Premio Racconti nella Rete 2023 “Cammineremo assieme” di Claudia Vazzoler
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Quella foto sancì il mio matrimonio con Matilde per procura. Gliene spedii due: la prima mi ritraeva a mezzo busto con uno sguardo fiero e orgoglioso. Guardavo fisso nell’obiettivo e indossavo il vestito “buono”, quello della domenica. Una camicia bianca risaltava per contrasto con i miei ricci corvini e la pelle abbronzata, non dalle vacanze ma dal duro lavoro. La seconda immagine raccontava una parte di vita: due scarpe spaiate e di colore diverso che indossavo spesso, lasciate in un’area dismessa della casa.
Ero un immigrato in Australia. La maggior parte dei miei connazionali, una volta approdati, si impiegò nell’edilizia, nella costruzione di ferrovie e strade, in attività di artigianato e nel piccolo commercio. Alcuni miei compaesani preferirono i territori costieri in cui erano già nate e cresciute le città come Sidney, Melbourne, Perth e Adelaide.
Io invece scelsi il territorio del Nordest, il Queensland. A quel tempo era in grande espansione l’industria dello zucchero. Le condizioni climatiche calde e umide e quelle del terreno permettevano una facile coltivazione della canna da zucchero.
Non mi venivano richieste tecnologie avanzate: bastava che trapiantassi per talea la canna ed aspettassi che crescesse. Quando arrivava a maturazione la tagliavo con il machete e la trasportavo al mulino dove veniva tritata per estrarne lo zucchero. Non mi occorsero grandi capitali di investimento. Acquisii il terreno, lo ripulii e tracciai dei solchi in cui mettere le talee.
Ottenni in credito dal Governo, un lotto da bonificare e coltivare. Dopo qualche anno di duro lavoro diventai un piccolo proprietario e pensai che fosse arrivato il momento di formare una famiglia.
Avevo al tempo uno spirito pioneristico e sopportavo bene lo sforzo fisico, con una buona capacità di adattamento e resistenza sia alle difficili condizioni climatiche sia a una vita fatta di rinunce, di solitudine, di pericoli e di stenti.
Vivevo nel distretto di Tully, nel Queensland, esattamente a metà strada tra le città di Innisfail e Ingham, a sud di Cairns.
Quelle due scarpe spaiate, ritratte in quell’immagine, mi accompagnarono per anni in una sfida tra me e un territorio sconosciuto e selvaggio, tra me e la fatica, tra me e la solitudine, tra me e gli animali mai visti prima, come coccodrilli e serpenti velenosi.
Ho motivi per essere orgoglioso di me stesso e di quelle calzature vecchie, sporche e logore, di colori diversi.
Parlano di me.
Prima di intraprendere la corrispondenza con Matilde, il sacerdote di Tully tentò più volte di facilitarmi l’incontro con alcune donne australiane attraverso l’organizzazione di feste, ma con quelle ragazze non riuscii ad andare oltre poche battute. La distanza linguistica e culturale era incolmabile.
Così scelsi un matrimonio per procura. Matilde era assente al momento della cerimonia e quindi venne simbolicamente sostituita. Era una pratica molto diffusa tra noi italiani emigrati in Australia.
Tutto iniziò quando spedii una lettera in Italia indirizzata a mia madre, chiedendole aiuto nella ricerca e nella scelta di una moglie. Scelse una ragazza che conoscevo già, almeno di vista. Proveniva dal mio stesso paese di Ceggia, in provincia di Venezia.
Da lì io e Matilde cominciammo a scriverci. Le inviai quelle foto e prese il via quello che sarebbe stato il nostro percorso di vita.
Sognai quello che non vidi. Mi innamorai di una lettera che tardava ad arrivare.
Dopo una lunga corrispondenza decidemmo di sposarci per procura, dopodiché Matilde iniziò le pratiche burocratiche per poter emigrare in Australia. Le ci vollero mesi per ottenere i documenti necessari per raggiungermi e conoscermi di persona.
Era bellissima e aveva solamente 21 anni quando partì in nave in una traversata di circa un mese.
Ora osservo incredulo mio figlio perché, al giorno d’oggi, le cose sono molto cambiate: legge rapidamente i messaggi su Whatsapp . Aspetta un brevissimo tempo che le spunte in basso a destra diventino azzurre. Si chiede: “Forse ha solo aperto, ma non ha letto. Forse ha letto ma non ha voglia di commentare. Forse vorrebbe leggerli, ma non commentarli. O forse si è distratta.”
Il cellulare sembra creargli dipendenza, soddisfacimento immediato, euforia irresistibile, ma temporanea. Sembrano non essere ammesse pause. L’ attesa, dai giovani, non viene minimamente contemplata.
Per me fu molto diverso. Attesi per un anno l’arrivo di Matilde e non dimenticai mai il giorno in cui arrivò dalla stazione e scese dal treno, altra peripezia dopo la traversata in nave.
La stazione ferroviaria di Cairns accolse il nostro incontro. Ora è a mattoni color crema con design moderno, ma al tempo era in legno, a due piani, con verande decorate.
L’architettura tropicale dell’epoca fece da cornice al nostro primo scambio di sguardi.
In quelle lunghe lettere le raccontai dell’Australia, dove il paesaggio spazia dagli innevati pendii alpini dell’est, ai deserti arsi del sole, alle lussureggianti foreste pluviali. L’ isola più grande del pianeta, lambita da tre oceani e quattro mari. Ed è proprio lì, dove terra e oceano si incontrano che una fascia costiera si estende per migliaia e migliaia di chilometri. Le raccontai come si potessero trovare spiagge tropicali punteggiate da palme, foreste paludose di mangrovie, lidi rocciosi battuti dalle tempeste, innumerevoli baie e insenature.
Oggi il mio Queensland è il Sunshine State per eccellenza, una terra che è sinonimo di Grande Barriera Corallina, spiagge deserte e foresta pluviale. A nord di Cairns, la Cape York Peninsula è una terra aspra e selvaggia con la quale l’uomo continua ancora a misurarsi; The Tip è uno degli angoli meno popolati d’Australia. Molte cose sono cambiate nel corso degli anni.
Al tempo, quando in quel lontano 1957, abbracciai per la prima volta l’amore della mia vita ne rimasi incantato. La sua carnagione, a differenza della mia, era chiara.
Profondi occhi castani mi fissarono con curiosità. I lunghi capelli neri raccolti in una crocchia. Un lungo vestito color pastello e scarpe ovviamente senza tacco.
Teneva in mano la foto delle due scarpe spaiate, quella che le inviai parecchio tempo prima.
Gliela strappai dolcemente di mano e le dissi: “Cammineremo assieme”.