Premio Racconti nella Rete 2023 “Trappola” di Francesco Maltarello
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Da quando sono in pensione mi sono dedicato interamente all’unica grande passione della mia vita: gli scacchi. Un gioco che mi ha sempre affascinato perché è una battaglia d’astuzia, di intelligenza, mai di violenza se non simulata, e soprattutto si gioca ad armi pari, soltanto con l’intuizione e la prontezza, ma esattamente con le stesse forze iniziali a disposizione in campo.
Faccio lunghe partite on line, e spesso mi dilungo fino a tardi. Come stasera, che si sono fatte le dieci. Ho vinto anche stavolta, ma adesso ho un certo languore di stomaco… vado a scaldarmi una tazza di latte e mangio qualche biscotto prima di andare a dormire. Muovendomi dentro casa al buio, come mia abitudine, arrivo alla porta della cucina, e subito colgo un piccolo rumore. Beh, normale, il frigorifero specialmente quanto si ricarica scaracchia abbondantemente. Ma non sembra la voce del frigo. È più un fruscio, un rimestare leggerissimo. Strano… un moscone?
Mi fermo un attimo sulla porta della cucina, con le orecchie tese. Poi accendo la luce ed entro.
Niente per aria, niente sul pavimento, niente sul tavolo, niente sulla cassettiera, mi avvicino di più, niente sul lavabo… e poi lo vedo, nell’angolo della macchina del gas. Piccolo, marrone scuro.
Un topo. Cazzo!
«E tu da dove sei uscito fuori?» grido, facendo in tempo a vedere il suo culo codato sparire dietro il mobile per infrattarsi chissà dove.
Inizio come un forsennato a spostare i mobili della cucina, come fossero pezzi degli scacchi, la macchina del gas torre avanti di due caselle, il frigo alfiere in diagonale di tre, la lavastoviglie regina avanti di quattro, gli ultimi due si sradicano dalle prese di corrente, intanto impreco intimando all’indesiderato ospite di venire fuori. Con una scopa inizio a battere dappertutto, facendo rumore e sperando di stanarlo. Ma chissà dove si è infilato. Chiudo la porta della cucina e apro la porta finestra, sperando che si infili sul balcone e da lì, magari, se ne vada ad infestare altri condomini più ospitali di me. Sempre che li trovi.
Sto in piedi nello spazio creato dagli spostamenti, con le sedie come pedoni a formare una linea difensiva, in silenzio e immobile, pronto a cogliere qualunque suono. Trattengo il respiro. Macché.
E comincio a pensare, con un’ansia crescente…
Da dove è entrato? Quando? Sarà uno solo? L’ultima volta che sono venuto in cucina non mi sono accorto di nulla… Magari è appena arrivato… ma che posso fare a quest’ora, da solo? Chi chiamo? E che mi potrebbero dire che già non so? Che poi in questi casi chiedi a cinque persone e ti dicono cinque cose diverse, ma tutti sono convinti di avere la soluzione migliore, e alla fine non concludi nulla. È sempre così. E in ogni caso non posso farlo alle undici di sera.
Mi scuoto, tolgo di torno tutte le cose da mangiare che ci sono, per levargli ogni tentazione. Apro tutti gli sportelli, anche il frigorifero, così, anche se ovviamente non può essere lì dentro… Prendo una scaletta e salgo a vedere sopra i pensili. Nulla, forse qualche cacca, ma non indago a fondo. È mezzanotte, che faccio?
Avrei fame, ma non oso toccare nulla, perché penso che possa esserci passato lui, e mi fa schifo, dovrei iniziare a lavare e disinfettare tutto, ma con lui in giro sarebbe inutile.
Osservo la cucina come fosse una scacchiera, ma vedo solo i miei pezzi, spostati, smontati, svuotati, non c’è traccia dell’avversario e questo già mi spiazza. Sto seduto su una sedia, con la scopa in mano, al buio. Attendo la sua mossa. Qualche scricchiolio, l’orologio batte. Non ho mangiato nulla, non respiro quasi, non ho il coraggio di andare a dormire. Non riuscirei a prendere sonno, lasciandogli campo libero. Devo fare da deterrente ai suoi passaggi, bloccargli i movimenti, costringerlo allo stallo. È arroccato da qualche parte e io non posso vederlo. Lui il re nero, io il bianco. I suoi pezzi non ci sono, solo cacche che non si possono definire tali, e già questo renderebbe impossibile la partita. Ma a questo punto la dobbiamo giocare per forza. Uno contro uno, la mia intelligenza contro la sua furbizia.
Con una lampadina esploro gli anfratti, i buchi d’areazione dietro la macchina del gas, l’interno della cappa. I miei gesti cominciano ad essere insicuri, febbrili, mi cade più volta la torcia di mano. Prendo un ferretto ricurvo e lo infilo nelle fessure dei mobili, nel motore del frigo… Scacco! Vedo un’ombra scura che esce veloce, non so quanti passi da alfiere, perché si sposta in diagonale dalla parte opposta, sparendo dietro il mobile sotto la finestra. Cerco di inseguirlo con il mio improvvisato pungiglione, ma è inutile, è troppo veloce, troppo piccolo, potrebbe essere ovunque.
Torno a spiaggiarmi sulla sedia. Spengo la luce e resto in attesa, cercando di non addormentarmi. La prossima mossa è sua.
L’orologio segna le sette. Non mi muovo. Sento un rumore. Lentamente mi avvicino alla macchina del gas. Eccolo, il maledetto, sul fornello, avevo abbassato il coperchio, ma è entrato lo stesso, visto attraverso il vetro affumicato sembra una macchia scura. Ovviamente non faccio in tempo a fare nulla, se ne accorge e sparisce di nuovo, simulando una specie di mossa da cavallo, davanti e diagonale, lasciandosi dietro solo un paio di cacche.
Ora tocca a me muovere.
Devo ricorrere ad una mossa estrema. Non posso continuare così, è uno stillicidio che può non avere fine. Decido, anche se rischio di andare contro le regole. Sono contrastato sull’opportunità di farlo o meno, non ho mai rischiato di infrangere l’etica del gioco. Ma questa non è una partita normale.
Mi assegno arbitrariamente una pausa. Fuori c’è il sole. A questo punto sguscio fuori dalla cucina, chiudo la porta blindandola con uno straccio a terra, vado in bagno, mi concedo una doccia bollente, mi vesto, esco di casa. Respiro una boccata d’aria fresca e la mia mente trova un barlume di sollievo. So quale sarà la mia mossa vincente, a meno che lui non riesca a controbatterla…
Ho fatto più presto che potevo, ho comprato delle bustine da mettere in giro, pare che abbiano un odore che attira i topi.
In cucina trovo delle cacche in più, sul lavello. Piazzo le bustine nei punti in cui presumibilmente può passare. Poi mi rimetto sulla sedia, in attesa della sua mossa.
Resto immobile, impassibile, armato di scopa. Non oso toccare altro, da ieri non mangio e non bevo per paura di contaminarmi. Ho sonno. Ma non devo crollare.
Non so se è suggestione ma sento un cric cric diverso.
Magari ha sgranocchiato una bustina. Che succede quando lo fa? Non lo so, è veleno, mi hanno detto che gli impiastriccia lo stomaco, li asciuga, li disidrata… beh, non è piacevole, in effetti… vabbé dai, mica mi commuoverò per un topo, no?
Silenzio. Passa il tempo e non succede niente. Ho fame, devo andare al bagno, resisto immobile, non mi muovo. Aspetto la tua mossa, che non arriva. Ti concedo il tempo che vuoi, ma non esagerare.
Sono le sei del pomeriggio.
Dove sei, re nero? Sei tu che sei mio prigioniero, o sono io che sono prigioniero tuo?
Perché tu sei libero in casa mia e io ho paura di muovermi.
Sono le dieci di sera. Ventiquattr’ore di attesa. Troppe.
Esci fuori. Fatti vedere… giochiamo ad armi pari… oppure esci ed arrenditi…
Ad armi pari… beh, però…
No, non siamo ad armi pari.
Perché comunque tu puoi entrare dove io non posso, probabilmente tu vedi me mentre io non vedo te.
Però io sono in grado di uccidere te, tu non potresti uccidere me… e questo pareggia le nostre astuzie diverse.
Il fatto è che io voglio uccidere te, tu non vuoi uccidere me.
E io ho barato, per la prima volta in vita mia. Ho fatto una mossa che tu non potevi fare…
Non siamo ad armi pari. Forse non lo eravamo già da prima.
Mi alzo, prendo una bustina. Mi risiedo.
Mi porto la bustina alle labbra, l’addento.
Adesso sì.