momenti mi perforavi i timpani.»

«Da piccola ero nel coro della chiesa» biascica Elena che non si era ancora ripresa del tutto dallo shock del pomeriggio.

«Meglio non raccontare nulla a Sara, sennò chiama l’esercito.»

«Ma è la proprietaria, Mari.»

«Io esco a fumare, va» chiosa Marianna osservando un piccione che becca un pezzo di arancino reduce dello scontro con il rapinatore.  

In un pub irlandese

«Non riesco a crederci.»

«Fattene una ragione, Gigi, dopo l’esame di maturità sei sparito dalla. Come puoi pretendere che i nostri amici abbiano voglia di rivederti in massa?»

«Ho capito, Max, ma possibile che quasi nessuno abbia risposto ai messaggi?»

«Se arrivi all’improvviso, è facile che molti siano…»

«Ho avvisato tutti una settimana fa, cazzo.»

«Il tempo passa per tutti, il mondo va avanti anche se decidi di non farvi parte. Mi dispiace, amico, ma gli affetti sono come le piante, non basta ricordare di averne per prendersi cura di loro.»

Non ascolto nemmeno le ultime parole di Max, lascio il pub deluso dalle relazioni virtuali che i social network creano.

Degli amici con cui sono rimasto in contatto, pochi hanno espresso la voglia di rivedermi e pensare che sembravano così sinceri su facebook.

Forse devo ripartire davvero dall’inizio, da casa dei miei genitori, spero che almeno loro non si neghino alle mie richieste di confronto.

Prima di partire, però, voglio togliermi una curiosità. Nella testa ho ancora l’immagine del pupazzo che vestivo, lasciato penzolare con una corda al collo all’ingresso del parco divertimenti parigino.

Sul luogo di un tentato delitto

Mancano dieci minuti alla chiusura, una pioggia leggera non invita i clienti a concedersi un piccolo vizio di gola.

«Non vedo l’ora che finisca questa giornata. Ancora uno spavento e mi ci vorranno anni di terapia per riprendermi.»

«Tranquilla, Ele, solo un criminale autolesionista tornerebbe a colpire di nuovo dopo l’accoglienza che gli abbiamo riservato.»

«Autolesionista tipo quel balordo che sta entrando ora?»

In una pasticceria siciliana, con il volto camuffato

«Ferme dove siete» recito con la voce gracchiante.

Uno sguardo e riconosco subito Marianna, non è cambiata molto dall’ultima volta che l’ho vista, dalla durezza degli occhi non sembra nemmeno spaventata.

La sua indifferenza mi sconvolge.

Potevo sopportare che i miei amici si rifiutassero di incontrarmi, ma con lei era diverso, prima che io lasciassi l’Italia ci eravamo promessi di restare sempre in contatto.

Per questo ho deciso di metterla alla prova, voglio scoprire se nel suo cuore è rimasta ancora un po’ di magia.

«Datemi l’incasso, svelte» urlo minacciando con le dita che formano una pistola nella tasca della giacca.

«E no, ora basta. Di nuovo qui?»

Marianna non sembra riconoscermi, mi minaccia con un paio di arancini.

La sua reazione mi ferisce. «Se non vuoi rimetterci la mano, è meglio se lasci quegli arancini e mi dai i soldi, stronza» mi scopro appena gli zigomi.

Un movimento mi attrae, Marianna al bancone che si pulisce le mani. Un tonfo la distrae, l’altra commessa è caduta a terra con lo stesso suono di un sacchetto di sabbia.

«Eleee» urla Marianna facendo cadere gli arancini. «Ok, ho capito, le do tutti i soldi, non ci faccia… del…»

La sua voce sembra seguire delle immagini al rallentatore.

«Non ci posso credere» mugola fissandomi, «è…è il nono.»

Le sue parole mi costringono a inclinare la testa e ad assumere un’espressione poco intelligente. Cosa voleva dire Marianna?

«Lei ha un neo a forma di cuore, sa è il nono della giornata, questo è un segno assolutamente da non sottovalutare. Posso sapere il suo nome?»

Ho il tempo di stupirmi per la seconda volta prima di sentire un forte dolore alla nuca.

La mia amica non ha perso quel pizzico di fantasia che ci fa affrontare la vita con l’incoscienza di chi sa sognare.

Un odore pungente di anice mi fa tornare cosciente.

«Cavolo, Sara, ma dovevi picchiarlo così forte?»

«Senti, Mari, ti stava minacciando.»

«Non eri tu quella che diceva che non dovevamo reagire?»

«Si hai ragione, ma non ho resistito, piuttosto scoprigli il volto e vediamo se riusciamo a identificarlo.»

Sento delle mani delicate che mi liberano del cappello e della sciarpa.

Un grido soffocato da una mano esperta in materie di sorprese mi tocca proprio sul neo a forma di cuore.

«Allora non mi ero sbagliata» sussurra Marianna aspirando le ultime tre lettere.

Io sorrido appena, poi sento un dolore diramarsi dal collo fino al cranio.

***

«Picchia duro la tua capa, eh.»

«Cosa ci fai tu a Firenze? Non eri in giro per l’Europa a suonare?»

In quel momento capisco che non avevo perduto del tutto i miei affetti.

«Il tuo amico è tornato, bella» dico sorridendo.

«Prima di parlare di te, dobbiamo risolvere la questione del neo. Perché non me ne ero mai accorta prima?» mi minaccia con il suo indice curioso.

Non rispondo, trovo di nuovo un senso in quello che ho fatto fino a questo momento.

«Forse hai trovato la tua forma ideale.»

«Nove cuori in un giorno, mh» rimugina Marianna indirizzando gli occhioni al soffitto.

Passano alcuni secondi carichi d’interrogativi, Marianna emette un suono acuto che gli parte dalla gola.

«Ma certo, è il numero dell’Amore.»

Entrambi ci guardiamo con gli occhi che cercano risposte. Lei con le pupille grandi come nocciole e io con il neo a forma di cuore.

Mi prende le mani e mi sussurra: «Il tuo nome è composto da nove lettere, vero?»

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