Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Prima Comunione” di Carlo Magliola

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Ebbene sì, per qualche giorno, una settimana di preciso, sono stato quasi un prete, un seminarista. Avevo dieci anni e, forza della religione, quella esperienza mi è rimasta impressa per tutta la vita. Avevo dieci anni e mio padre e mia madre decisero di mandarmi a fare la prima comunione e la cresima alle cappellette di san Luigi Gonzaga, a Roma.

La mia era una famiglia religiosa, tutte le sere, prima di andare a letto, mio padre metteva me e i miei due fratelli davanti al letto matrimoniale, dietro il quale c’era, attaccato sul muro, un crocefisso. Noi appoggiavamo un ginocchio sul letto e, con le mani giunte, recitavamo le nostre preghiere, sempre le stesse e sempre nello stesso ordine. Intanto mia madre finiva di preparare la cena e, dopo l’ultimo amen, si correva a tavola, sperando di trovare le patate fritte.

La religiosità dei miei sfiorava in realtà la superstizione e non erano sicuramente gli unici a vivere la religione in questo modo. Mio padre andava a messa tutte le domeniche, senza tuttavia confessarsi, né comunicarsi, non era obbligatorio farlo. Col tempo, la messa della domenica si spostò al sabato pomeriggio, così da avere la domenica libera. In chiesa si entrava qualche secondo prima dell’elevazione, cioè della consacrazione dell’ostia, almeno così credo. Così si saltava tutta la prima parte della messa, a cui non era obbligatorio assistere e soprattutto si saltava la predica del prete, e questo poco non era.

Ecco, questa era la religiosità dei miei, non so se Dio esiste o no, ma nel dubbio, a messa andiamoci, non si sa mai e poi tutto sommato costa poco.

Con questo background spirituale i miei mi spedirono per una settimana alle cappellette, per ricevere la prima comunione e la cresima (il ricevere due sacramenti in un colpo solo era un’altra classica ottimizzazione di mio padre, che in questo modo poteva risparmiare tempo e costi, ottenendo lo stesso risultato). Mi accompagnarono in questa sorta di convento cittadino, a due passi dalla stazione Termini e lì mi lasciarono, con la promessa di rivenirmi a prendere una settimana dopo.

In quella settimana, avrei dovuto ripetere tutto il catechismo, già peraltro fatto con il prete di parrocchia, e avrei vissuto come un seminarista, senza tuttavia avere avuto la chiamata divina.

La giornata, a memoria, prevedeva una sveglia piuttosto precoce, una prima passata di preghiere e la colazione. Imparai allora cosa volesse dire la parola refettorio. Ci sedevamo, io e gli altri sventurati pseudo-seminaristi, lungo tavoloni, in una stanza spoglia, con solo qualche crocifisso sparso qua e là. La colazione era composta da latte caldo e pane e, tutto sommato, non era poi così male.

Poi tutti in un’aula, a studiare catechismo. Io ero avvantaggiato perché lo avevo già studiato. I preti erano piuttosto severi, soprattutto uno, alto e magro; con lui non si poteva sbagliare. L’idea che piano piano si formava, durante quella settimana era di stare continuamente sull’orlo di un precipizio, al di sotto del quale ardevano le fiamme dell’inferno.

Finito il catechismo, poco prima del pranzo, c’era la passeggiata nel chiostro. Era la nostra ricreazione. Si camminava in fila per due e si facevano una decina di giri, cantando o recitando versi che sinceramente ho rimosso di brutto.

Fatto sta che, dopo questa allegra cantata, si tornava nel refettorio per il pranzo.

Nel pomeriggio ancora preghiere, studio e poi cena e a letto nella camerata.

Al terzo o quarto giorno, con l’avvicinarsi del fatidico momento in cui avrei ricevuto i sacramenti, il prete alto e magro cominciò a spiegarci come si sarebbe svolta la cerimonia e come ci saremmo dovuti preparare.

Ci sarebbero state le prove generali il giorno prima, la confessione e poi il digiuno, la vestizione e infine l’apoteosi, in presenza del vescovo.

Così, tra un’ave Maria e un paternostro arrivò il venerdì pomeriggio, giorno dell’esame finale: chi non lo avesse superato sarebbe stato rispedito a casa. Ero terrorizzato, se non altro perché ormai il più sembrava fatto e il dover ricominciare da capo mi avrebbe veramente procurato una crisi tutt’altro che mistica.

L’esame per fortuna andò bene, d’altronde ormai sapevo tutto della vita di Gesù, degli apostoli, della creazione del mondo e del peccato originale. Quest’ultimo, in realtà, mi riusciva un po’ ostico, non riuscivo proprio a capire perché già appena nato ci si ritrovava a dover avere qualcosa di cui farsi perdonare. Ma la cosa più grave era che non riuscivo proprio a capire cosa fosse la cresima, e questo era molto grave a due giorni dal ricevimento di quel sacramento: la discesa dello spirito santo…chi era, da dove e da chi veniva…ero confuso, ma naturalmente lo tenni per me.

Il sabato era il giorno della confessione. Vivevo questo avvenimento come una sorta di autolavaggio, un grande shampoo che mi avrebbe ripulito da tutti i miei peccati. Già, ma quali peccati? Sicuramente qualcuno ne avevo, avrò sicuramente disubbidito ai miei in dieci anni di vita, avrò sicuramente fatto qualcosa che mi era stato vietato. In verità non riuscivo a ricordare niente in particolare. Decisi che mi sarei tenuto sulle generali. E così fu. Terminai la confessione con la classica frase: non me ne ricordo più, soddisfatto di essere riuscito a inanellare quattro o cinque bei peccatoni da farmi perdonare. Il prete anche sembrava abbastanza soddisfatto, mi diede da fare la penitenza, qualche preghiera da recitare e mi assolse da tutti i miei peccati.

Ma fu in quel momento che entrai completamente in crisi: avevo ingannato il prete, Gesù e Dio. Non avevo confessato quello che io ritenevo un grosso peccato e che avevo taciuto per vergogna. Il fattaccio risaliva a circa tre anni prima, quando, all’età di circa sette anni, mi ero ritrovato a fare salti in costume da bagno sulla rete del letto matrimoniale dei miei con la mia cuginetta, anche lei in costume e anche lei di sette anni. Quel gioco mi aveva provocato un abbozzo di pulsione sessuale, una delle prime, se non la prima. Ma come avevo potuto fare quel gioco e soprattutto come avevo potuto non confessarlo al mio fiducioso prete? E con che faccia avrei fatto la mia prima comunione e la cresima con il vescovo l’indomani?

Non ne potevo più e quando il prete alto e magro, verso le cinque del pomeriggio, ci convocò nella cappella e ci disse: “Se c’è qualcuno che deve confessare qualche altro peccato dimenticato questa mattina, si faccia avanti ora”. Era il momento, Dio mi aveva dato un’altra chance per salvare la mia anima. Alzai la mano e timidamente dissi: “Io padre, vorrei confessarmi ancora”.

Così, sotto gli sguardi dei miei confratelli mi avvicinai al confessionale, mi inginocchiai e raccontai tutto al prete.

Tutto sommato, pensavo che il padre avrebbe capito che in fondo non c’era niente di male, era solo un gioco innocente, eravamo in costume solo perché era estate, insomma pensavo che mi avrebbe sorriso e tutto sarebbe finito lì. Invece no, altro che innocente. Mi guardò con aria severa, mi fece promettere di non farlo più, mi rimproverò di non averlo confessato subito e mi diede come penitenza da recitare un rosario.

Beh, ora però mi sentivo l’anima veramente pulita, avrei fatto la mia bella figura difronte al vescovo.

La serata si concluse con la preghiera in cappella. C’era, sopra l’altare un quadro raffigurante la Madonna e il prete ci ordinò di fissarla intensamente e di lasciare andare i nostri sentimenti: “Piangete”, ci disse, “piangete davanti alla Madonna”.

Cristo, a me non veniva proprio da piangere, non riuscivo a capire perché avrei dovuto piangere, ma dovevo farlo, soprattutto dopo quello che era successo tre anni prima. Mi sforzai e alla fine riuscii a far uscire qualche lacrima.

La sveglia, la domenica, suonò presto. Tutti in refettorio, per le ultime raccomandazioni. Finita la colazione, non avremmo più dovuto mangiare niente per almeno tre ore prima di ricevere la comunione. Era permessa solo l’acqua, nient’altro.

I miei genitori dovevano essere già arrivati, perché mi fu portato il vestito che avrei dovuto indossare. Era un completo grigio, giacca e calzoni corti, camicia bianca e cravatta, scarpe nere. Che figo!

Ma fu durante la vestizione che ebbi, proprio prima della comunione, l’incontro con il maligno, che mi si presentò travestito da bambino: mi offrì una caramella e io la mangiai e solo dopo averla succhiata tutta, mi resi conto che mancava solo un’ora al ricevimento dell’ostia. Cristo, cosa avevo fatto! Che fare? Se lo avessi confessato al prete alto e magro mi avrebbe probabilmente mozzato il capo, ma non potevo tenere per me questo terribile segreto. Così, piangendo andai dal prete, gli raccontai quello che era successo e lui, con mio grande stupore, mi disse che per questa volta ci avrebbe messo una pietra sopra. A posteriori, capisco che l’annullamento della mia prima comunione avrebbe avuto serie conseguenze organizzative e anche economiche.

Fu così che ricevetti comunione e cresima e fu così che uscii finalmente dalle cappellette, con la mia brava fascia bianca sulla fronte, quale segno di ritrovata purezza e santità.

Oggi, ho letto, che le cappellette di San Luigi sono state trasformate in un albergo a quattro stelle, ma non so se ci tornerò mai a dormire, la santità magari potrò cercarla altrove.

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