Premio Racconti nella Rete 2023 “Una storia d’amore nascosta in una scatola da scarpe” di Jasmine Calvi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Mi ritrovai per terra con in mano una scatola per le scarpe degli anni ‘60, mi era caduta in testa mentre cercavo di prendere i biscotti, quelli con le gocce di cioccolato, che volevo mangiare non sapendo cosa fare; i miei erano usciti per fare alcune commissioni e non sarebbero tornati prima delle sette di sera. Incuriosita, aprii la scatola; cosa ci faceva tra le confezioni di biscotti? Era piena di fotografie in bianco e nero, sfogliandole capii immediatamente che immortalavano miei famigliari, i miei avi. Erano le tipiche fotografie che potevano vedersi sulla mensola del caminetto, o accanto al letto: una donna con un bambino in braccio, una bimba sorridente, una giovane coppia che tagliava la torta di matrimonio con scritto, sul retro, Anna e Filippo…
Dopo averne sfogliate molte, ne trovai una che raffigurava una scena completamente diversa. In primo piano c’era una giovane donna appoggiata alla ringhiera, in una stazione ferroviaria, che baciava un soldato sul treno, vestito in abiti della Seconda Guerra Mondiale. Dietro, una signora sorrideva mentre guardava la scena e, vicino a quest’ultima, un braccio teso era volto verso la donna appoggiata alla ringhiera, come per cercare di prenderla nel caso cadesse. Sul treno potevo scorgere le teste di alcuni soldati, anche loro intenti a osservare i due giovani che si baciavano. In secondo piano, inoltre, vedevo una ragazza che guardava il treno, come se stesse cercando qualcuno, e un uomo, anche lui apparentemente intento ad osservare lo scambio d’affetto tra i due giovani …
Anna
Entrai nella stazione seguita da mia madre, Carola, e da mio padre, Giovanni, erano le undici e ventisei, il treno sarebbe arrivato alle undici e mezza, avevo ancora quattro minuti. I miei si sedettero su una panca e mi invitarono a fare lo stesso: mi sedetti, mi alzai, mi sedetti, mi rialzai, non riuscivo a stare ferma, erano mesi che non lo vedevo, ma sembravano secoli!
Ci eravamo conosciuti dieci anni prima, nel 1935, prima della guerra, prima della morte di mio fratello di soli diciannove anni, prima di così tante cose.
Guardai di nuovo l’orologio, erano le undici e ventisette, mancavano ancora tre minuti, “Siediti Anna!” disse mia madre, le ubbidii, e questa volta non mi rialzai. I miei genitori parlavano di dove potevamo prendere un caffè, ma io non li stavo ascoltando, ero intenta a pensare al giorno in cui l’avevo conosciuto, me lo ricordavo alla perfezione: la pioggia che mi entrava nelle scarpe e sotto i vestiti, il vento che mi strappava di mano l’ombrello, il marciapiede pieno di buchi e di fessure, il mio piede che rimase incastrato, le sue braccia attorno a me che mi tiravano su, la sua voce che mi chiedeva se stessi bene… “Anna? Anna, stai bene?” mi chiese papà, annuii sovrappensiero e controllai l’orologio: erano le undici e ventinove, … un minuto era tutto quello che mi separava da lui. L’odore di dolci appena sfornati mi ricordò la pasticceria dove entrammo la stessa sera in cui mi salvò dalla caduta, rimanemmo a parlare per ore, fino a quando la cameriera ci chiese di andarcene perché dovevano chiudere. Lui mi accompagnò a casa e mi chiese se, magari, un giorno avremmo potuto rivederci e io gli risposi di sì. “Scusate: a che ora arriva il treno?” ci chiese una ragazza, interrompendo così i miei pensieri “Proprio ora, cara” rispose mia madre, “Grazie mille!” disse lei, “Arrivederci” la salutò mio padre.
Mi accertai ancora una volta dell’ora, erano le undici e mezza… dov’era il treno? Controllai i capelli e mi passai una mano sul vestito, era marrone scuro con una cintura bianca, “stai benissimo” cercò di tranquillizzarmi mamma. “Stai tranquilla, il treno è sempre un po’ in ritardo” mi sussurrò papà; ma non riuscivo a stare calma: dov’era il treno? Dov’era lui?
Guardai di nuovo l’orologio, erano le undici e trentadue, mi alzai, andai alla ringhiera che mi separava dai binari, guardai a sinistra cercando di scorgere la locomotiva sbuffante, ma non la vedevo, tornai alla panchina e mi sedetti “Vedrai che ora arriva” disse mia madre, controllai l’orologio erano le undici e trentatré, il treno era in ritardo di tre minuti! Mi sistemai nuovamente i capelli e poi sentii un fischio e tutte le persone incominciarono a urlare: “Il treno! Il treno!” Corsi alla ringhiera seguita dai miei genitori, il treno era entrato in stazione, ma non vedevo il mio amato e poi, lo sentii urlare: “Anna!”.
… Filippo
Aprii lo sportello e mi sporsi, aggrappandomi al bordo, mentre il treno era ancora in movimento, Anna era appoggiata alla ringhiera e stava urlando il mio nome, mentre le passavo accanto la baciai, non durò più di un secondo, ma ero sicuro che fosse il bacio più bello che avessi mai dato e ricevuto, quando il treno mi portò via da lei vidi che sua madre stava ridendo, mentre suo padre, mentre suo padre la pregava di fare attenzione.
Finalmente il convoglio si fermò e io mi catapultai giù; Luigi, il mio migliore amico, che durante quell’interminabile viaggio era rimasto seduto accanto a me, stava ridendo, ma lo sentì appena perché in quel momento Anna si era buttata tra le mie braccia e stavo rivivendo il nostro primo bacio appassionato, quella sera d’inverno, sotto casa sua. Eravamo appena tornati dal cinema e le avevo portato un regalo, una collana, era costata la maggior parte dei miei guadagni, ma ne era valsa la pena.
“Filippo, ben arrivato!” disse il padre di Anna, “Buongiorno signor Merlo, signora Merlo!” dissi. “Se Anna riesce a staccarsi da te, pensavamo di prendere un caffè; nostra figlia ci ha suggerito una pasticceria”, dovevo immaginarlo che mi avrebbe voluto riportare dove ci eravamo incontrati per la prima volta “Con piacere -dissi- prima, però, devo chiedere una cosa a questa meravigliosa donna!” e senza perdere altro tempo mi misi in ginocchio e le presi le mani “Anna Merlo, sono solo un povero orologiaio tornato dalla guerra, quello che ho da offrirti è poco ma ti prometto che farò di tutto per renderti felice” presi la scatoletta dalla tasca e l’aprii, “Anna Merlo, mi vuoi sposare?” non rispose subito, calde lacrime le scendevano sulle guance, eppure stava sorridendo! “Sì!” disse “Non ho mai desiderato altro” le misi l’anello, di mia nonna, al dito: era d’oro con incastonato uno smeraldo che faceva risaltare i suoi occhi verdi. Mi alzai e la baciai, per poi abbracciarla. “Da quanto tempo hai quell’anello?” mi sussurrò all’orecchio, “Dall’inizio della guerra” risposi. Prendemmo un caffè nella nostra pasticceria e poi tornammo a casa sua a pranzare, per poi sposarci due mesi dopo.