Premio Racconti nella Rete 2023 “Giulia e Giulia” di Simonetta Micheli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Esitò un poco prima di chiudere il pesante portone di legno verde scrostato dal tempo, dalla scarsa manutenzione e dalle improvvise folate di vento che in certi periodi dell’anno battevano incessanti.
Un ultimo sguardo all’interno, fotografando ogni dettaglio di quella casa che stava per lasciare, poi chiuse facendo attenzione a non fare troppo rumore. Al risveglio i suoi genitori avrebbero trovato un biglietto sul tavolo della cucina, poche righe di saluto e spiegazioni rassicuranti, così tenere che nel rileggerle una lacrima le era scivolata rapida dagli occhi facendo sbiadire le ultime parole.
La campana della chiesetta poco distante le ricordò che doveva spicciarsi, così corse via attraverso i campi ancora brinati, non prima però di aver portato il cibo ai suoi cari animali, salutandoli nome per nome per l’ultima volta ed imponendosi di non piangere.
«Se lo perdo di sicuro non troverò mai più il coraggio di andarmene» si disse Giulia.
Impiegò il tempo che aveva previsto per giungere a destinazione. Del resto aveva già provato a fare quel tragitto più di una volta, e sempre calcolando con precisione i minuti che le erano necessari, se non anche i secondi!
Invece era lì, sbuffava ma immobile. Come l’attendesse. Mancava ancora un quarto d’ora alla partenza. Controllò il cartellone, facendo fatica a rinvenirsi tra tutti quei nomi di città sconosciute e quei tanti numeri ed orari diversi, e infine lo vide. Quel treno fermo ed enorme era proprio il suo, quello per il “continente”!
Iniziava ad albeggiare.
Salì emozionata i tre piccoli gradini di ferro che l’avrebbero condotta all’interno, guardandosi i piedi per non inciampare, ed entrò. Una persona alle sue spalle la invitò a procedere, anche con malagrazia. Forse per lo sconosciuto quella non era la prima volta che saliva su un treno, ma per lei sì!
Sedili di cuoio un po’ sciupati dal tempo, ma di un’eleganza dal sapore antico, schienali di velluto verde, rifiniture in legno e un grande specchio tra i sedili ed il ripiano per le valigie. Si era immobilizzata nello stupore di una visione così inaspettatamente bella. Scusandosi entrò nel primo scompartimento dove il posto al finestrino era libero: non avrebbe voluto perdersi niente del paesaggio che gradualmente sarebbe cambiato durante quel lungo viaggio in treno. E che avrebbe cambiato la sua vita. Non avrebbe saputo dire esattamente come, ma di sicuro niente sarebbe più potuto essere come era stato e questo la rendeva un po’ inquieta. Temeva di non essere all’altezza di un così grande cambiamento e soprattutto temeva di perdere un po’ di se stessa. L’emozione del suo primo viaggio in treno velocemente prevalse ed annientò ogni altro pensiero.
Si sentì osservata mentre sistemava la valigia. Seduta nel primo posto accanto alla porta, un’anziana signora seguiva con attenzione ogni sua mossa. Arrossì quando si rese conto che la ragazza si era accorta del suo sguardo e si scusò garbatamente. Giulia strofinò istintivamente la mano al vestito e gliela porse. «Mi chiamo Giulia, piacere». «Giulia?» e sorridendo aggiunse «mi chiamo Giulia anche io, ma tutti mi hanno sempre chiamata Giulietta». Minuta, anche gli occhi erano piccoli, azzurri e ridenti. Ogni ruga del viso lasciava trasparire una vita fatta più di sorrisi che di espressioni tristi o corrucciate. Insomma, era tutta all’insù!
Giulietta sarebbe scesa a Cassino. Andava a trovare alcuni parenti che non vedeva da anni e forse si sarebbe trattenuta per molto, molto tempo. Raccontò che era rimasta vedova da tre anni e che adesso finalmente si sentiva pronta per allontanarsi dai luoghi ove aveva vissuto con il marito. Rosario era di Cefalù e lei, che non aveva mai pensato sino ad allora di lasciare la famiglia, peraltro adorata, lo aveva seguito per amore senza troppo pensarci. Subito dopo il matrimonio si erano trasferiti al paese di lui, dove la casa dei nonni paterni era stata approntata per loro. Ovviamente c’era anche una camera in più: “per i bambini che verranno” le avevano detto ammiccanti le sorelle di Rosario. Invece i bambini non erano mai arrivati, ma Giulietta non se ne era fatta troppo un cruccio; era felice anche solo per la fortuna che riteneva di aver avuto incontrando il “suo” Rosario. Adesso, continuò, sentiva il richiamo delle sue origini: voleva annusare ancora i profumi della sua terra, toccare le pietre delle mura medievali che circondavano il paese dove era nata e da cui era stata lontana per così tanto tempo. «Prima che sia troppo tardi, capisci?»
Sì, Giulia capiva e pensava che anche lei, un giorno (chissà quando!) avrebbe sicuramente preso un treno per tornare a casa. Prima che fosse troppo tardi…
Il treno proseguiva la sua corsa e ogni tanto lanciava il suo fischio per annunciare l’arrivo in stazione o per segnalare qualcosa d’altro che Giulia non poteva intuire ma che ad ogni modo le metteva allegria. Anche la conversazione procedeva fluida e piacevole, sembravano conoscersi da sempre. Forse per il nome che le univa? O per il bisogno, uguale e contrario, di salire su un treno e dare una svolta alla propria vita?
Giulia si faceva molte domande, lo sguardo però sempre attento al finestrino. Vedeva il mare allontanarsi poco a poco, sino a svanire. Come anche la sua nostalgia di casa. Il nuovo si stava preannunciando e già i colori erano cambiati: prevalevano i toni del grigio degli edifici, delle strade affollate di persone, apparentemente grige anche loro, che andavano di fretta, o almeno così a Giulia pareva. Si immaginava vite fatte di impegni, lavoro, commissioni da sbrigare una via l’altra, tutto a incastro. Senza un attimo di tregua. Senza una pausa per rilassarsi, magari al tavolino di un bar davanti ad una tazzina di caffè fumante e ristoratore.
Anche Giulia era abituata a correre, ma il suo era un ritmo diverso, scandito dalla natura. Alle prime luci dell’alba si alzava. Sistemava la cucina dai residui della cena, usciva in cortile per accudire gli animali, che solo al vederla arrivare le correvano incontro, poi raccoglieva in un grande canestro tutto ciò che avrebbe portato al mercato rionale per essere venduto. Era una cadenza molle la sua, un giro di valzer tra ortaggi, frutta e uova ancora tiepide di cova. Infine si incamminava attraverso i campi e ad ogni passo percepiva il calore e le vibrazioni della terra sotto i suoi piedi. Ondeggiando poi tra le signore sorridenti che l’attendevano, rimaneva al mercato sino all’ultimo frutto venduto.
Quella gente per strada invece andava sì di fretta, come lei, ma i movimenti erano rigidi, meccanici. Gli occhi abbassati, nessuno che cercasse lo sguardo di chi incontrava. Era tutto uno zigzagare tra corpi che altrimenti avrebbero rallentato l’andatura veloce. Nessuno sorrideva: soldati grigi in marcia solitaria verso chissà dove.
Era questo ciò che tanto aveva desiderato?
Era per questo che aveva abbandonato il paese, lasciando soli i suoi genitori?
Non voleva più essere costretta a leggere nella semioscurità i pochi libri di cui disponeva, alla luce tremolante di una candela per non dare fastidio, e con la stanchezza per la lunga giornata di lavoro che le faceva cadere la testa sul libro. La voglia di conoscere, imparare, studiare era grande, come quella di prendere quel diploma che i suoi genitori reputavano superfluo e troppo costoso. Ecco qual’era il motivo della sua decisione di abbandonare tutto e partire, e questo la stava attendendo!
Giurò a se stessa che avrebbe però continuato a tenere gli occhi alti e il sorriso in tasca, a disposizione per ogni incontro. Avrebbe danzato e non marciato.
Si assopì, rasserenata.
La svegliò il suono di un campanello (o erano le campane della chiesetta?). Si stropicciò gli occhi: nel corridoio un ragazzo stava trasportando, con evidente fatica, un carrello colmo di vivande, bibite e caffè. Stava annunciando il suo arrivo al suono di un leggero scampanellio.
Giulietta la guardò, e scuotendo lievemente la testa le offrì la metà di un enorme panino che profumava di buono. «L’ho tagliato poco fa con il coltello, per me era troppo grosso e lo divido volentieri con te; lascia perdere quelle robe imbustate, non sanno di niente e costano pure care».
In effetti Giulia era un po’ preoccupata: aveva portato con sé solo un po’ di frutta, il viaggio era lungo e la fame si faceva già sentire. Ma i soldi erano pochi, davvero contati per le spese che necessariamente avrebbe dovuto sostenere per giungere a Roma e stabilirvisi. Anche se sarebbe stata ospite dalla zia di una signora molto gentile che aveva conosciuto al mercato, ed alla quale aveva raccontato del suo sogno di andare in cerca di una città ove iscriversi a scuola, le spese sarebbero state comunque molte e i soldi trafugati dal portafoglio nei pantaloni del padre (scusa papà, te li renderò prima possibile!) a malapena le sarebbero bastati per una settimana. Nel frattempo avrebbe cercato un lavoretto e già si era segnata gli indirizzi di alcune persone che cercavano chi una baby-sitter, chi un aiuto per le pulizie o per fare compagnia ad un anziano. Non appena scesa dal treno avrebbe telefonato a tutti, presentandosi e chiedendo un appuntamento. Ma a tutti avrebbe precisato che non cercava un lavoro a tempo pieno, perché era lì per studiare e prendere il diploma.
Si accorse che mentre si stava perdendo in questi pensieri, Giulietta aveva ancora la mano a mezz’aria con il panino da offrirle. Lo prese con gratitudine, arrossendo un poco. E a sua volta le offrì un’arancia del suo campo «senza concimi chimici o altre schifezze, eh?» precisò nel dargliela.
Quello scambio di cibo nutrì anche la loro conoscenza, che già si capiva sarebbe diventata amicizia.
Avevano ancora tante ore da trascorrere insieme e tante cose da raccontarsi.
Giulietta tendeva ad ascoltare più che a parlare di sé in modo profondo. Si percepiva un certo riserbo, forse dovuto all’età o all’educazione ricevuta. Giulia al contrario trovava ogni scusa per intavolare un argomento e finiva spesso con il chiederle consigli. Riconosceva che il suo passo, seppur lungamente meditato, era un po’ azzardato ed iniziava ad avere molti dubbi, se non vere e proprie paure. Giulietta alternava rassicurazioni: «Sei giovane, forte, determinata e molto, molto carina, non avrai grandi problemi ma devi saperti gestire» a consigli pratici, informazioni e strategie utili che Giulia proprio non conosceva e di cui capiva l’importanza.
Il ragazzo con il carrellino ancora si annunciò, stava facendo il giro di ritorno ed oltre che dal suono del campanellino Giulia lo capì dal buon profumo di caffè che si stava spandendo nell’aria.
Non ammise repliche, aprì rapidamente il borsellino e pagò lei il caffè anche per Giulietta.
Ridendo fecero un brindisi con i bicchierini di plastica marrone. «Al tuo futuro» dissero quasi all’unisono. «Facciamo al nostro incontro» propose allora Giulia. E con questo l’amicizia era suggellata.
Giulietta poco dopo chiuse gli occhi. Era alquanto stanca e aveva anche bisogno di riposare la mente da tutte quelle domande, pur piacevoli, cui la sottoponeva la ragazza. «Beata gioventù, come sono cambiati i tempi! io sarei stata persa se non ci fosse stato Rosario quando lasciai casa!» pensò nell’addormentarsi.
Giulia, gli occhi fissi al finestrino, continuava incantata a guardare il mondo che velocemente correva via. Non riusciva a stare dietro a tutti quei cambiamenti rapidissimi. A volte appariva una stazione, in cui però non sempre il treno si fermava, altre volte una città di cui non faceva in tempo a percepire i dettagli. Ma anche molta campagna, e quello sì che le piaceva! Era un po’ come portarsi dietro un pezzo di casa. La faceva sentire meno sola.
Mentre faceva correre questi pensieri si voltò verso Giulietta, felice e certa che, comunque, sola non lo sarebbe mai stata.
Infine anche in lei prevalse la stanchezza.
Fu una mano leggera a svegliarla, questa volta. Giulietta, valigia in mano, si scusò ma il treno stava arrivando nella stazione ove sarebbe scesa ed aveva piacere di salutarla.
Si abbracciarono tenendosi strette per un poco, affinché nei loro corpi rimanesse impresso il ricordo dell’altra. Come Giulietta scese, Giulia notò un bigliettino sul sedile: “Per Giulia, l’altra me”. Non lo aveva ancora aperto e già le lacrime stavano scivolando, inaspettate ed inarrestabili. Un altro addio, pensò, troppi in così poco tempo. Lasciò che il dolore, tutti i suoi dolori ricacciati sino ad allora nell’angolo più profondo del suo cuore, uscissero allo scoperto liberandola da un peso opprimente. Poi lesse. Erano poche parole d’incoraggiamento per la sua nuova vita e un indirizzo. Giulietta la salutava così. Non era un addio, ma un arrivederci. La invitava, se il destino lo avesse consentito, ad andare a farle visita. Ci sarebbe sicuramente stato un treno per raggiungerla.
E il treno Giulia lo prese, non molto tempo dopo.
Era estate e la scuola aveva appena chiuso per le vacanze. Sentì l’urgenza di non rimandare. In poco tempo consultò l’orario ferroviario e spedì una lettera a Giulietta preannunciando il suo arrivo. Pensò che era inutile perdere tempo nell’attesa di una risposta, era certa che Giulietta non avrebbe potuto che essere felice di rivederla. L’indomani mattina riempì una borsa con pochi semplici abiti scelti tra i più comodi che possedeva, chiuse casa e salutò Giulietta promettendole che sarebbe tornata presto. Eh sì, aveva chiamato proprio così quella gattina abbandonata che un giorno aveva deciso di farsi adottare da lei!
Il giorno seguente era già sul treno diretta a Cassino. Non era un lungo viaggio, si sarebbe trattenuta giusto il tempo per stare un po’ con Giulietta e aggiornarsi su tutto quanto successo da quando si erano salutate. Aveva tanto da raccontare e ancora tante domande da farle. Si sarebbe goduta qualche giorno di riposo in piacevole compagnia e poi sarebbe tornata a casa per riprendere a studiare.
Alla stazione nessuno ad aspettarla. Non si stupì poi troppo, forse Giulietta era in ritardo. Poi le venne il dubbio che non avesse ancora ricevuto la lettera che le aveva inviato. A quel punto decise che l’unica cosa da fare era incamminarsi verso casa, all’indirizzo che aveva e che non era poi così distante dalla stazione, augurandosi che Giulietta ci fosse e che non si sarebbe troppo stupita per vedersela comparire così all’improvviso. In cuor suo era comunque certa che Giulietta sarebbe stata molto felice del suo arrivo e che avrebbe organizzato in un attimo la sua sistemazione.
Uno strano sentimento, quasi un filo di angoscia, però, pervadeva i suoi pensieri. E fu così.
Giulietta se ne era andata il giorno prima del suo arrivo. Sapeva che il suo viaggio in treno sarebbe stato senza ritorno e per questo aveva deciso di tornare alla sua vecchia casa; lo aveva promesso ai suoi genitori e voleva rispettare la promessa, anche se oramai non c’erano più. Desiderava rimanere in eterno vicino a loro e così aveva disposto. A Giulia aveva lasciato quello scialle ricamato che indossava quando si erano incontrate sul treno e che a lei era tanto piaciuto, e un bigliettino: « Questa casa sarà sempre aperta per te per quando avrai tempo e voglia di prenderti una vacanza. Qui troverai un po’ della tua terra, i suoi colori, il profumo dei limoni e qualche piantina aromatica da cogliere».
Da allora ogni estate Giulia va a trovare la sua “altra sé” e ancora si stupisce di come quel giardino possa essere sempre così rigoglioso. Giulietta dorme serena a poca distanza dai suoi genitori, sotto il limone, e la terra in quel punto è particolarmente morbida e profumata.
Ogni volta che torna, Giulia si avvolge nello scialle, si sdraia, chiude gli occhi e rivive il loro magico incontro.
In lontananza il fischio di un treno le fa compagnia.