Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “RailTruria” di Pietro Senatore

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Con la sua memoria fotografica, Albamaria ricordava con precisione ogni avvenimento: qualunque cosa aveva un prima e un dopo ben definiti. Eppure, da un po’ di tempo non riusciva a distinguere il momento esatto in cui si era avviluppata quella malinconia collosa.

A scuola la ragazza aveva vita facile grazie alle sue doti eidetiche, e la sua dedizione faceva il resto. Non era molto popolare, eppure era una tredicenne carina. Un metro e sessanta, pelle di porcellana, capelli rossi e graziose lentiggini sul naso e intorno agli occhi.
Di lì a poco avrebbe dovuto scegliere il percorso liceale. I suoi insegnanti ricordavano spesso l’importanza della scuola superiore: «Guardate i nostri politici, diventano ministri con il solo diploma».

Il padre Edoardo era un ingegnere elettronico di origine cosentina, genialoide e molto riservato.
La moglie Marilù aveva tramandato alla figlia i propri tratti somatici: alta, capelli lunghi ricci e rossi. Una donna espansiva e solare, doti utili per lei che era un’insegnante di sostegno.

Da qualche giorno Edoardo aveva convinto moglie e figlia a partecipare ad un tour dell’ultimo progetto cui aveva lavorato: RailTruria. Era la prima linea con un treno integralmente alimentato da batterie ai sali fusi, ecologiche e durature. La brochure recitava: “Il viaggio green nel lembo di terra tra Lazio, Toscana e Umbria dove si udirono i primi vagiti della civiltà in Italia”.

Il giorno della partenza la famiglia uscì con scarso anticipo, per una città come Roma: solo due ore. Presero la metro vicino a casa, fermata Bologna.

Scesero a Termini, e furono investiti dal potere che emanava quella imponente stazione. Letteralmente: la fiumana di gente che uscì dal vagone li trascinò di peso sulla banchina.

Si avviarono verso il sotterraneo, che conduceva ai binari dei treni. Così tanta gente e uno spazio così ridotto: i tre si chiedevano se le mascherine sarebbero bastate a proteggerli dal Covid.
Vari olezzi dopo, rimpiansero di non aver contratto il virus e possedere ancora l’olfatto.

Ad ogni visita Termini continuava a meravigliarli. Un labirintico nodo in cemento colmo di gente, rumori, negozi e cavi elettrici penzolanti dal controsoffitto. Alcuni passeggeri li usavano come liane per superare la calca.
Albamaria pensò a quante persone attraversassero ogni giorno quella stazione, a quante storie portassero con sé. Com’era possibile? No, davvero: come, con tutte quelle scale mobili ferme?

«Prendiamo quella, è l’unica che funziona» indicò la madre.

Improvvisamente i gradini della scala mobile si accartocciarono, producendo un agghiacciante fragore metallico e aprendo una voragine. Uno sfortunato in cima ne fu inghiottito. Tentò di liberarsi, ma la morsa degli ingranaggi era più forte: il dolore gli fece urlare parole irripetibili.
Un vigilante intervenne tempestivamente: «Signore, qui ci sono bambini!».

«PLIN PLON – Treno panoramico 1713 della linea RailTruria in arrivo sul binario 4. Attenzione, non sostare oltre la linea gialla. Occhio anche alle spalle, ci sono molti ladri».

Su una rampa di scale Albamaria passò vicina a un signore con molte valigie, immerso in una sorta di preghiera. Lui la notò e spiegò che per non soffrire più stava invocando un infarto. «Ha bisogno di una mano?», fu ciò che nessuno chiese.

D’un tratto udirono un fischio fortissimo.
«Il treno, sarà in anticipo» si allarmò Edoardo. Poi vide alcuni ragazzi fare catcalling.

Raggiunta la banchina, gli altoparlanti avvertirono che il convoglio stava entrando in stazione e poco dopo arrivò l’annuncio dell’ordine delle carrozze, coperto puntualmente dallo stridore delle ruote.

Edoardo ebbe un’idea: lanciare una moneta per decidere la direzione. La tirò e mentre roteava a mezz’aria, un borseggiatore spiccò un salto di due metri e la afferrò. Poi si dileguò usando i cavi del controsoffitto.
Il padre, sconsolato, commentò: «Non era neanche una moneta vera».

Alla frenata del treno l’ordine delle carrozze si intravide: individuarono la loro, la quarta, e si accodarono alle persone in attesa.
Albamaria notò un ragazzo della sua età. Bruno, capelli castani corti e disordinati, alto come lei. Lui se ne accorse, e volse bruscamente lo sguardo altrove.
«Mi trova così brutta?» pensò.

La porta automatica si aprì e i passeggeri entrarono in fila.
Un bambino seduto indicò con gioia i finestrini: «Che bello mamma, sta nevicando».
«No tesoro, quelle sui vetri sono macchie».

Verso la fine del vagone, la famiglia non aveva ancora trovato i suoi posti. La madre ricontrollò i biglietti, magari si erano sbagliati. Ma non c’era nessun errore.

La ragazza vide all’altro capo il giovane di prima, accompagnato dai suoi genitori. Sgusciò tra la gente e una volta raggiunto, lo sfiorò: «I miei chiedono se anche voi avete problemi con i posti», mentì. Lui la fissò, senza proferire parola.

«Vabbè». Spazientita, alzò i tacchi.

«Sì, non li troviamo. Qualcosa non va» rispose finalmente, laconico.

Lei indugiò, scrutandolo.

«Io mi chiamo Andrea».

«Albamaria, piacere» rispose perplessa.

«PLIN PLON – Annunciamo che un inconveniente tecnico ha alterato lo schema dei posti. Riceverete un SMS con le nuove assegnazioni. Auguri».

«Sarà meglio che torni dai miei. Ciao e buona fortuna».
Il ragazzo biascicò «Ciao» e da lontano lei si accorse che continuava ad osservarla.

I genitori le riferirono che la loro nuova carrozza era la 6 e quindi di proseguire.
Nella passerella tra le due vetture incontrarono un controllore di spalle, che bloccava il passaggio.

«Scusi, dovremmo passare» avvertì Marilù.

L’uomo si voltò. Aveva ad un braccio un burattino da ventriloquo. Vestito anch’esso da controllore.
«Buongiorno, signori. Vi presento il mio assistente: Vidimino».
Il pupazzo prese la parola, con tono acuto e disturbante: «E’ una nuova politica aziendale. Crea con i viaggiatori un transfert positivo verso una figura affabile. Significa che subirò io eventuali abusi verbali e fisici».

«Quando parte il treno?» chiese Albamaria.

«Fra poco, ci hanno appena negato l’autorizzazione a fare tardi. Porgetemi pure i titoli di viaggio».

Avvicinarono i biglietti al burattino, che li obliterò mordendoli con lo slancio di un cobra. La famiglia indietreggiò di colpo dallo spavento.

«Ah, dimenticavo. A causa della riassegnazione dei posti, la prima classe è quasi vuota…».
I tre si entusiasmarono.
«… ma non siete invitati» aggiunse.

Aggirarono l’uomo trattandolo come un morbo letale.

La famiglia rintracciò i nuovi posti a metà del sesto vagone, in un modulo per quattro. Albamaria e la madre sedettero vicine, Edoardo avrebbe preso il posto lato finestrino, a fianco di un uomo con gli occhi chiusi che muoveva ritmicamente la testa assorbito dai suoni delle sue cuffie.

«Ehm…» esordì il padre.

«Oh, scusi» rispose energico. «Ascoltavo le cronache della guerra in Ucraina. Raccontate da Mentana. Piacere, sono Aldo».

«Piacere nostro. Posso passare?».

«Certo» rispose, inamovibile come un Buddha.

«Quindi…?» incalzò Edoardo.

«Ah, scusi. Intendevo certo che no. Non posso alzarmi, ho problemi alla sciatica».

«E come è arrivato fin qui?». Niente, aveva ripreso gli auricolari.

Per sedersi Edoardo scavalcò il tavolino. «Così si rompe!», lo rimproverò Aldo.

Marilù gli chiese di abbassare la voce.

«Seguo la scream therapy, signora. Placa le voci nella mia testa».
La donna pensò che non era quella la terapia dell’urlo, ma decise di tenere per sé questo dettaglio.

Dopo poco il treno partì, e Edoardo colse il momento di tranquillità per affrontare con la figlia il suo recente umore: «Tesoro, hai pensato a cosa ti piacerebbe fare dopo le medie?».

«Sì amore» – gli fece eco la moglie. «Io opterei per gli indirizzi scientifico o classico. Due strade tradizionali, sicure».

«Ancora non so. Vorrei finire prima il trimestre».

«Certo, fai bene. Una studentessa come te non avrà problemi, qualunque strada intraprenda. L’importante è decidersi entro gennaio» ribadì Edoardo.

«Lo so, lo so!» sbottò all’improvviso, scagliando i pugni chiusi sul tavolino. Scoppiò a piangere.
I genitori erano basiti: «Albamaria, non abbiamo detto nulla di male» si difese il padre.

Lei si alzò e scappò via.

«Ai miei tempi si diceva “Mazz’ e panell’ fanne ‘e figli bell”» commentò Aldo. «Vi presto la mia cintura?»

La giovane si nascose nella passerella tra i vagoni, singhiozzando. Ripensò alla sua reazione esagerata.

«Col tempo non migliorerà, ma osserverai il mondo con occhi sempre diversi».

La ragazza alzò lo sguardo e vide vicino a lei una donna anziana.

«Ero seduta dietro di te e senza volerlo ho sentito tutto. Mi hai ricordato me alla tua età. Simile ad Atlante».

«Il titano che sosteneva la sfera celeste? Non credevo di essere così grassa».

«No, no. Intendevo che Atlante detestava il suo supplizio, ma sapeva che non avrebbe avuto fine. Quel peso, quell’incertezza che ti avvolge come un sudario, non scompare».

«Spero che non sia così…».

«Forse non ti sembrerà, ma è proprio in questa età che si diventa consapevoli che un giorno, seppure lontanissimo, anche noi non ci saremo più. L’unico antidoto è la risata: una scintilla di mistero nata dal bacio tra vita e morte, che per un istante squarcia il velo della mortalità. Ogni volta che riderai, ricorderai con sollievo che la morte è l’ultima delle cose che rende piccolo l’uomo».

Albamaria si passò le maniche sugli occhi, asciugandosi le lacrime.

«Grazie. Penso che ora tornerò dai miei. Lei riprende il suo posto?».

«Meglio di no. Il passeggero che ho a fianco è logorroico. Annuivo e ridevo in automatico. Dopo un po’ mi ha detto che ero una grande maleducata, visto che trovavo così divertente il suo cancro».

«Spero di rincontrarla».

«Anche io. Ne ho viste tante di fanciulle come te e posso preannunciarti che farai bene».

Albamaria si ricongiunse ai genitori. Trovò il tavolino spaccato a metà.

«Dov’è quel tizio?».

«Tuo padre ha iniziato a raccontargli del suo lavoro e della necessità di fonti di energia sostenibili. Dopo qualche secondo Aldo mi ha chiesto di scambiarci il posto. Ovviamente ho rifiutato. Si è alzato con uno scatto tale che ha divelto il tavolino e ha domandato all’intero vagone la stessa cosa. Nessuno ha risposto e ha preferito restare in piedi».

«Scusatemi per prima».

«Non preoccuparti, tesoro. Hai tante cose a cui pensare» la confortò il padre.

«Lo sapete come siamo fatte, noi rosse».

I genitori la fissarono. Poi scoppiarono a ridere.

Un ragazzo seduto indicò alla fidanzata a fianco il rilevatore di fumo: «Guarda amò, se lo apri puoi usarlo per ciccare le sigarette». Se ne accese una.

Gli estinguenti ad acqua si azionarono e il treno avviò la frenata di emergenza. Albamaria, i genitori e i passeggeri inzuppati si diressero verso l’uscita. Erano in aperta campagna, vicini ad un campo di papaveri rossi che si stagliava sotto il cielo terso.

«Che casino, eh?».

Albamaria si voltò e vide Andrea, fradicio anche lui. Da bagnato sembrava anche più bello.

«Sì, assurdo» gli rispose.

«Ti va se ci scambiamo i numeri? Io abito a Roma, vicino a San Giovanni».

La ragazza celò il suo entusiasmo.

«Va bene. Non siamo molto lontani, io vivo nei pressi di Piazza Bologna».

«Prima che tu mi guardassi ti avevo già notata e i miei se ne erano accorti. Da tempo dicono che forse è solo una fase, quindi non ti ho dato retta per non preoccuparli».

Albamaria aggrottò la fronte. «Quale fase?».

«Frequentare altre ragazze. I tuoi già lo sanno?».

Lei sgranò gli occhi. Realizzò che Andrea non era un ragazzo.

«Qualcosa non va?».

Albamaria ci pensò su. Alla fine, dichiarò risoluta: «No, tutto a posto. Domani che impegni hai?».

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