Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Mal d’Africa” di Margherita Farci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

«Sono in ritardo! Ginni perché non mi hai svegliata?!».

Non ottenne risposta, probabilmente Ginevra era già uscita da tempo. Prese i primi vestiti che le capitarono a tiro, si precipitò in bagno e si guardò allo specchio: sulla pelle chiara spiccavano due occhi ambrati dallo sguardo assonnato; il pigiama stropicciato evidenziava la corporatura longilinea e un cespuglio di capelli fulvi – non intenzionato a sciogliersi! – le incoronava il viso tempestato di lentiggini. Si preparò in fretta, prese le chiavi, lo zaino e corse giù per le scale. Arrivò giusto in tempo per salire sul tram 19, la linea che ogni giorno prendeva per raggiungere la facoltà di architettura del Politecnico.

Matilde era una ragazza solare, spiritosa e altruista; viveva con la sua coinquilina Ginevra a Milano, dove frequentava l’università. I suoi genitori erano separati e lei aveva sempre vissuto con il padre Andrea che ora abitava in Tanzania da oltre un anno e là lavorava con grande passione come fotografo, essendosi innamorato della luce di quei luoghi, affetto dal mal d’Africa.

A metà sera, finite le lezioni, Matilde come al solito prese il tram affollato; chiuse gli occhi per isolarsi da tutto quel caos, ma all’improvviso uno squillo risuonò nel vagone: era il suo cellulare.

«Pronto, chi parla?». Dall’altro capo rispose una roca voce maschile: «Salve signorina Matilde, sono Zawadi Luhende, un collega e amico di suo padre».

«Zawadi, certo che mi ricordo di te, come stai? Perché mi chiami?»; con voce grave l’uomo rispose: «Scusi se la chiamo. Io sto bene, ma non è questo l’importante: suo padre sta molto male da giorni, siamo tutti in pensiero e il medico non ci ha tranquillizzato! Chiede di lei in continuazione ed io penso che sarebbe importante per lui che lei lo raggiungesse. Non le nascondo che il viaggio è lungo ed impegnativo, ma se deciderà di venire io organizzerò tutto, facendo in modo di minimizzare tempi e spese». Solo allora Matilde rispose con un secco « Ti richiamo io al più presto».

Chiuse la chiamata e rimase in silenzio: non sentiva più il frastuono del tram che cigolava sui binari, non sentiva più la stanchezza. Matilde stava vivendo la cosiddetta fase della “non accettazione” e, trovandosi da sola a Milano, lontana dal padre malato, si sentiva disorientata e confusa. Dopo alcuni minuti interminabili, si ricompose e pensò tra sé e sé: «Non è il momento di perdere la speranza: babbo ha bisogno di me e io ci sarò!».

Telefonò a Ginevra.

«Ehi Ginni, hai il pc davanti? Dai uno sguardo ai voli dei prossimi giorni per Dar es Salaam e annotali. Niente domande, ti prego, fallo e basta! Ti spiego tutto dopo, sto arrivando». Scesa dal tram, trovò la forza per richiamare Zawadi, che le delineò le tappe principali del viaggio.

Aprì la porta, lanciò le chiavi e si avviò verso la cucina. Appena la vide, Ginevra esclamò: «Mat, ho fatto il compitino! Ma che ti succede? Sei pallida come un lenzuolo…». Matilde si sedette, e le raccontò ogni cosa tra le lacrime. Cenarono e poi andarono a dormire, ognuna con mille pensieri per la testa.

La mattina seguente Matilde uscì presto. Arrivò in bici all’Ufficio visti; le dissero che, in via urgente, i tempi d’attesa erano di due settimane: Matilde non volle arrendersi e, dopo infinite peripezie, grazie a una vecchia amica riuscì ad ottenere il visto per tempo.

I due giorni seguenti mise a punto i dettagli del viaggio.

La sera del secondo giorno ritirò il visto, giusto in tempo per la partenza dell’indomani; il volo era alle 11:15 e prevedeva uno scalo di un’ora e mezza nell’aeroporto di Londra.

Le due coinquiline cenarono, poi Matilde andò a farsi un doccia calda e, a letto, si addormentò di sasso.

Alle 7:00 suonò la sveglia e un profondo sbadiglio risuonò in tutto l’appartamento fino ad allora avvolto nel silenzio; Matilde si preparò; quando fu pronta, abbracciò Ginevra: il loro silenzio diceva più di mille parole. Il taxi già l’aspettava sotto casa.

Solo quando fu tra le nuvole, si guardò attorno: vicino al finestrino c’era un signore dai capelli candidi che leggeva “ Il Giorno”, invece a fianco aveva una ragazza con un cappello sul volto che dormiva profondamente. Dopo un po’ si assopì cercando di liberarsi da ogni inquietudine.

Atterrò a Londra. Matilde chiamò Ginevra per darle notizie. L’attesa sembrava infinita.

Dopo un’ora Matilde era di nuovo a bordo. Durante il volo guardò un film per distrarsi un poco e poi cenò, ma il pensiero del padre non l’abbandonava mai: pensò al suo profumo, al suo sorriso, alle sue smorfie, alla sua voce calda e profonda e alla sua risata. Le mancava assai.

Il rapporto tra Matilde e suo padre era puro e spontaneo. Un patto tacito regnava tra i due; discutevano spesso ma, non riuscendo a tenersi il muso, finivano sempre col ridere a crepapelle e risolvere ogni grattacapo. Malgrado le fosse mancata la figura materna, suo padre aveva colmato questo vuoto; insieme avevano costruito ricordi felici che Matilde, lontana da lui, rammentava con nostalgia.

Si addormentò profondamente, cullata da questi pensieri.

Al mattino arrivò a destinazione. La vicinanza al padre le infondeva serenità.

L’aeroporto era davvero affollato e una volta uscita tirò un sospiro di sollievo. Salì sul primo taxi e arrivò – in anticipo – al luogo dell’appuntamento indicatole da Zawadi, presso una vecchia pensilina arrugginita. Matilde, non avendo voglia di aspettare tra la polvere e il niente, raggiunse delle bancarelle poco distanti.

Con sorpresa scoprì un esteso mercato, che si diramava tra gli alberi e le stradine. Era un vero e proprio spettacolo per la vista: un tumulto di tonalità scarlatte e ocra creava uno splendido contrasto con i legni delle bancarelle e con i colori vividi dei tessuti e dei frutti. Persone di ogni tipo affollavano le strade e i profumi delle spezie invadevano l’aria in modo inebriante; incuriosita, si inoltrò tra la folla.

Dopo un po’ tornò alla pensilina e attese l’arrivo del collega del padre, che l’avrebbe condotta in sicurezza al centro fotografico.

Insieme ad una nuvola di polvere arrivò un fuoristrada verde piuttosto sgangherato, il finestrino si abbassò e un signore sui settant’anni la invitò a salire frettolosamente. Era calvo, il suo volto era segnato da rughe profonde, aveva una carnagione scurissima color caffè. L’uomo cominciò a parlarle in inglese: «Signorina Matilde, il mio nome è Bakari e sarò la vostra guida. Il nostro viaggio durerà una decina di ore perciò faremo una pausa più tardi. Com’è andato il suo volo?»; lei rispose «Il viaggio è andato bene, sono solo un po’ stanca». Raccontò del mercato all’aperto e di averlo trovato affascinante; Bakari allora le spiegò che la Tanzania era un paese ricco di sorprese e luoghi mozzafiato e che già lungo la strada avrebbe avuto la possibilità di ammirare animali e paesaggi .

«Sa, suo padre è un eccellente lavoratore e un uomo di grandi vedute, ma soprattutto un amico. È un uomo forte; non perdiamo la speranza.» disse con dolcezza Bakari mentre scrutava lo specchietto retrovisore alla ricerca dello sguardo della passeggera; la ragazza gli sorrise con speranza. Dopo circa sei ore, si fermarono davanti ad un campo di banani e pranzarono all’ombra degli alberi.

Si riposarono e infine ripresero il viaggio.

Passarono due ore e Bakari si fece sempre più meditabondo. All’improvviso sbottò:

«ACCIDENTI! Mi sono perso!»; Matilde cercò un punto in cui ci fosse campo per orientarsi, ma tra le distese fitte di vegetazione fu impossibile; così decisero di cercare aiuto, scesero dall’auto portandosi dietro qualche provvista e si incamminarono tra gli sterminati campi di alberi da frutto, con la speranza di incontrare un agricoltore che fornisse loro qualche informazione..

Camminarono. Camminarono. Di essere umani neanche l’ombra. Continuarono a percorrere campi coltivati fino a quando Matilde esclamò: « Mi scusi, ho finito l’acqua da più di un’ora ormai, ho caldo e giramenti di testa: non ce la faccio più!». Bakari, dopo alcuni secondi di riflessione, propose di rifocillarsi prima di tornare alla macchina, con la speranza di risolvere il problema.

La vista dell’usurato fuoristrada parve un miraggio ai loro occhi. Arrivati alla macchina, si riposarono alla fresca penombra: erano distrutti ma entrambi determinati a raggiungere il prima possibile la destinazione.

Poco dopo si rimisero in viaggio vagando alla cieca; Matilde – non trovando i suoi occhiali da sole – frugò nelle borse e nelle tasche dei sedili; ed ecco che i suoi occhi attenti scorsero una vecchia cartina, che passò a Bakari, il quale scoppiò quasi in un pianto di gioia «Mungu mwema! La cartina regionale con il percorso segnato! Signorina Matilde, è proprio una ragazza d’oro! Ora lasci fare a me».

Sollevati ripresero il tragitto e Matilde ne approfittò per dormire un po’.

Quando aprì gli occhi, un’accesa macchia verde le si presentò davanti; mise a fuoco il panorama incorniciato dal finestrino: un cielo di un azzurro vivo, tipico dei pomeriggi estivi, si estendeva senza nuvole, stagliandosi sulla distesa di terra rossiccia e rigogliosa di vegetazione; in lontananza si intravedevano alcune sinuose giraffe che sgranocchiavano le foglie di un’ acacia.

Regnava la quiete più totale.

Bakari scrutava compiaciuto gli occhi luminosi di Matilde.

«Signorina, guardi avanti! Le riesce di vedere?» domandò Bakari, «Sì» annuì lei : di fronte ai loro occhi, tra gli alberi, si scorgevano delle casupole di legno e lamiera: il campo era ormai vicino.

Il petto di Matilde sembrava scoppiare e il cuore le pulsava violento. Pensava all’incontro ormai prossimo con il padre: era impaziente ed emozionata, ma provava paura per le sue possibili reazioni.

Finalmente la macchina si fermò.

Matilde era immobile, non aveva il coraggio di scendere dalla macchina, l’ansia e l’attesa erano alle stelle. Si decise solo quando Bakari fu di ritorno; mille pensieri le passarono per la testa: era lì per quello, no? Che le stava succedendo?

Fece qualche passo e alzò lo sguardo: « È un deserto desolato» pensò tra sé e sé, mentre Bakari lanciò un grido: «La figlia di Andrea è qui!». Subito una trentina di persone – per lo più tanzaniane – uscì dalle case chiassosamente.

«Com’è stato il viaggio signorina ?», « Le piace il nostro paese?», « Ha sete?», «Fame?».

Quel turbinio di domande non le interessava; salutò tutti (benché non avesse la minima idea di chi fossero) e rifiutò cordialmente. In quel momento pensava solo al padre.

Chiese a Bakari dove si trovasse Andrea e lui indicò un vialetto poco più avanti; Matilde lo percorse con decisione ma, una volta arrivata davanti ad una porta, si bloccò. Poi prese coraggio e spalancò la porta aspettando di trovare un triste scenario, ma non fu così: nella stanza si apriva una finestra velata da una tenda che creava delle penombre accoglienti, sul pavimento un tappeto variopinto ravvivava l’ambiente e le pareti erano tappezzate con numerose fotografie. Sul letto era disteso un uomo magro, dalla pelle abbronzata ma dal volto emaciato e con gli occhi semichiusi, come se fosse addormentato: riconobbe suo padre. La vista  di quell’ambiente così caldo la rincuorò.

La ragazza si rese conto della presenza di un uomo alto che sedeva all’angolo della stanza e sembrava dormire: aveva in mano un bastone intagliato, indossava un copricapo dai pendagli aurei, una tunica blu e alle orecchie portava dei grossi cerchi dorati, che luccicavano guizzando al filtrare di un debole raggio di sole; la sua presenza aveva un che di ieratico, Matilde pensò che si trattasse di uno sciamano. Stette in silenzio.

Con passi leggeri, la ragazza si sedette a fianco al letto e rimase a contemplare il padre, commossa; poi gli prese la mano, «Eccomi babbo, sono qui. Hai visto? Ho fatto il prima possibile» sussurrò dolcemente; non aspettava una risposta, ma il padre – al sentire quelle parole – aprì gli occhi e sorrise silenziosamente, guardando con tenerezza gli occhi della sua bambina a cui tanto aveva pensato.

Dopo alcuni minuti di un silenzio carico di parole d’amore, il padre prese fiato e bisbigliò: «Sapessi quanto mi sei mancata, Mati… Mi dispiace che tu mi riveda dopo tanto tempo in queste condizioni». Matilde lo abbracciò con il volto rigato dalle lacrime ed entrambi rimasero stretti l’uno all’altro. Erano felici.

«Come stai?» domandò Matilde con tono grave.

«Oggi sto meglio di ieri. La tua presenza, sono sicuro, mi aiuterà»; poi continuò: «Ho avuto paura di morire, tesoro. Non rivederti prima della fine sarebbe stata la mia condanna».

«Ero certa che mi avresti aspettato» disse Matilde.

In quella stanza i sentimenti erano tangibili; una calma serenità invase il cuore di Matilde, che osservava il padre, felice di averlo vicino.

Di una cosa era sicura, non lo avrebbe più lasciato.

Quella notte dormirono tenendosi per mano e finalmente Matilde fu in pace.

Il mattino seguente venne il medico che visitò il padre: «Il signor Andrea ha avuto una brutta intossicazione alimentare, ha rischiato veramente tanto, adesso il peggio è passato, è fuori pericolo. Fortunatamente questo tipo di reazione violenta non ha lasciato gravi conseguenze». Matilde si sentì leggera come non mai e anche Bakari appariva sollevato.

I giorni successivi il padre rimase a riposo all’ombra degli alberi di Guaiava e Matilde trascorse delle meravigliose giornate in compagnia dei colleghi di Andrea: vide le giraffe, il bagno degli elefanti, e imparò a cucinare alcuni piatti tradizionali, come l’anatra stufata nel latte di cocco; osservò le stelle distesa nel silenzio notturno, aiutò Zawadi a tingere coloratissime stoffe e imparò a guidare il fuoristrada. Si sentiva bene, libera e a suo agio.

I giorni passarono veloci, mentre si avvicinava Eid al-Adha: una tipica festa musulmana che si celebra ogni estate, durante la quale si prega al mattino e si festeggia alla sera con danze e sontuosi banchetti.

Per tutti era un’occasione di festa e di allegria e i preparativi iniziavano da giorni prima.

Matilde, insieme al padre – che si era ripreso – e ad altri colleghi, si spartirono i compiti; Matilde si occupò della decorazione del loggiato dove si sarebbero svolte le cene e le danze: incominciò ad intrecciare le foglie di banano con i fiori e con pazienza creò numerose ghirlande, che poi appese tra gli alberi. Aiutò Zawadi a posizionare dei tavoli e delle panche nell’area centrale. L’allestimento era alla buona ma si adattava alla semplicità dell’ambiente.

Arrivò il giorno tanto atteso. Matilde si svegliò di buonora ma preferì rimanere a letto ad ascoltare e a farsi cullare dalla preghiera del mattino che le arrivava come una ninnananna dalla finestra socchiusa.

Iniziarono la preparazione della cena, che fu lunga e laboriosa; furono servite diverse pietanze: la torta al pepe, l’ugali, il pane di noci e datteri, il nyama choma, il platano fritto e la zuppa di fagioli e cocco. Tutto fu mangiato con gusto tra le risate e le chiacchiere.

Dopo cena ebbero inizio le danze tradizionali e Matilde, dopo aver preso parte alla prima, si voltò e vide il padre seduto in disparte con sguardo assorto; gli si avvicinò temendo stesse male e gli chiese se fosse tutto a posto. Andrea disse: «Mi stavo chiedendo quando te ne andassi, cara. Non ti nascondo che sono triste al solo pensiero!»; la ragazza rimase in silenzio e lui continuò: «Questi giorni passati con te sono stati meravigliosi…» – fece una pausa – «Sai Mati, anche se non te l’ho mai detto, averti vicino è una ragione per sorridere. Quando tua madre si è allontanata, pensavo di non essere in grado di crescerti, ma poi col tempo mi hai fatto cambiare idea, mi hai reso felice. Pur essendo tuo padre, ti devo molto. Ma, a parte tutti questi discorsi, sebbene mi piacerebbe che tu rimanessi qui con me, è giusto che torni alla vita di ogni giorno, e così vale per me». Matilde, commossa, prese le mani del padre tra le sue e, mentre osservava le danze degli amici, gli disse: « Tu per me sei importantissimo; non c’era giorno, a Milano, in cui non pensassi con nostalgia agli anni passati insieme, da soli contro il mondo». «Da quando sono arrivata qui, mi è capitato di tutto…. Beh…questo viaggio mi ha fatto capire tante cose e ha risposto a domande che mi pongo da lungo tempo».

Il volto del padre si illuminò di gioia ma, senza proferire parole, lasciò proseguire la figlia.

«Mai mi sono sentita così a casa come in questa ultima settimana. Credo proprio che rimarrò qua, con te, in questi luoghi. Al solo pensiero di andarmene, provo già nostalgia… ed è come un mal d’Africa…»

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