Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Il salto” di Manuela Fucci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Lea dorme ancora, ne approfitterò per guardare il parco.
Quasi ogni metro incrocio altre mamme. Le sento chiacchierare dell’asilo, e mi fissano; mi sembra di sentire i loro pensieri. Succede anche all’uscita di scuola quando si sistemano in cerchio, tre o quattro di loro, a sparlare di me e di qualche altra mamma.
Il cuore si stringe ogni volta che guardo Lea nel passeggino. Ha ancora il tozzo di pane nel pugnetto. Io non ho mangiato. Oggi come allora il cibo non è il primo pensiero per me. Quando mi sollevavo dal letto a fatica, quando c’era il pancione. Poi sono stati i giorni del non l’ho fatto apposta!
Dov’è la vasca delle tartarughe? Da questa distanza mi sembra piccola come una bacinella per i panni. Un signore robusto, accompagnato dalla moglie, mi chiede se ho bisogno di aiuto. Sì, grazie. Scendiamo reggendo il passeggino, fino al belvedere del parco. Dal parapetto potrò affacciarmi sui tetti e le case e gli altri esseri umani.
Non so se al mondo esista qualcosa di più bello di ciò che i miei occhi stanno guardando in questo momento. Laggiù c’è il mare increspato come carta stagnola.
Devo svegliare Lea. Mi guarda con gli occhi cisposi. Le mani si aprono mentre la prendo in braccio e il pezzo di pane cade. Sento scorrere una tenera comprensione tra noi, come se fosse già adulta.
Qualcuno ha acceso una sigaretta. Mi piace l’odore che fa il tabacco appena brucia. Adesso il ventre morbido spinge contro il parapetto, guardo giù: non è poi così alto. Potrei dire: “Addio.” Ci vorrebbe un attimo.
“Bello qui, mamma!” la sua mano tocca debolmente la mia guancia. Gliela prendo e la scosto con un movimento lento perché non ci resti male.
“Ti porto a vedere le tartarughe.”
La faccio scendere. Appena le scarpe toccano terra si accorge che le manca qualcosa. Indica il pezzo di pane tra i cespugli poi guarda la sua mano.
“Ne abbiamo altro, tranquilla.” Sono diventata brava a rassicurarla.
La vasca è un laghetto recintato; a stento distinguo le tartarughe dalle chiazze di melma. Cinque secondi dopo, Lea è di nuovo tra le mie braccia. Noto che alcune tartarughe, lungo il bordo, galleggiano capovolte. Ipnotizzata da quei piccoli cadaveri, le mie braccia iniziano a perdere forza. Eppure, non posso fare a meno di fissare quella staticità. Mi trascina nel bagno della nostra casa.
Mi vedo piegata sul lavandino. È terribilmente sudicio. So che potrei sollevarmi spingendo sul bordo, ma non lo faccio e continuo a pensare: non l’ho fatto apposta.
Il colpo improvviso di un pallone contro la ringhiera mi riporta nel parco.
“Mamma, pane per le tartarughe!” Di nuovo le sue manine sul mio viso. Perché lo fa? Fingo, sorrido e con la mano libera sfilo dalla borsa la bustina del pane.
Lea lancia briciole e pezzi che colpiscono la superficie.
“Signora, è vietato, c’è scritto!” Accanto a me è apparsa una ragazzina uguale a tutte le adolescenti: capelli neri fino al sedere e pancia scoperta. Indica un cartello, usando un’unghia fucsia.
“Ah, sì, grazie.” Non ho voglia di mettermi a discutere né di giustificarmi. Ma Lea ha il broncio. Sono stata io a dirle che poteva farlo. Che madre sono?
“Andiamo al bar, la mamma ha voglia di un gelato.”
“Mamma braccio, braccio mamma.”
“Tesoro, siamo quasi arrivate, un altro po’ e ci sediamo.” Lea piange giusto qualche secondo nella speranza di convincermi a prenderla ancora in braccio. Sì, lo so, il sole non ci dà tregua. Manca poco.
Allora mi invento una storia; a furia di parlare riuscirò a distrarla.
Mi segue, una gamba dopo l’altra, solleva la spalla come per coordinare i passi. Ho i capelli appiccicati al collo, sono in debito di ossigeno.
“E poi, cosa succede al bambino?”
Il bambino della storia, dov’ero rimasta? Mi sono fermata a quando, dal cielo, cade il piede del sole, il sole ha perso il suo piede… il piede e non la scarpa, perché? La fantasia non mi è mai mancata, quella no.
“Beh, il bambino trova il piede nel giardino della sua casa.” Il cuore si gonfia: ora sono come tutte le altre mamme. “Possiamo chiamarlo Gino.”
“Facciamo Purino, sì Purino è bello per il piede.” Lea abbassa la testa come per cercare davvero quell’arto lungo i suoi passi.
“Vada per Purino!”
“Ah, ma il bambino non ha il nome!”
“Accipicchia!”
“Mm-mm” Stringe le labbra. Diventano due linee parallele mentre la fronte liscia si riempie di piegoline, poi dice: “Tonio!”
Questa storia piace anche a me. La verità è che mi piacciono gli occhi di Lea pieni di sorpresa.
Il bar è un antro alla base del piccolo museo. I muri sono bianchi, l’atmosfera è gelida, da cantina; ci sono bolle di umidità negli angoli. Sul cartellone dei gelati alcuni sono stati cancellati con un pennarello nero. Il Cucciolone c’è, però. Pago, ne prendiamo due. In tutto ci sono tre tavolini e qualche sedia lasciata qua e là come se qualcuno fosse scappato per un’urgenza. Scegliamo l’unico tavolino accanto all’uscita.
“Ti aiuto?”
“Faccio io, lo so fare, guarda!” È brava a scartocciare.
Adesso tocca a me. Dopo l’ultimo morso Lea fa girare la testa da un lato all’altro. Anche io ho sentito una voce; ha detto il mio nome.
Al bancone del bar ci sono solo due ragazzi. Mi sporgo verso gli altri tavolini, nessuno guarda nella nostra direzione. Poi, di nuovo: “Anna!”
Questa volta è alle mie spalle. Mi giro con una lenta torsione del busto, e lui è lì.
Dalla faccia smorta sembra che mi abbia cercato per un’eternità.
Si avvicina, ma quando vede Lea nascosta dal mio corpo, si blocca: ha capito! No, invece. Riprende a camminare; le mani lungo i fianchi. Spalanco gli occhi nella speranza che capisca il segnale. Ma Giancarlo non ha intenzione di fermarsi. Ecco che l’aria nel bar viene risucchiata fuori da un grande aspirapolvere. Presto si accartocceranno sedie e tavolini e Lea e io.
“Lea, guarda chi c’è!” Recita, Anna, recita.
Anche Lea è sorpresa, ha la bocca aperta e gli occhi che seguono Giancarlo.
Si ferma tra me e Lea, in piedi. Non prendere la sedia… non è questo il momento.
“Ciao, Lea. Ciao anche a te, Anna.”
Lo riconosco quel mezzo sorriso: è un sorriso che impedisce alle parole di uscire. Le faccio rotolare io le parole dalla bocca. “Che strano vederti qui… prendi pure il nostro tavolino, ce ne stavamo andando.”
Come un’ombra, una figura esile si ferma accanto a Giancarlo. In un attimo è appesa al suo braccio col mento che preme sulla clavicola. È bionda, è bella, è giovane.
Se sapesse.
Giancarlo si rivolge solo a mia figlia. Lei si fida, si è sempre fidata. Parlano delle tartarughe, del gelato, lui sempre in piedi. Sfrego i denti per non scoppiare davanti a tutti.
“Lea, meglio se andiamo, devo ancora pensare al pranzo.”
“Credo che Lea sia stanca di camminare.” Giancarlo si intromette.
“Mamma, possiamo prendere le caramelle?” Lea si gira verso Giancarlo come per chiedergli il permesso. Non so perché lui la rassicuri, non ne ha il diritto! Eppure, Lea lo ascolta.
“Posso accompagnarla io, se per te va bene.” Anche la voce di Lorena è perfetta.
Digrigno ancora i denti. Mi violento. “Se a Lea fa piacere.” Si allontanano.
Un dolore al braccio sinistro mi costringe a guardare Giancarlo. È accanto a me; le sue dita lasceranno il segno sul mio braccio già martoriato.
“Perché sei sparita?”
“È più bella di come la immaginavo.”
“Non sei in te, Anna!”
Sì, sono al di fuori di me stessa, ma non come intende lui.
“Non ti è mai importato nulla di Lorena.” Incalza.
“Adesso è diverso.”
“Non ti aiuterà cambiare discorso, e poi lo sai che da quando noi due… be’, non è più come prima con lei!”
“Non ti devi giustificare.” Lea e Lorena sono ancora al bar. “È la ragazza giusta per te.”
“Invece, scappare è la cosa giusta?”
“Non capisco a cosa ti riferisci.”
“Guarda che Lea mi ha raccontato tutto. Appena ti ho vista ho capito subito le tue intenzioni: non te lo lascerò fare!”
Il suo alito caldo sa di sigarette, me le ricordo le sigarette accese durante i nostri incontri. “Sei il suo insegnante di nuoto, non puoi fare proprio nulla.”
“Anna, parlerò con chi può fare qualcosa.”
Non esiste qualcuno che possa fare al posto mio.
Gli dico addio con gli occhi e lui lo sa, lo sa che non ci rivedremo. Niente più sbagli. Sa che non sarà più l’insegnante di Lea, e non perché siamo stati amanti, anche se mi sembra così ridicola questa parola, adesso. Ci siamo piaciuti, è stata la cosa più vicina a un rapporto moglie e marito. Lui fidanzato con Lorena e io sposata con un altro. Poi è diventato sesso e abbiamo spartito i nostri segreti.
Intanto, mia figlia è tornata da me. Stringe le caramelle. Questa volta non cadranno.
“Quanto ti devo, Lorena? Scusami, avrei dovuto farlo io.”
“Sono un mio regalo per Lea.” Si piega per guardare mia figlia in viso. “Spero che ci rivedremo presto, allora.” La sua voce avvolge Lea in un velo invisibile, io ne rimango fuori.
Prima di andare via devo salutare Giancarlo. Stringo la mano a Lorena, poi sposto il braccio verso Giancarlo. Nessuno può sentire la forza nelle nostre mani che si salutano. Quanto è successo tra noi non va considerato un fallimento, ma non ci rivedremo più.
Il parco è inondato di luce mentre attraversiamo nuvole di insetti che brillano.
“Torniamo indietro a dare da mangiare ai piccioni?”
“Possiamo, mamma?”
“Nessuno ci dirà che non possiamo, tranquilla.”
Il passeggino non mi serve più. Prendo Lea in braccio. La appoggio sul fianco così potrò guardare i gradini. Il panorama, al centro delle file di alberi, scompare dietro al parapetto, scalino dopo scalino. Siamo di nuovo sul vuoto.
Tornano le parole di Giancarlo: so tutto. Che sia stata solo una provocazione, la sua? Sono stata attenta… ho ripulito. La mia maglietta rosa, ma sì, avrei dovuto nasconderla già dalla prima volta! Ma che sto dicendo? Sono sicura di averla messa nell’indifferenziata. Sì, la prima volta. Niente più errori.
“Mamma, ferma!”
Ricordo la patina di sporcizia nel lavandino del bagno. Gocce e striature. Non è vero che tutti gli esseri umani si rompono a un certo punto. Alcuni nascono difettosi.
“Mamma, piano!”
Quando a stento mi riconoscevo. Quando l’unica soluzione era ripetere: Non l’ho fatto apposta. La mano e il buio e il dolore; l’American Express. E adesso, potrei chiudere gli occhi e lasciarmi cadere. Non ci sarebbe il tempo di accorgersi di niente.
“Mamma!”
E lui sarebbe solo un ricordo.
“Mamma, mamma!” La voce di Lea entra nella mia testa e torno in me.
Mi guarda senza capire, mi accarezza le lacrime. L’ha sempre saputo!
“Mamma, non piangere.”
La stringo, la bacio, le sussurro di perdonarmi.
“Adesso mamma sta bene, Lea.” Adesso so che posso farcela.
Quante volte il mostro che ho sposato ha provato a portarmela via, ogni volta che sbagliavo, e non bastava dire: “Non l’ho fatto apposta”. Un piatto che cadeva dalle mani erano due, tre schiaffi, poi sono diventati pugni.
Quando ha scoperto che con l’American Express si possono fare tante cose simpatiche a una donna, ho pensato che fosse arrivata la mia fine. Mentre mi tagliava urlava: “Niente più errori, hai capito?”
Nascondevo Lea tra i giocattoli. Le dicevo: “Aspetta qui che mamma sistema la cucina”. Poi, alzavo il volume dello stereo e tornavo da lui, sapevo cosa mi aspettava. La musica copriva i colpi e le sue urla.
Il naso rotto era per la polvere sui mobili. I capelli impigliati nei suoi pugni, dopo che me li aveva strappati, erano perché non sapevo fare la madre. Il sangue in bocca copriva tutti i sapori, persino l’acqua.
Sono arrivata a farmi schifo. Facevo in fretta a truccarmi, mi buttavo acqua in faccia per togliere i segni. Ogni giorno guardavo il loro progressi sul mio viso. Poi è arrivato Giancarlo, ma neanche lui poteva salvarmi. 
Ha ragione: volevo farla finita.
Alcuni di noi nascono difettosi. Il padre di Lea è uno di questi, un errore, nient’altro che un errore. Agli errori si può rimediare, fino all’ultimo respiro, e allora avrò vinto io.

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8 commenti »

  1. Tensione, tensione, tensione. Si trasmette ad ogni riga, nonostante le parole affettuose, le situazioni ordinarie. Bravissima nel tenere il lettore costantemente in allarme. E’ quasi liberatorio quando arriva la descrizione asciutta e dura della fonte di tutto il malessere, e il finale non rassicura del tutto. Complimenti per la scrittura.

  2. Ti ringrazio per i tuoi commenti, Marco.

  3. L’oscuro malessere ti pervade dall’inizio e ti fa subito immaginare il peggio, che però non arriva, e respiri. Poi cerchi di capire, immaginandoti una serie di situazioni, e quando si chiarisce il rovello interiore, ancora non si è del tutto sicuri, alla fine tiri un sospiro di sollievo, ma resta il dubbio su quale sarà la posta della vittoria. Bello, si legge d’un fiato.

  4. Racconto davvero molto bello, complimenti! La storia della protagonista si scopre a poco a poco, invogliando il lettore a proseguire nella lettura. E alla fine… vorresti non fosse ancora finito!

  5. Grazie Francesco per i tuoi commenti.

  6. Grazie Chiara per aver letto e commentato il mio racconto.

  7. Un racconto davvero molto bello, molto intenso… mi sono commossa sul finale, mi ha toccato nel profondo. Bellissimo, complimenti!

  8. Grazie, Aurora, onorata!

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