Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Quel palazzo rosso” di Davide Greco

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Quella mattina, dopo tre lunghi mesi di lavori, la vecchia facciata grigia si mostrava in tutto il suo inedito splendore.

Attorno agli infissi originali (datati millenovecentodue) la pittura fresca cominciava la sua ultima fase di seccatura:

‘’Guarda che schifo. Sembra un fungo’’ 

Mario, storico edicolante di zona, emetteva la sua sentenza. Sedeva fuori il negozio inspirando da una vecchia pipa di bambù alla Huckleberry Finn, tutto preso dalle critiche.

A forza di criticare era diventato paonazzo, tanto che un paio di volte Carla, la moglie alla cassa, aveva dovuto ricordargli dell’ipertensione cronica.

‘’Rosso l’hanno dovuto fare. Un palazzo del genere, la storia della città: tutto al cesso.’’

La zona era stata recentemente sottoposta ad una massiccia operazione di ripristino e restauro. Le facciate del quartiere erano state ridipinte. Alcune erano riuscite a recuperare l’antico fascino d’inizio novecento: fiducioso e contenuto, confidente e spaventosamente ingenuo. Qualcuno evidentemente non l’aveva presa bene. Mario era nato negli anni cinquanta e quella Roma prefascista non l’aveva vista, non la sapeva apprezzare.

Non aveva mai sfogliato quegli opuscoli diffusissimi, ‘’città perdute’’ o robe simili. Poco male, tutto in bianco e nero. 

Mario sedeva da quarant’anni fuori l’edicola e ogni santo giorno guardava dall’altro lato della strada, verso il palazzo. Sul marciapiede due sedie ed un tavolino, pizzeria FOLLIE DI PIZZA. Per anni lo stesso panorama, le stesse sedie, la stessa insegna e, ovviamente, lo stesso palazzo. Grigio topo: classico, rassicurante, eterno. 

Mentre fumava leggeva fumetti. Si fermava a quelli da edicola: Topolini, riedizioni di Zagor, Tex Willer, Ratman, ecc.. Viveva di magiche fiabe e delicati intrighi internazionali. Lasciava a Carla il resto dell’attività: quotidiani, riviste e inserti lo nauseavano. Da sempre.Odiava il suo lavoro.

Aveva ereditato l’edicola dal padre, fin da piccolo passava pomeriggi interi dietro la cassa a leggere fumetti e fotoromanzi. Mario negli anni d’infanzia s’era affezionato in particolare a Gim Toro, una serie a fumetti italiana degli anni cinquanta ambientata a San Francisco: Gim è un italoamericano che combatte il crimine grazie alla sua forza taurina, ereditata per magia col cognome di famiglia; non è sempre contento di dover svolgere questo compito impartito dal destino, lo fa e basta. ‘’Come il toro alla corrida!’’, ripete sempre a indagine compiuta. Lasciate il resto alla fantasia.

Tramite il suo eroe, avveniva la proiezione infantile.

L’inconscio era stato segnato definitivamente dall’animale cornuto, il carattere s’era sviluppato in quella direzione. Testardo e capoccione, nella vita si era sempre scaldato oltre il limite. A forza di scaldarsi era diventato iperteso. 

Mario era un toro.

Entrò nel locale:

‘’Hai sentito Carla?’’

‘’Si, ho sentito. Sono tre mesi che ti sento.’’ rispose la moglie mentre impilava giornali.

‘’Bene. Tre mesi sono pure pochi per esprimere lo sdegno per questo orrore.’’

Carla smise per un secondo di lavorare e guardò teneramente il marito, solo lei era a conoscenza del tremendo fardello che portava, solo lei sapeva quanto fosse insoddisfatto, arrabbiato e necessariamente distante. 

‘’Non ti sembra di esagerare amore? Sei diventato tutto rosso; smetti almeno di fumare…quantomeno lasciala fuori, non si respira qui dentro.’’ 

Dalla tenerezza si era passati agilmente alle minacce, Carla sapeva e comprendeva il carattere di Mario ma non sempre l’accettava di buon grado. Sapeva diventare indomabile, avrebbe potuto continuare così tutto il giorno. 

‘’Nemmeno a casa mia posso lamentarmi in santa pace…’’ lamentò Mario riposizionandosi sul proprio trespolo sulla strada.

Quel palazzo rosso lo schiacciava, rifiutava di alzare lo sguardo. Da buon toro praticantenon sapeva dove sbattere la testa. 

Pur essendo primo pomeriggio decise di lasciare l’edicola e tornare a casa, l’ira si trasformava in abbattimento. Sulla via guardava attentamente le facciate appena ridipinte, a suo dire ben riuscite: ‘’Ocra, bianco, caffélatte, colori di buonsenso. L’unico stronzo al mondo sono. Che disgrazia…’’ pensava fra sé e sé.

Appena entrato nel vecchio appartamento di famiglia si abbandonò sul divano. Alla tivù davano un vecchio sceneggiato poliziesco. 

Era ancora nervoso quando si addormentò.

Ecco apparire un’arena stracolma di gente. Uomini e donne di tutte le età ne riempivano gli spalti sbraitando e scalpitando. Al centro dello stadio il torero.

‘’Fate entrare l’animale!’’ urlò. 

Un bovino mastodontico comparve davanti al piccolo uomo. 

La folla scalmanata si leccava i baffi, lo spettacolo cominciava.

Il torero allora estrasse dalla giacca il drappo rosso.

Mario aprì gli occhi: sull’orologio le tre e venti. Agguantò in un colpo chiavi e giacca e si precipitò fuori di casa. Sguardo assente e passo incerto, procedeva svelto verso l’edicola a braccia conserte. 

Mario soffriva di sonnambulismo. La condizione lo accompagnava da qualche anno, effetto collaterale delle cure per l’ipertensione dicevano i dottori. Come tutti i sonnambuli eseguiva gesti meccanici, routinarii, intrappolato a metà tra l’Io diurno e quello notturno.Le due facce di Mario combattevano a mani nude per il controllo del corpo.

L’io diurno, quello cosciente, abbandonato agli incubi del sonno cerca con affanno un appiglio alla normalità.

L’io notturno, caotico e inconscio ama mescolare le carte. 

Si fermò a comprare una tanica al ventiquattr’ore dietro l’edicola. L’Io notturno tirava verso sé. 

Proseguì sul viale alberato in direzione Agip. Ecco svelata la funziona della tanica.Venivano a galla piani misteriosi.

Fatto il pieno, con la tanica fra le braccia conserte, Mario riprendeva il tragitto per l’edicola.

Giunto al negozio attraversò la strada. Nemmeno un’occhiata all’edificio detestato. Lo sguardo assente puntava la vecchia insegna FOLLIE DI PIZZA. Conosceva bene l’ingresso di servizio per i locali della pizzeria. Spinse il maniglione antipanico ed entrò.

La cucina era buia. Sbattendo qua e là, Mario si arrestò di fronte al forno a legna.

Il destino aveva voluto che il servizio di quella sera fosse stato particolarmente fortunato, il locale aveva fatto gli straordinari. Nella sala i bicchieri e le posate giacevano addormentate sulle tovaglie macchiate, in attesa della mattinata successiva. Allo stesso modo i piatti sporchi nel lavabo e (ahi noi) i ciocchi ardenti dentro il forno. Mario distese la tanica di benzina sul fianco, infilandola maldestramente all’imbocco della fornace. 

Svitato il tappo rosso si sedette sul piano di lavoro, ancora sporco di pomodoro. Attraversato da un brivido si svegliò di colpo. 

Attorno a lui divampavano le fiamme: 

‘’Spero si capisca’’.

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