Premio Racconti per Corti 2023 “Il ritorno” di Giuliano Di Gennaro
Categoria: Premio Racconti per Corti 2023“Ciao Giulio! Qui è tutto pronto! Domani mattina, alle 10:30…”
“Ok! Mi preparo e parto!”
Mi fermai per un istante a riflettere mentre una lacrima scendeva lentamente sul mio viso. Il fatto di essere single mi avrebbe sicuramente aiutato ad affrettare i tempi di partenza dopo quella telefonata di mia sorella … ma forse, era proprio quella mancanza di compagnia a non farmi sentire pronto per la circostanza.
Decisi di partire quella stessa notte.
Nel buio quasi totale del cortile, l’accensione delle luci della mia auto mi sorprese come quando pensi di essere solo in casa e ti accorgi invece di essere nel mezzo di una festa a sorpresa.
Partii e dopo una decina di minuti circa, mi ritrovai sull’autostrada.
Lo sguardo era fisso in avanti verso il punto massimo visibile in cui arrivavano i fari: ogni metro oltre quel limite era paradossalmente un passo in avanti verso il passato.
L’accensione dello stereo contribuì ad aggiungere ulteriore illuminazione all’abitacolo.
Fissai per un attimo il display: erano le 03:15, il volume era a 5 e la frequenza su radio MITOLOGY anni 70-80. Valutavo se cambiare o meno quest’ultima, quando iniziò VOICES di Russ Ballard (1984), un pezzo che aveva fatto la storia proprio in quegli anni che avevano deciso il mio destino. Provai a non pensarci, a distrarmi. Aprii il finestrino di quel poco che bastava per far spettinare da un venticello fresco i miei capelli ormai sul grigio.
Alla fine del pezzo, la voce soffusa dello speaker fece svanire definitivamente la mia finta indifferenza a quei ricordi: continuando sulla scia dei mitici anni 70/80, sussurrò il nome del disco che seguiva ovvero NIGHT FEVER dei Bee Gees. I miei occhi fissarono il mio viso attraverso lo specchietto retrovisore. Notai le rughe esterne degli occhi dilatarsi. Stavo accennando un timido sorriso. Quella canzone mi stava riportando inevitabilmente ad un ricordo buffo che rappresentava proprio l’inizio della storia …
Era il 1977 ed era uscito il film di John Travolta “La febbre del sabato sera”. In giro nel mio paese non si parlava d’altro e anche a casa, non esisteva altro argomento. Night Fever e un po’ tutta la colonna sonora dei Bee Gees si sentiva in tutte le stazioni radio, nelle auto e soprattutto nelle feste che si facevano nei soggiorni di casa. In quel periodo, ero già appassionato di film: seguivo vari generi in televisione e per essere informato sui programmi, mi servivo del “TV Sorrisi e canzoni” che ogni giovedì i miei compravano. Finito di consultarlo, appena passata la settimana, ritagliavo le locandine dei film mandati in onda e li sistemavo per genere. I miei preferiti erano stranamente l’horror e il giallo. Peccato solo che non ci dormivo di notte quando li guardavo. Al cinema, però, non ero mai stato e preso anche dalla curiosità, pensai di andarci proprio in quell’occasione con mio cugino un po’ più grande di me che tra l’altro aveva il padre, zio Alberto, che lavorava alla biglietteria. Il cinema non era tanto distante da casa. Ci presentammo, pronti per pagare il biglietto, quando il gestore che affiancava zio, guardandoci con aria perplessa, sentenziò:” Ma dove vanno questi nanetti!!??!!” Aimè! Il film era vietato ai minori di 14 anni. Io ne avevo giusto la metà… e mio cugino solo tre più di me! Tornai a casa deluso tra le risate dei miei familiari. Intanto, aumentava il mio interesse per quel proiettore capace di creare con i suoi fasci di luci, tante emozioni. Un po’ come i fari della mia macchina in quel preciso istante sull’autostrada: mi proiettavano una lunga strada che mi avrebbe portato ad una sicura nuova emozione.
Strano comunque dover avanzare con i km per ricongiungersi con il passato.
Nel frattempo il dj proseguiva con la sua “mitology”. Era il turno di “My Sharona” dei The Knack. E la mia mente proseguiva nei ricordi….
In un pomeriggio invernale del 1981, si decise per il mio “debutto”. La presenza di zio Alberto in biglietteria, faceva stare tutti tranquilli a casa. Non era lo stesso per il mio carissimo amico Marco. Anche lui come me
amava il cinema. Ma il padre non era d’accordo all’uscita. Diceva che era ancora troppo presto per noi. Furono i miei a convincerlo, con tanta fatica, per il giorno dopo. Eravamo raggianti, non ci dormimmo la notte.
Il cinema Berto a fine settimana proiettava due film. Quel pomeriggio, partimmo mezzora prima della proiezione. Arrivati, trovammo all’ingresso il gestore in compagnia di mio zio che mi accennò un mezzo sorriso. Ricambiai. Pagammo e ricevemmo in cambio un biglietto da conservare fino alla fine della proiezione. In realtà, lo conservo ancora tuttora.
Ricordo ancora il momento di quando spingemmo le due porte di legno che conducevano alla sala. Una meraviglia! Ci fermammo a guardarci intorno a bocca aperta. Era tutto così grande per noi … Era tutto così strano. Per non parlare dello schermo … Intanto la sala cominciava a riempirsi frettolosamente e quindi fummo anche costretti a muoverci per evitare di ritrovarci in piedi proprio nel giorno del debutto. Ci sedemmo all’incirca alla metà di essa. Continuavamo a girarci intorno senza avere parole per commentare. Ma il momento più emozionante stava per avverarsi: buio in sala … un fascio di luci sbucò da un foro posizionato alle spalle della platea. Io e Marco seguimmo in maniera sincronizzata il percorso dei colori che attraversarono tutta la sala fino a buttarsi sullo schermo bianco, creando una visione. Una vera magia. Un incanto! Tutta sembrava grandioso: le immagini, le voci, i suoni. Marco, in maniera spontanea, emozionato quanto me mi tenne sottobraccio: il suo sinistro era infilato e ripiegato sul mio destro. Ridevamo senza motivo. L’emozione prevaleva su tutto. Iniziò il primo film, 5 MATTI AL SUPERMERCATO e molti cominciarono a fumare in maniera rilassata come lo è uno studente subito dopo aver dato un esame. Dopo pochi minuti, in uno dei momenti di silenzio che si alternavano alle risate del film, un grido fece voltare l’intera platea verso la fonte e cioè dietro alle porte dell’uscita: “GIULITTOOOOOOO’ !!”. Marco mi guardò e disse: – Giulio, è tuo zio! Ti cerca! – . Aveva ragione: zio mi chiamava così, in quel modo! Prima di alzarmi, mi girai intorno. Attesi qualche secondo e solo una volta accertatomi che tutti erano tornati a concentrarsi alla visione, mi alzai. – Zio che c’è?! – gli chiesi appena fuori dalla sala. – Perché hai gridato in quel modo per chiamarmi?!! – E lui rispose: “Tieni i tuoi soldi, prendi! E torna subito dentro prima che arrivi il gestore”. Lo ringraziai velocemente e perplesso quanto divertito, tornai da Marco spiegandogli a voce bassissima l’accaduto. Scoppiò a ridere. Seguì l’intervallo. Tutti si dimenavano e cercavano di raggiungere l’esterno della sala per procurarsi prima degli altri le patatine e la coca cola. Le urla dei ragazzi si mescolavano al tono ormai noto della voce di mio zio che li invitava a calmarsi. Ma il meglio doveva ancora accadere con la proiezione del secondo film: FUGA PER LA VITTORIA. Tutti in quel periodo amavano il calcio. Si giocava a pallone in ogni punto o spazio: in piazza, in strada, in campagna, nei parcheggi. E tutti conoscevano o sapevano di Pelè. In quella seconda riproduzione, per la verità, non c’era il consueto silenzio che dovrebbe accompagnare normalmente una visione. Si commentava ogni scena: Stallone, Ardiles, Pelè appunto. Per questo motivo, il gestore aveva deciso di passare più volte tra i posti: – “State zitti!!!” – Era la fatidica frase che accompagnava ogni mormorio. Intanto, Marco continuava a prendermi sottobraccio. Insomma, tutto tranquillo se non fosse stato per quella splendida rovesciata di Pelè: quando il pallone entrò in rete, la sala si trasformò in uno stadio; tutti si alzarono in piedi ad esultare e tutti proprio tutti, cominciarono a battere incessantemente le sedie in legno pieghevoli su cui eravamo seduti, emanando un rumore assordante. Ci riunimmo al resto della platea senza pensarci nemmeno un secondo. Il gestore dal canto suo, cercava a malapena di tranquillizzarci. Ma la sua voce si perdeva in quel gran fracasso facendolo sembrare un mimo. Tornammo a casa ancora carichi di adrenalina e divertiti più che mai. A letto sentivo ancora il rumore delle sedie, la voce di mio zio, la risata di Marco. – Me le porterei a casa queste sedie – mi aveva detto alla fine del film quest’ultimo. Fu un giorno indelebile. Quella notte mi addormentai con il sorriso.
Che strano, però, viaggiare di notte!!! Riuscivo a ricordare le cose come se fossero immediate, istantanee. Senza rumori, solo con una voce soffusa ed una colonna sonora ai miei pensieri. Lasciai procedere la mente sulle note di Africa dei Toto.
La passione per il cinema aveva preso il sopravvento: ogni sabato mattina, aspettavamo l’arrivo di Ciccio il signore che affiggeva le locandine e spesso lo costringevamo ad aprirle ancor prima dell’affissione
Passò qualche anno, andavamo alle scuole medie ed eravamo diventati anche più esigenti.
Tutto, insomma, proseguiva in maniera tranquilla … fino a quella particolare domenica del 1983. Pioveva forte ed io e Marco avevamo deciso di fare il bis di film prima ancora di recarci al cinema. Alla richiesta, il papà di Marco andò in incandescenza e nemmeno la moglie quel giorno riusciva a calmarlo. Ora batteva sul fatto che passavamo troppo tempo in quella inutile sala. Toccò di nuovo a mio padre convincerlo anche se in realtà, fino alla nostra uscita, continuò a ribadire alla moglie di non essere d’accordo. Arrivammo al cinema entusiasti come sempre. Solito iter con zio Alberto ed il gestore: in maniera serissima, tirai fuori i miei soldi, ritirai biglietti, ringraziai ed entrai. Così anche Marco. Ci sedemmo e Marco mi prese subito sottobraccio, questa volta anche prima della proiezione. Si voltò, poi, all’improvviso e mi disse: “Grazie Giulio!”. “E per cosa!?” gli risposi. “Per avermi regalato un’altra emozione” ribatté. “Se non fossi venuto a causa di mio padre, non sarei così felice come lo sono adesso. E questo grazie a te!! Amici per sempre?”. “Amici per sempre” gli risposi sorridendo.
Quella volta c’eravamo messi in penultima fila. Marco diceva che voleva avere il controllo della sala. Che secondo lui, da lì, si riusciva a godere di tutto.
Le luci si spensero e iniziò la prima proiezione LA CASA CON LA SCALA NEL BUIO. Sarebbe seguito SEGNI PARTICOLARI BELLISSIMO. Marco aveva perfettamente ragione: da lì si riusciva a vedere il fascio di luce del proiettore per intero; da lì si sentiva meglio l’audio; si riusciva a captare le abitudini della platea: c’era chi fumava in continuazione, chi mormorava con il vicino incurante dell’inizio della visione; chi dormiva già; chi dondolava il piede …
E mentre osservavo la struttura da una nuova angolazione, arrivò il consueto richiamo: “GIULITTOOOOO’”. Marco sorrise. Io attesi qualche secondo e mi avviai verso zio. “Giulitto’ prenditi questi soldi prima che arrivi il gestore”. Fu nel mentre ritiravo la paga che fecero ingresso due persone con occhiali neri e con l’aria molto tesa. Quello di destra, un po’ calvo, teneva in mano una busta bianca. Mio zio stava per chiedergli chi fossero e chi cercassero quando fu spinto in male modo. I due, sempre incuranti della mia presenza, aprirono a metà la porta di legno che dava alla sala e buttarono la busta dentro facendola strisciare per terra. Subito dopo, scapparono. Zio cominciò a gridare a squarciagola: “Uscite, presto, uscite dal cinema”. Entrai subito nel panico e senza capire cosa stesse succedendo, spontaneamente cominciai a gridare con mio zio: “Marco, esci dalla sala… esci”. La gente urlava. Si sentivano i rumori delle sedie di legno e dopo pochi secondi … un’esplosione … buio totale! Mi ritrovai stordito tra le braccia di mio zio sussurrando in continuazione il nome di Marco. Era stata una bomba. Cinema distrutto, tanti feriti soprattutto nelle ultime file …. Qualche morto…!
Sull’autostrada aumentava il numero di macchine ed anche il sole cominciava a farsi vedere. Alla radio, Take on me degli A-HA.
Quel ricordo continuava ad oscurarmi il cuore. Marco era tra i feriti ed io per il senso di colpa che mi ritrovavo, ero morto dentro. Tentai più volte di entrare in ospedale per vederlo ma il padre me lo proibì fortemente. Aveva incolpato me e la mia famiglia per tutto quello che era successo. Non riuscivamo nemmeno ad avere notizie su come proseguivano le cure. Avevo saputo da zio che era stata opera del clan camorrista che controllava il paese in quel periodo, per uno screzio al gestore del cinema per non aver voluto cedere una quota degli incassi. Dopo l’accaduto, il cinema andò sotto sequestro.
Ero triste. I miei continuavano a ripetermi che non era stata colpa mia … che a volte certe cose capitano anche senza la volontà di nessuno. Ma non era sufficiente a rimettere in moto la mia vita. Gli amici, la scuola, gli affetti: più nulla mi dava soddisfazione.
Dopo un mese circa, la famiglia di Marco decise di trasferirsi: nessuno sapeva dove. Il padre aveva deciso di chiudere il capitolo con quel posto e quelle persone che avevano fatto del male al figlio a dir suo. Non ebbi la possibilità nemmeno di salutarlo. Inoltre mio zio si ammalò e venne a mancare. Tutto divenne più buio in me. La mia famiglia nonostante la non ottimale condizione economica, decise di regalarmi un videoregistratore.
Faceva di tutto per aiutarmi. Passavo ore e ore a guardare film nella mia cameretta, tenendo sempre con me il blocchetto di biglietti che mi aveva lasciato mio zio … nei primi tempi, noleggiai quelli che avevo visto al cinema con Marco. Poi, col tempo, la passione mi portò proprio a collezionare VHS. Passarono alcuni anni e continuai a non avere notizie di Marco e la sua famiglia. Partii per il militare e lì conobbi una ragazza che, sentita la storia, mi convinse a lasciare tutto e a trasferirmi dopo l’anno di naja. Sono passati 30 anni da quel momento … dalle VHS sono passato ai dvd e poi ai blue ray … La passione non è cambiata ma mi sento solo come tanti anni prima. Ho provato con i social a cercare o individuare anche un semplice appiglio per arrivare a Marco… ma niente! La colpa ormai si era impossessata della mia anima.
Il cartello autostradale mi indicava solo tre km per l’uscita PONTECORVO. Il mio pensiero andò subito a Roccasecca.
Fino a qualche anno prima, era quello il luogo in cui mi incontravo con la mia famiglia. Dal giorno della mia partenza, non ero più tornato nel mio paese e per riuscire a rivedere i miei, mi recavo nell’abitazione di una zia del posto. Lì, ogni tanto mia madre provava a convincermi di ritornare. Ma vivevo con un senso di colpa tale da non permettermi un ritorno. Poi, con la decisione di mia zia di vendere, venne meno anche l’occasione di rivedere i miei.
Ancora un’ora e mezza e sarei arrivato. Cominciai a sentirmi nervoso, un po’ agitato. Pensavo a quante persone mi avrebbero trovato invecchiato pur dicendomi di non essere proprio cambiato. A quante avrebbero avuto da dire sui tanti anni della mia assenza. A quante avrebbero comunque sparlato, cosa tipica dei paesi o a quelli che sarebbero accorsi solo per curiosità, senza un minimo di sentimento. Parlo di quelle persone che ritrovi sempre tra le ultime file a parlare di tutto tranne che della circostanza. Ma sarebbe stata proprio la circostanza ad oscurare tutto dalla mia mente, pensai.
Ogni cosa si era evoluta ma non riuscivo a immaginare il modo in cui l’avrebbe fatto mio paese. Avevo stampate come foto nella mia mente le ultime immagini.
Arrivai all’uscita di Capua. Rallentai sulla statale un po’ per il consueto traffico e un po’ per sbirciare sugli eventuali cambiamenti avvenuti nel corso degli anni. Dopo Capua, San Tammaro, Teverola, Casaluce e infine il mio paese. Ero arrivato! Il cuore batteva a mille!! Entrai dalla parte che avevo frequentato meno da ragazzo per limitare l’impatto emotivo. Proprio in quel momento, mi squillò il telefonino: “Giulio, ma dove sei? Mancano solo 10 minuti”! Ma ti rendi conto!!?? È arrivato anche il parroco”. “Si, arrivo” – le risposi. Era mia sorella. Feci il giro largo: attraversai la circumvallazione, poi Corso Vittorio Emanuele. Quanti ricordi! Rallentai al punto in cui io e Marco aspettavamo Ciccio delle affissioni. Continuai ormai provato e dopo poco arrivai a destinazione. C’erano tante auto parcheggiate nei dintorni. Mi avevano lasciato libero proprio lo spazio davanti l’ubicazione. Scesi dall’auto e lo sguardo si concentrò sulle locandine affisse. Stavo per commuovermi … ma resistetti! Non potevo proprio in quel momento. All’esterno, c’erano solo pochi curiosi che chiacchieravano d’altro probabilmente e che non si accorsero nemmeno della presenza di un uomo brizzolato che chiuso in un vestito ingessato, inspirava e respirava in modalità yoga immobile davanti ai pochi scalini che portavano all’ingresso. Un ultimo fiatone … ed entrai!
“SIGNORI E SIGNORE! CI SIAMO! COME PRIMO CITTADINO, SONO LIETO E ONORATO DI DARE IL BENVENUTO ALLA PERSONA CHE HA PERMESSO AL CINEMA DI RIPRENDERE VITA IN QUESTO PAESE. LA PERSONA CHE HA DONATO A QUESTA CITTADINANZA LA POSSIBILITA’ DI TORNARE AD EMOZIONARSI DAVANTI AL GRANDE SCHERMO. CARI CITTADINI, ACCOGLIAMO CON UN CALOROSO APPLAUSO GIULIO DE SANCTIS.”
Tutti si alzarono in piedi. Attraversai la sala in mezzo a persone sconosciute che tentavano di darmi la mano o addirittura il cinque. Quelli più adulti cercavano di farsi riconoscere ma senza successo. In fondo, verso lo schermo, in prima fila, intravedevo i miei genitori invecchiati ma radiosi che applaudivano con le braccia alzate quasi per dimostrare di averne l’esclusiva o comunque più diritto rispetto ad altri per poterlo fare. Riuscii a raggiungerli e mi ritrovai tra le braccia della mia famiglia al completo. Cominciai a piangere come un
bambino tra gli applausi che sembravano interminabili. Notai che tutto era stato fatto perfettamente secondo le mie richieste. Il cinema aveva mantenuto la stessa struttura di quello che molti anni prima ci aveva regalato prima un sogno e poi un incubo con un’unica particolarità: tra le tante poltroncine nuove, proprio alla metà della prima fila, ce ne erano due in legno. Erano state recuperate dall’inferno di quel pomeriggio e stavano ad indicare me e Marco.
Il sindaco, invitò tutti a prendere posto. Il parroco volle congratularsi con me di persona. Era il momento di inaugurare la prima pellicola. Come da accordi, non avrei fatto discorsi. Avevo deciso di far proiettare quella del giorno dello scoppio quasi per la speranza di dare una continuità diversa da quella realmente ricevuta. Quella rubata alle nostre menti.
Mi avevano riservato il posto tra le autorità … Ma non seppi resistere al richiamo: mi sedetti volutamente in una delle due sedie in legno. Per rispetto, allo stesso modo, nessuno decise di prendere posto nell’altra. Le luci si spensero. Un fascio di luce uscì dallo stesso foro di tanti anni prima. Iniziò la magia sullo schermo e la platea spontaneamente cominciò ad applaudire. Il film iniziò e dopo il decimo minuto, come da accordi, ci alzammo tutti in piedi per ricordare con un minuto di raccoglimento le vittime di quella serata.
Trascorso il minuto, si riprese non prima di un nuovo caloroso applauso. Quella voglia di ricominciare si avvertiva in tutte le persone. Capii che non ero l’unico a ricominciare. E questo mi faceva sentire meno solo.
Durante la visione, cominciai a fissare gli sguardi e le espressioni delle persone che mi accompagnavano in prima fila: c’era chi stringeva gli occhi probabilmente perché non più abituato a vedere una visione del genere da così vicino o comunque in uno schermo così grande; chi guardava con la testa appoggiata all’indietro; chi seguiva con la bocca aperta… Quelle espressioni, mi portarono un leggero sorriso che mia sorella fu contentissima di cogliere visto che richiamò la mia attenzione semplicemente per comunicarmi un ok con la sua mano destra seguito da un bacio.
Ma fu proprio in quel momento di complicità, che si udirono nel silenzio assoluto dei passi lenti … Dal buio della sala vidi avvicinarsi un signore che incurante del mio sguardo, si sedette direttamente al mio fianco al posto in legno. Non ebbi il coraggio di dirgli che lì non poteva. Speravo che lo facesse qualcun altro per me. Ma erano tutti attenti a guardare il film. Per delicatezza, non mi voltai più di tanto e continuai a fissare lo schermo. O meglio, a guardare le immagini e a pensare ad altro come avevo fatto fino a qualche momento prima.
Ma in quel preciso istante, il signore lentamente mi prese sottobraccio: il suo sinistro era infilato e ripiegato sul mio destro. Un brivido attraversò tutto il mio corpo. E fu allora che mi parse di risentire il rumore di tutte le sedie in legno che battevano incessantemente ed una voce dall’ingresso che chiamava: “GIULITTOOOOO’”.
Magari ci fossero più Giulitti in giro, ad aprire nuove sale cinematografiche.
Giuliano, questo racconto potrebbe anche diventare un romanzo! Stai per caso pensando di scriverlo (o magari l’hai già scritto)?
P.s.: Le canzoni e i film che hai citato hanno scatenato tanti ricordi anche in me…
Caro Riccardo, ti ringrazio per il commento. In realtà, “Il ritorno” è nato come romanzo, trasformato poi in racconto proprio per l’occasione. Credo, infatti, che anche in un cortometraggio si possa racchiudere il senso ed il messaggio che ho voluto esternare.. Ti ringrazio ancora per la tua attenta analisi.