Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Elisir post atomico” di Flavia Musella

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Cinepresa alta che gira a 360°, mostra un mondo in rovina, macerie sopra resti di grandi edifici crollati, sedi delle banche, della finanza, del potere e poi resti sopra le macerie degli ideali, delle speranze, della fede.

Al centro di questo grande spazio, nel quale il grigio della terra e delle sue rovine si confonde con il grigio del cielo e delle sue fuliggini, la telecamera si ferma su un unico fascio di luce, una colonna, grande, vivida, alta, quasi una connessione fra cielo e terra di antichi menhir. 

E all’improvviso, dai portoni sdraiati, dalle finestre divelte, da sotto i ponti atterrati, esce un unico minuscolo gruppo di uomini ed una sola donna, dapprima incuriositi, poi attratti da quella luce che ora comincia ad irradiarsi, a illuminare, a rubare spazi al grigio.

La telecamera adesso si fissa sull’unico edificio rimasto in piedi dalla distruzione totale, è un bar, un bar costruito in legno, ricoperto da tavole chiare disposte come certi saloon del Far West.

La macchina da presa ora è dentro, è tutto buio e avvolto da una nebbia che confonde ogni cosa, le pochissime rimaste integre e le molte sparse a terra in mille pezzi scomposti. I sopravvissuti si guardano, sembrano contarsi, sono pochi, sono davvero pochi, cinque in tutto: quattro uomini e una donna, sporchi, spettinati, con gli occhi sgranati di chi conosce benissimo il passato dal quale è emerso, come scelto dal caso, e non sa niente di quello che succederà in un futuro che potrebbe già non esserci più, neanche fra qualche dannatissima ora.

L’unico bar rimasto in piedi li attrae come una calamita, seguono la scia di quella strada fatta di detriti, di vetri rotti e crolli di muratura ed entrano da una porta rimasta in piedi solo per metà. Si trascinano fino al bancone lungo e scuro, sul legno di massello ci sono almeno quattro dita di polvere e al centro esatto di quel bancone, una bottiglia di vetro rimasta incredibilmente intatta. Ora sono tutti appoggiati al bancone e guardano quella bottiglia illuminata da una strana luce che filtra dal soffitto, bucato al centro, ma ancora integro tutt’intorno, la guardano come si guarda un simbolo religioso, la guardano come si guarda una fonte d’acqua dopo chilometri camminati nel deserto.

Parla il primo uomo.

«Se non fosse tutto così drammatico e senza speranza, sarebbe da ridere, uno scherzo del destino, l’unica cosa rimasta in piedi ed integra dopo la distruzione totale. Cosa vorrà dire? Stabilirà l’ora della nostra morte o sarà l’oracolo della nostra sopravvivenza?»

Parla il secondo uomo.

«Non ci provate neanche, non pensate che ci si possa salvare da questo disastro e non pensate che questa bottiglia possa farci sopravvivere se non per qualche minuto ancora e allora, che senso avrebbe?»

Parla il terzo uomo, ma solo dopo aver preso la bottiglia in mano e averla ripulita dalla polvere. Compare un’etichetta di carta gialla con una scritta scolorita ancora leggibile “ELISIR POST ATOMICO”.

«Ma vi rendete conto, è come se questa bottiglia fosse l’unico oggetto sulla terra a sapere cosa sarebbe successo.»

Ora i cinque appaiono ancora più spaventati, ora davvero non sanno cosa potranno mai fare con quel liquido senza alcun colore. Tutti rimangono fermi per un tempo che nessun orologio potrà più scandire.

Poi il compagno della donna prende la parola.

«Io non capisco, di cosa dovremmo aver paura, di morire di fame e di sete in un mondo dove tutto è andato distrutto o di morire per colpa di un liquido infernale che un destino beffardo ci ha messo davanti?»

La sua compagna allora, gli prende per mano, lo rassicura.

«Non devi fare cose avventate, caro, non adesso, potrebbe esserci una logica sia nell’approfittare di quello che questo destino beffardo, come lo chiami tu, ci ha messo davanti, sia nel non toccare il liquido e andare a cercare l’unica forma di vita in grado di farci andare avanti.»

Il primo uomo ora non parla, urla.

«Avanti dove, me lo sapete spiegare, avanti a morire, avanti a vivere morendo, avanti a cercare altre forme di morte vivente come noi?»

Poi si lascia andare ad un pianto disperato.

Il secondo uomo rimane in silenzio e non stacca mai gli occhi dalla bottiglia, ne è come ipnotizzato, poi improvvisamente la afferra, fa saltare il tappo con l’unghia del pollice sinistro e beve un lungo sorso di liquido.

Tutti urlano.

«Ma cosa fai?»  «Sei impazzito?»  «E ora?»  «E ora?»

L’uomo si asciuga la bocca con la manica polverosa e tranquillizza tutti.

«E ora staremo a vedere chi l’avrà vinta, se io o questo scherzo del destino. Ora ho bevuto l’elisir post atomico, sono un uomo post atomico e farò un gran botto atomico oppure…»

Non finisce la frase ma ride, ride a crepapelle e la sua risata isterica fa rabbrividire i suoi compagni di destino. Il terzo uomo è ammirato dal suo coraggio e prende quella risata come l’effetto corroborante e magico del liquido trasparente. Allunga la mano e beve un sorso anche lui, così senza pensarci affatto, quasi come se una volontà non sua si fosse impossessata del suo braccio.

«Ma sì – esclama – cosa potrebbe succedermi ancora, cos’altro potrebbe succedermi?»

E all’improvviso scoppia in una risata che il suo vocione, quasi baritonale, rende agghiacciante nel silenzio irreale che li circonda.

La telecamera si sposta ora dietro di loro. Sono tutti di spalle, due ridono a tratti, uno è spaventato a morte e l’uomo e la donna si tengono per mano.

I due che hanno bevuto si allontanano dal bancone e cercano qualcosa da mangiare lì intorno ma non trovano niente, si rendono conto di essere in un vero bar, c’erano solo cose da bere lì e nient’altro e adesso solo frantumi e liquidi sparsi a terra appiccicati con la polvere piovuta loro sopra. Gli altri  li osservano in silenzio come se si aspettassero una qualsiasi reazione da un momento all’altro, ma non succede niente. Il primo uomo, sempre spaventato a morte, ora prende coraggio e beve, beve mandando dentro un liquido e fuori un altro, lacrime, così salate e polverose, capaci di disegnare strade sul suo volto e sul bancone sporco del locale. L’uomo e la donna rimangono per mano, lei lo tiene così stretto da fargli quasi male.

«Di cosa hai paura? »sussurra lui, «Che tu ti lasci convincere e beva», le risponde in tono quasi di supplica.

«Tanto le cose non cambieranno, vedi, loro sono ancora vivi, ridono e ragionano», «No loro sono solo dei sopravvissuti e non sanno».

«Ma neanche noi sappiamo niente tesoro mio, e niente cambierà niente, questi verbi al futuro dovrebbero essere cancellati dalle grammatiche, io bevo, sto morendo di sete.» «E a me non pensi, io non bevo e se dovessi rimanere sola? »

«Una come te se la caverà sempre, anche se dovrei dire se la cava, qualunque cosa dovesse succedermi, io ti ho amato tanto e se anche dovessi morire adesso, sono felice di aver messo presente, passato e futuro nella stessa frase, mi fa sentire quasi … eterno.»

Subito dopo le lascia la mano e beve, tutto d’un fiato, un lungo sorso, si asciuga la bocca con la manica della giacca e le da un bacio. Lei sente un sapore amaro, un sapore che non aveva mai sentito prima, lo guarda disperata ma non riesce a dire niente.

Il primo uomo che ha bevuto sembra ormai preso da una crisi di riso, non riesce più a fermarsi, ride, ride, non riesce a proferire parola e alla fine si accascia a terra. Tutti gli si fanno intorno e impallidiscono, è morto.

Il secondo uomo viene anche lui preso da un convulso di risa, abbassa la testa sul corpo dell’amico di sventura e ride senza potersi fermare, poi d’improvviso silenzio, cade riverso su quel cadavere, senza più vita.

Il terzo, che aveva bevuto piangendo, ha un secondo di atterrimento e, subito dopo, comincia a ridere come un ossesso, come se non avesse fatto altro per tutta la vita e, mentre lo fa, si sdraia prefigurando già quello che sta per accadere e, in questo suo accomodarsi, muore.

La donna prende per la giacca il suo amore, lo scuote e lo percuote, «Che ti avevo detto, e ora?», «E ora morirò ridendo, la morte che ho sempre sognato, sii felice per me e pensa a metterti in salvo, solo una donna può sopravvivere a tutto, persino a un’esplosione atomica, perché è la sola che sa ricreare la vita.»

La bacia ancora, la tiene stretta per un tempo che sembra dilatarsi dentro i loro corpi e poi comincia a singhiozzare, pare quasi che pianga, invece ride, di una risata aperta, larga, mostra a lei tutti i denti e quella gola profonda e buia come una caverna, un posto dove le parole hanno trovato rifugio per quasi cinquant’anni e ora muoiono là dentro, seppellite per sempre da quella risata. Il corpo dell’uomo scende lentamente, lei lo accompagna sempre abbracciandolo fino al pavimento e poi lo guarda insieme agli altri, stesi, tutti con lo stesso sorriso beffardo come a prendere in giro un mondo che invece ha preso in giro loro. La donna è disperata, torna al bancone, ha bisogno di appoggiarsi ma non beve, guarda quella bottiglia, la sua malefica etichetta sembra aver acquistato uno splendore nuovo, da inchiostro appena vergato “ELISIR POST ATOMICO”, a osservarla bene, ora, dal suo interno esce una luce, una luce vivida e frizzante, sempre più intensa e sale, sale, la donna la segue con lo sguardo e poi la segue con il corpo, come ammaliata, la luce si sposta, esce dal locale, la donna si sposta, esce dal locale. La macchina da presa allora si alza, segue la luce e la donna da sempre più lontano e sulla scia lunga e bianca nasce la parola fine.

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3 commenti »

  1. Difficile trovare un racconto così breve ma allo stesso tempo così intenso e acuto, che dipinge un futuro inquietante e sfortunatamente sempre più plausibile. Nonostante i toni cupi, l’autrice ci regala un finale di ottimismo e speranza, ci ricorda di non arrendersi al fato e di non seguire le masse, perché il futuro sarà dei coraggiosi e di chi osa, mentre per gli altri rimarrà la polvere, gli amari sorrisi e le chance mancate.
    Complimenti Flavia, attendiamo tante altre opere così!

  2. ottimo, ben scritto e gestito, con la giusta dose di suspense e di dialoghi (merce rara). senza che ciò tolga originalità e personalità all’elisir, m’è tornato in mente, per vaga assonanza, un bellissimo racconto di zio Ray (“la bottiglia azzurra”). se posso, “un attimo di atterrimento” stona.

  3. Bello! Letto tutto di un fiato….
    Ho adorato la rappresentazione dell’audacia e dell’intuito femminile

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