Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Eri bellissima” di Claudia Vazzoler

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Eri bellissima

Cara Minny, il giorno dell’arresto eri bellissima.

Capelli lunghi, neri, una frangetta che incorniciava il volto.

Occhi scuri come il buio più profondo, ciglia folte, labbra carnose. Quei diciassette anni rifulgevano in tutto il loro splendore. Indossavi un cappotto lungo in pelle nera, un abbigliamento da adulta che strideva con la faccia da bambina. 

C’era confusione in quell’albergo dove i carabinieri avevano effettuato la retata.

Sapevano tutti quello che accadeva in quel quattro stelle anonimo sulla rotonda in periferia, allo svincolo tra centri commerciali e outlet di ogni genere. Un casermone di cemento, come tanti, che ospitava clienti di ogni tipo e nazionalità.

Solitamente non ci si fermava in un posto simile più di una notte. Vi transitavano rappresentanti con una vita itinerante, russi e giapponesi che praticavano uno shopping compulsivo nelle boutique circostanti, spendendo cifre inverosimili per scarpe e borse griffate, inseguendo i capricci della moda.

In aggiunta vi era un altro tipo di clientela che sostava lì anche per poche ore con ragazze minorenni come te.

A loro non venivano chiesti documenti e il pagamento avveniva in contanti. Non capivo come una ragazzina della tua età potesse permettersi una borsa originale di Ducci, accessori di Mior e così via. Poi ho capito. Non so come tu sia entrata in quel giro, forse a causa di quel ragazzo che diceva di amarti e per il quale hai iniziato a prostituirti.

Avevamo vite diverse. Sapevo che prima o poi le nostre strade si sarebbero divise. Era solo questione di tempo.

Non sapevo però che quel sabato sarebbe stata l’ultima volta in cui ti avrei visto.

 Non sapevo quello che andavi a fare in quell’albergo. Molte cose non sapevo allora.

 Ginny, chissà ora dove e con chi sei. Chissà se ogni tanto, osservando il cielo e il fluttuare delle nuvole, mi pensi ancora.

Ricordo la prima volta che ci incontrammo: avevamo undici anni ed era il nostro primo giorno di scuola alle medie. Non conoscevo praticamente nessuno. Ci radunarono in cortile.

Con il megafono ci chiamarono per cognome e annunciarono il nome del prof che ci avrebbe condotto in classe.

Ordinarono di disporci per file in base alla sezione assegnata.

A noi toccò la C. Mi sorridesti e mi prendesti la mano.

Io, timida, riservata e insicura, rimasi stupita dalla tua disinvoltura.

Io che non avevo mai avuto un’amica e non parlavo con nessuno, lasciai che la tua mano afferrasse la mia e per un attimo che durò un’eternità desiderai che non mi lasciassi più.

Jeans, felpa, scarpe da ginnastica e zainetto. Al tempo era tutto semplice. Entrammo in classe e con gran velocità riuscisti ad occupare gli ultimi due banchi per noi, vicino alla finestra.

Mi dicesti: “Mi piace guardare il cielo”. E in effetti molte volte ti scorsi distratta dalle spiegazioni degli insegnanti. Sembrava che fluttuassi in un tuo mondo, in un universo parallelo nel quale gli altri non potevano accedere.  Sei stata la mia prima amica, quella che mi ha fatto ridere, quella con cui ascoltavo la musica nei lunghi pomeriggi, quella con cui ballavo in camera imitando i balletti di Tik Tok, quella che mi ha insegnato a copiare nei compiti in classe, quella che amava giocare a fare la grande già da bambina.

Mi hai insegnato ad aprirmi, a parlare. Io che non dialogavo con nessuno, tanto che il mio essere inibita aveva cominciato a preoccupare le maestre alle elementari. Sei stata la prima persona, fuori dalla famiglia, che ho fatto entrare nel mio cuore.

Mi ricordo come amassi tutto di te, persino le tue bugie improbabili e assurde, quelle che utilizzavi per crearti un mondo alternativo, soprattutto dopo la separazione dai tuoi genitori. Non l’avevi presa bene. A pensarci, nemmeno io accettai quella dei miei. Io reagii chiudendomi in una sorta di mutismo selettivo, tu cercando di attirare l’attenzione con bugie che con il passare degli anni sarebbero diventate menzogne. Ognuna di noi, a modo suo, cercava di attenuare e smorzare la sofferenza. Sono state le reciproche ferite ad attrarci.

Ci siamo riconosciute nel modo più istintivo e naturale che i bambini hanno.

Ci siamo sentite e abbiamo avvertito il reciproco dolore. Ci siamo intuite e fiutate nel modo più illogico e irrazionale, nel modo più autentico.

Nel tempo trascorso assieme potevamo essere noi stesse.

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