Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Non dico bugie” di Isabella Marchini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Non dico bugie

Mi chiamo Sara, ho ventiquattro anni e sono una pendolare.

Fin qui niente di strano – direte voi – ma quando avrete letto quello che sto per raccontarvi, capirete il perché del mio dubbio sull’essere creduta. Eppure vi posso assicurare che è tutto vero e niente è frutto della mia fantasia. Ma andiamo per ordine: la mia storia inizia in una piccola stazioncina lombarda. Una di quelle uguali a molte altre, dove i treni importanti passano veloci e se ne fermano solo due e non sono certo quelli della pubblicità. I binari sono pochi e non c’è nemmeno una pensilina. Attaccata alla parete della biglietteria, ormai in disuso, c’è un’unica panchina e più in là una misera fontana che ormai non usa più nessuno. Unica nota di colore: la vecchia casa cantoniera ridipinta da poco, di un bel rosso mattone. Da quasi un anno ogni mattina prendo il treno locale che, dopo tre fermate, mi porta a pochi passi dal mio posto di lavoro. La ditta che mi ha assunto fabbrica cucine, cucine un po’ speciali destinate ad una clientela che ama i prodotti non di marca, ma artigianali, ben fatti e curati in ogni minimo particolare. Il mio compito è quello di disegnare la cucina dei sogni a chiunque bussi alla mia porta. Così, un po’ alla volta, ho iniziato ad apprezzare il mio viaggio in treno: posso leggere, ascoltare musica e fare due chiacchiere al calduccio dello scompartimento. E non solo, ho scoperto che anche i nostri clienti lo preferiscono: nei mesi freddi le strade possono essere pericolose a causa della neve o del ghiaccio, nei mesi caldi si evita il rientro con una macchina parcheggiata in un piazzale arroventato dal sole cocente.

Tutto qui? No, adesso arriva il bello, per me, ma un po’ di pazienza perché non è ancora il momento della parte più curiosa.

Si avvicinava il Natale, e che Natale! Non vi ho ancora detto che da tre anni sono fidanzata con Sandro, dolce, bello, con un’ottima prospettiva di carriera davanti a sé. Insomma il massimo del massimo e… mi invita a passare il Natale dai suoi.

Se volete vi racconto la scena: ristorante elegante, lui seduto al tavolo che guarda verso la porta in attesa. Sulla tovaglia beige damascata, illuminata da una candela blu, spicca una rosa rossa dal lungo gambo. Il cameriere mi accompagna al tavolo, lui si alza, mi da’ un tenero bacio e mi accompagna la sedia da vero gentiluomo.

Inutile dire che ero al settimo cielo, e credo che anche voi abbiate capito cosa sarebbe successo e infatti…

Infatti ho iniziato subito una dieta veloce per perdere quel chiletto di troppo, prenotato: estetista, parrucchiere, manicure e pedicure ( mai farsi trovare con i piedi in disordine ). Rinnovato guardaroba, comprato trolley e beauty case, profumo e trucchi. E regali, regali e regali. Insomma stipendio e tredicesima volati via in meno di una settimana.

Finalmente arriva la fatidica mattina! Sandro mi viene a prendere in macchina ( lo so, scelta non ecologica, ma ben accetta dai miei tacchi alti ). Ci rechiamo a Milano dove avremmo preso il treno per Firenze e dove sarebbe venuto a prenderci suo cognato.

E chi se lo aspettava! Per me semplice pendolare che conosce solo piccole stazioncine, vedere la stazione di Milano enorme, piena di gente, addobbata per le feste: luci, negozi,vetrine. E poi il “frecciarossa”, poco più di due ore di viaggio, i vagoni e i sedili comodi, insomma un mondo nuovo per me.

E il bello doveva ancora venire ( sempre per me e per voi ancora un po’ di pazienza, per favore! Mi piace troppo questa parte per non raccontarvela. ) perché dopo le presentazioni: genitori, nonni ( ben sei: famiglia allargata! ), sorella e cognato con nipotino di otto anni, zia zitella e coppia di cugini venuti dall’estero e, dopo il relativo cenone, arrivò il momento dei regali.

Tanti ne avevo presi e altrettanti ne avevo ricevuti, alcuni davvero belli e costosi: un profumo, immensamente caro che al confronto il mio sembrava un deodorante, un pullover in puro cachemire di una nota marca italiana e un paio di orecchini punto luce con perla e diamante consegnatomi dai suoceri con il commento: – Una cosina da nulla, giusto un pensierino, spero ti piaccia!

Figuriamoci, e chi li aveva mai avuti orecchini così! Avrei voluto rispondere: – Oh c…zzo!

Invece mi limitai a ringraziare cortesemente con un bellissimo sorriso di circostanza. Il tempo  passava, ma da Sandro ancora nessun regalo! Eppure tutta la famiglia era stata coinvolta in  risolini e ammiccamenti fin dal mio arrivo. Possibile che avessi frainteso?

Eppure ero così sicura!

E infatti approfittando del primo momento di calma Sandro si mette in testa una coccarda e mi dice: – Forse ti stavi chiedendo dove fosse il mio regalo? Eccomi amore mio: sono io il tuo regalo!

Che detto così poteva anche dar adito a un fraintendimento. Infatti vista la mia faccia un po’ stupita, ha subito aggiunto: – Vuoi sposarmi?

– Ah! – ho subito pensato io – Allora avevo visto giusto! Finalmente!

Non avevo ancora risposto il fatidico sì che già mi aveva messo al dito il classico anello da fidanzamento.

Inutile che vi racconti il resto della serata e i due giorni a seguire perché quelli potete immaginarveli anche da soli.

Invece voglio precisare due cose importanti: una per la mia storia personale, che in questo racconto appare un po’ diversa dalla realtà e l’altra tutta per voi.

Inizio dalla prima: raccontato così Sandro sembrerebbe il classico stupidotto figlio di papà e io la classica ragazza di umili origini che accalappia il riccone.

Niente di tutto ciò: Sandro ha sempre cercato di mantenersi da solo anche ai tempi dell’università lavorando come cameriere e arrivando anche a fare il rider pur di non dipendere troppo dalla famiglia ( infatti il mio anello non compete minimamente con gli orecchini dei suoceri ). Insomma uno che sa cavarsela da solo, che sa cucinare ed evitare che la casa sembri una pattumiera. E in più ( questo è per difendere la mia moralità ) quando l’ho conosciuto non avevo la più pallida idea che fosse ricco di famiglia anzi, giudicandolo per la vita che faceva, quando mi invitava per una pizza, mi offrivo sempre di pagare la mia parte di conto. Ovviamente lui  non accettava e così invece che andare in pizzeria finivo per invitarlo a cena da me e lui cucinava ( meglio di me ovviamente! ).

Anche il suo lavoro gli era costato non poca fatica: nessuna raccomandazione e tanta gavetta. La seconda invece, e qui inizia il vero racconto, quello per cui non mi crederete mai, tanto per intenderci… riguarda un gesto che feci a tavola durante il pranzo di Natale.

Cosa si porta a tavola finite le pietanze e prima dei dolci? Ovviamente la “frutta secca”!

Altrimenti non sarebbe un vero pranzo di Natale, no?

Ecco io me ne stavo lì a pancia piena e intanto, beata come mai, guardavo e riguardavo il mio desideratissimo anello.

Ad un tratto un’idea, una di quelle che ti vengono così senza un motivo preciso, perché non festeggiare con il mio nuovo amico? In fondo io avevo mangiato un’esagerazione di cose buone. Perché non una prelibatezza anche per lui!

E mentre seguivo il corso dei miei pensieri, così per caso mi accorsi che una nocciola era lì proprio di fronte a me, bella, grande e lucida, talmente perfetta che non esitai a mettermela furtivamente in tasca.

Qui mi interrompo perché per entrare nel vivo del racconto (quello che vi ha incuriosito, spero ) devo tornare un pezzo indietro con la mia storia.

Quindi, per favore, insieme torniamo alla mia stazioncina e alla mia vita di tutti i giorni. Non mi piace fare le cose all’ultimo minuto, la mattina mi sveglio di buon’ora, mi preparo con calma e cerco di essere in stazione con un bel po’ di anticipo.

Sono sola a questa fermata, non pensate a quei treni di pendolari carichi di gente e alle stazioni superaffollate di operai, la mia è una tratta poco frequentata: giusto una quindicina di persone in tutto e non sempre gli stessi. C’è chi segue il mercato una volta a settimana, chi si occupa di pulizie a domicilio a giorni alterni, chi va in visita a parenti o amici o semplicemente chi va in giro per i fatti suoi.

Alla mia stazione salgo solo io, quindi il quarto d’ora giornaliero d’attesa lo passo a guardarmi un po’ in giro.

Inutile che mi dilunghi a raccontarvi come cambiano le cose da una stagione all’altra: la primavera, i fiori selvatici e il profumo di campi arati mi rallegrano sempre, ma anche il ghiaccio, la brina, la neve hanno un loro fascino ( se non mi trasformassero in un ghiacciolo ) perché modificano un comune  paesaggio lombardo in un luogo da cartolina. In quei momenti questa piccola e comune stazione di provincia è talmente bella che non mi stupirei di vederla su qualche dépliant con accanto il nome di un fotografo famoso.

In uno di quei momenti in cui hai le mani intirizzite dal freddo e il respiro forma una nuvola bianca, proprio mentre passeggio su e giù per la banchina nel tentativo di evitare il congelamento ai piedi ( tanto che iniziavo a non sentirmeli più )  vedo scendere da un albero uno scoiattolo e fermarsi per un secondo alla luce di un timido raggio di sole, scendere a prendere qualcosa da terra e ripartire di corsa sull’albero con le gote gonfie.

–    Boh! – mi chiedo – uno scoiattolo a giro in pieno inverno?

Cercai nella mia mente qualche reminiscenza scolastica, ma mi ricordai solo che gli scoiattoli vanno in letargo in inverno. Guardai l’albero, a malapena sapevo che era un sempreverde, del nome manco a pensarci, ma sicuramente lì doveva esserci la sua tana, mentre del perché fosse sveglio proprio non ne riuscivo a capire il motivo.

Quel giorno la mia scoperta fu motivo di conversazione con i colleghi durante la pausa pranzo.

Carla mi chiese: – Com’era lo scoiattolo?

–    Era uno scoiattolo, scoiattolo! – risposi io.

–    Che battuta! Volevo sapere se era un vero scoiattolo o magari era un ghiro? Di che coloreera e com’era grande?

–    Il ghiro – aggiunse Paolo, che è un vero naturalista – è somigliante allo scoiattolo, ma conuna coda meno folta, che rimane lunga e distesa, è un animaletto dotato di una folta pelliccia grigio-marroncina, bianca sulla pancia. Non puoi sbagliare.

–    Perdonate la mia ignoranza, ma non è che sono stata a fargli una foto, l’ho guardato solo perun momento.

Persino un magazziniere che non ci rivolgeva mai la parola si avvicinò e aggiunse: – Ho sentito dire che i nostri scoiattoli sono stati sterminati dagli scoiattoli americani, quelli che si importavano per fare le pellicce, per capire. Qualche esemplare è scappato e ora i nostri non ci sono più.

–    Sì! – rispose Paolo, che non se la sentiva di lasciar correre per una spiegazione cosìsemplicistica – Il nostro scoiattolo rosso è molto meno resistente e longevo dello scoiattolo americano, però non c’è stato alcuno sterminio, semplicemente lo scoiattolo grigio che è più forte, si è accaparrato tutto il cibo.

–    Ah, ecco! – fu la risposta del magazziniere, che se ne andò deluso dal fatto che non c’erastata alcuna battaglia cruenta.

–    Tornando al tuo scoiattolo, di specie non certa, anche gli animali in letargo possonosvegliarsi per brevi momenti magari per sgranchirsi un po’ gli arti.

–    Grazie Paolo! – fu la mia risposta accompagnata da un risolino da presa in giro.

Nei giorni a seguire capitava che nelle conversazioni con i colleghi uscisse la domanda: – Ma il tuo scoiattolino? –

Ogni volta rispondevo di no, che non lo avevo più visto, ma promettevo che se lo avessi avvistato lo avrei osservato ben bene e riferito a Paolo per le delucidazioni in merito. Arrivò la primavera e finalmente lo scoiattolo si fece vivo di nuovo. Inutile dire che per alcuni giorni fu motivo di conversazione, fino a che non perdemmo interesse per l’argomento.

Io invece lo vedevo spesso e mi pareva che anche lui si fosse accorto di me.

Ora farei una piccola parentesi, chi di voi non parla con gli animali? Tutti penso che vi rivolgiate ai vostri amici pelosi come se potessero rispondervi. E mica vi sentite stupidi per questo. Neanche io!

Intendiamoci, non è che pensassi che mi capisse o potesse rispondermi, mica sono matta, ma parlargli mi faceva sentire meno sola e così a poco a poco, in quei momenti d’attesa finivo per raccontargli i fatti miei, come da uno psicologo, insomma.

Cippecioppe, così l’avevo chiamato, anche se non si avvicinava troppo restava lì ad ascoltarmi girando in maniera buffa la sua testolina, come se partecipasse alla conversazione. – Buongiorno Cippecioppe! Come stai stamattina? Io così così, ho una brutta allergia – oppure – Hai visto che bella giornata, Cippecioppe!

Arrivavo persino a raccontargli se avevo litigato con Sandro o se i miei mi davano buca. Sì, perché non vi ho ancora detto che io non sono originaria di qui, i miei sono del sud e si sono trasferiti per lavoro quando ero ancora piccola e una volta in pensione sono tornati al loro paesello. Io, che nel frattempo avevo trovato un lavoro che mi piaceva tantissimo, ho deciso di restare nella loro casa. Motivo per cui i miei spesso salgono da me e anche per non farmi sentire troppo la loro mancanza.

Così qui al nord mi dicono: –  Si sente che sei del sud! – e al sud mi scambiano per una del nord.

Ora smetto di divagare e vado al sodo: – Vi ricordate di quella nocciolina? Adesso dovrete aver capito a chi era destinata.

Il primo giorno di lavoro, dopo la vacanza a Firenze, chiamo Cippecioppe e per prima cosa gli faccio vedere il mio fantastico anello, poi gli racconto tutta la vacanza e prima di salire sul treno gli lascio sulla panchina la nocciola rubata.

Lo osservo dal finestrino e lo vedo mettersela in bocca per poi ripartire a razzo sul suo albero. Così nei giorni a venire iniziai a lasciargli, sempre sulla panchina, quando una ghianda (se la trovavo), oppure pezzi di biscotti, frutta secca o avanzi della cena, ovviamente cose che poteva mangiare… immancabilmente scelte con la consulenza di Paolo.

E così si arriva al dunque: l’autunno seguente mi ero presa un bel raffreddore, il naso mi colava e spesso dovevo sfilarmi il guanto per dargli un’energica soffiata. Alla stazione Cippecioppe mi guardava e sembrava divertirsi per lo strano suono della mia voce dal timbro fortemente nasale.

Lascio sulla panchina il pezzo di biscotto e salgo sul treno. Entrando nello scompartimento, prima di sedermi, saluto gli altri viaggiatori e mi metto a parlare con la signora Luciana: Come sta suo nipote, ha ancora la febbre? – Un po’ meglio grazie – risponde lei – Resto due giorni da mia figlia, così lei può andare tranquilla al lavoro. Ma anche tu figliola hai in brutto raffreddore, non era meglio se te ne stavi a casa al caldo senza lavorare?

La conversazione proseguì così per tutto il viaggio accompagnata da consigli su preparati miracolosi per combattere il raffreddore mentre io mi rintanavo sempre più nel mio cappotto, nella mia sciarpa e senza mai togliermi i guanti.

E fu così che al mio arrivo in ufficio iniziò il dramma: tolgo i guanti e… il mio anello era sparito!

Guardo nel guanto, niente. Mi tolgo il cappotto, la sciarpa e li sbatto vigorosamente, ma niente!

Vado in bagno, mi spoglio, controllo tutti i vestiti e ancora niente. Mi metto a piangere, accorrono le colleghe spaventare e mi chiedono che cosa ho. Balbetto e singhiozzo nel raccontare che non ho più l’anello e tutti si improvvisano novelli Sherlock Holmes. Persino due clienti si offrono per accompagnarmi a fare la strada a ritroso fino alla stazione cercando anche sotto ai sassolini più piccoli. Il mio capo, forse più preoccupato dal fatto che nessuno lavorava, telefona subito in ferrovia, spiega l’accaduto e chiede di controllare sul mio treno, gentilmente rispondono che sarà loro cura avvisarci se venisse ritrovato e ci chiedono dati e informazioni sull’accaduto.

Ho il numero della signora Luciana, che scende due fermate dopo di me, le telefono e le chiedo se qualcuno ha trovato un anello.

Ognuno fa le proprie ipotesi anche quelle più fantasiose, ma niente l’anello non si trova. Passa l’intera giornata e ormai sono rassegnata: dovrò dire a Sandro che ho perso il suo anello! Immagino già la sua delusione, magari penserà che non mi importa molto di lui…magari mi lascerà. Sono presa da dubbi e paure, forse mi prenderà tra le braccia, mi consolera’ e mi comprerà un nuovo anello, ma in ogni caso non avrò più quell’anello, il mio bell’anello.

La sera durante il viaggio di ritorno mi preparo il discorso da fare a Sandro. Come glielo dico? Penso a quanto doveva aver risparmiato per comprarmelo.

Scendo dal treno ancora singhiozzando e, per la prima volta di sera, vedo Cippecioppe: il pelo arruffato, le gote gonfie, dritto sulla panchina sembrava aspettare il mio arrivo. Appena avverte la mia presenza apre la bocca, lascia un oggetto sulla panchina e se ne torna veloce sul suo albero.

Ebbene sì! Era proprio il mio anello! Probabilmente mi era caduto quando mi sfilavo il guanto per soffiarmi il naso.

Impossibile! – penserete tutti – Uno scoiattolo non può essere così intelligente!

Eppure vi posso assicurare che mi è successo davvero. Anche perché… io, non dico bugie!

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