Premio Racconti nella Rete 2023 “Tentativi di verità” di Paola Taboga
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Eccomi davanti al portone.
Il cuore si è barricato in gola.
Mi preparo a esibire il migliore sorriso con cui affronterò quest’accidenti di festa: i rituali dei saluti o delle presentazioni con le voci squillanti, le risatine, i discorsi inutili e banali, i nomi subito dimenticati.
Il solito minuetto di falsità.
C’è un gran casino e la musica imbizzarrisce ancora di più il rumore di fondo.
Agguanto un bicchiere e procedo a una rapida scansione dei presenti, in gran parte sconosciuti. Tacchi alti per molte donne, gambe in bella vista e push-up diffusi: sex-appeal in formato seriale. C’è anche qualche eccentrica che ostenta mise destrutturate – abiti informi con orli sfilacciati – abbinati a gioielli etnici enormi e bocche vermiglie. Per gli uomini domina la tenuta tempo-libero: jeans o pantaloni colorati con camicia fuori. Le giacche sono poche e, nel caso, abbinate a magliette scure. Susi, la mia amica e padrona di casa, lavora in pubblicità e questo è il suo ambiente: creativi e manager che ostentano ruoli e successo anche a colpi di look.
Adesso sta sfarfallando fra cucina e buffet armata di vassoi e bottiglie. Mi saluta con una smorfia d’intesa. Ale, suo figlio, le sta appiccicato.
Susi mi ha costretta a venire a questa festa. Dice che questi sei mesi di “pausa di riflessione”, fatti di domeniche e serate sul divano annientata dalla nostalgia e dai dubbi, devono terminare. Devo rivederlo e capire: questa festa secondo lei è l’occasione perfetta per affrontare la verità.
E fa niente se odio le feste.
Svuoto il bicchiere. Il prosecco scende con un piacevole grattino. Ne recupero un altro. Susi ha spento quasi tutte le luci e ha disseminato la stanza di candele, creando un effetto lounge che si addice allo stile della sua casa, minimal e candida. Io, però, provo una specie di inquietudine con questi bagliori sinistri che macchiano la pelle e segmentano i visi, scavando negli orli degli zigomi.
“Mamma, è quello il mio papà?” Cantilena di Ale, quella che indispone.
“Ale, la pianti?” Voce bassa di Susi, sporca di rabbia.
“Scusa, non so perché s’è fissato con ‘sta cosa…” Cinguetta Susi provando a dissimulare l’imbarazzo con un sorriso.
Il tizio però rimane perplesso e si allontana accennando a un’alzata di spalle.
Susi agguanta la mano di Ale. Lo strattona e lui si divincola.
“Uffa, uffa e uffa.”
“No! Uffa lo dico io, capito? Che figure mi fai fare…”
Susi mi guarda desolata, scuotendo la testa. Forse doveva organizzare questa festa un sabato in cui Ale è dal padre. Oppure, non doveva invitare il suo nuovo fidanzato.
“Ciao, come va?”
Mi giro e i suoi occhi inghiottono la stanza.
“Ciao, che sorpresa…” La mia voce prova a essere naturale ma so che non ci riesce. È chiaro che sto mentendo. Sono qui solo per lui e lui lo sa.
“Hai i capelli diversi…”
“Sì, li ho tagliati un po’.”
Mi guarda con una certa intensità. O forse no, lo sto solo immaginando.
Il prosecco fa galleggiare in testa tutte le domande che vorrei fargli mentre ascolto le sue parole precise, luminose.
Ma poi. Arriva una ragazza che si piazza di fianco a lui. Lo bacia su entrambe le guance, lo guarda negli occhi e ride. Ho l’impressione che non sappia fare altro che ridere. Che abbia tutti i motivi del mondo per ridere.
È piccola e magra. Inguainata in una tuta aderente viola che evidenzia le tette. Viola sono anche gli stivali, gli orecchini, il rossetto. Me la vedo uscire di casa squittendo: “vado per viola, oggi…”
Lui me la presenta con nonchalance, senza imbarazzo.
Sorriso viola. Sorriso mio. La stanza gira.
“Scusate,” dice lui, subito dopo.
E si allontana mentre io mi ritrovo qui, con questa sconosciuta, con tutta evidenza la sua nuova fidanzata: un chissenefrega gigantesco e viola per la nostra storia e i sei mesi di “pausa di riflessione”. Non dovevo venirci a questa cazzo di festa.
“Che lavoro fai?”
Ma guarda tu. La creatura viola è anche dotata di parola, oltre che di tette marmoree.
“Scrivo,” la mia voce esibisce un’inattesa sicumera da Prosecco di cui mi sorprendo da sola.
“Bello. E cosa?”
“Un romanzo ambientato in India.”
“Mitico! Ci sei stata?”
“Ovvio, più volte.”
“Una mia amica è stata a…”
“New Dheli, Mumbay? Hyderabad, Calcutta?”
Lascio intendere di poter snocciolare tutte le città del continente indiano, anche in ordine alfabetico inverso.
“No, con la B.”
“Appunto, Bombay, oggi si chiama Mumbay.”
“E perché?”
Mi blocco. La testa è un pollaio. Non sono mai stata in India, né ho mai scritto un romanzo e, soprattutto, non so perché sto mentendo.
Lui invece, sta tornando. Sono ubriaca e troppo incazzata, non voglio parlargli.
Agguanto l’ennesimo prosecco e me ne vado, mentre il grumo femminile viola gli dice qualcosa, guardandomi. E sono vicini. Vicinissimi.
Ale corre per il salotto. Si insinua fra le persone, le spintona. Sfiora le decine di candele. Adesso ammazza qualcuno, oppure incendia la casa. Invece no: inciampa nel tappeto proprio di fianco a me. Lo aiuto a rialzarsi e Susi lo raggiunge, preoccupata. Madre e figlio si fissano.
“Non puoi star fermo?”
Ale le mostra la lingua. Poi si nasconde dietro le mie gambe.
“Vai in cameretta. Domani racconto tutto a papà, capito?”
Le candele macchiano di nero il viso di Susi.
“Ma quale papà? Tu non parli più con papà. Vuoi solo quello là. Vai via,” dice Ale con voce piccola e piena di rabbia, di dolore.
Le candele lasciano intravedere gli occhi di Susi: sono pieni di lacrime.
Ma ecco, l’aggeggio viola si materializza di nuovo. E lui è lì, accanto a lei.
“Così stai scrivendo un altro romanzo…”
Mi chiedo a cosa alluda. La damina viola è in adorazione, potrebbe fondare un fan-club per me qui, all’istante. Gesù, vorrei schiantarmi sotto il parquet.
“Il suo primo libro è andato a ruba, figurati.”
Lui parla… dei miei libri e dei miei successi letterari. Ma perché sta infiocchettando l’unica balla che io abbia mai detto in vita? Mi sta prendendo in giro? Siamo entrati nell’era dell’esperanto globale e nessuno mi ha detto niente?
Poi compare un tipo lungo lungo, con naso adunco e orecchino che si piazza alle spalle di Miss Viola e le copre gli occhi. Modula il solito “chi sono?” che produce nel gingillo viola una violenta scarica elettrica: pigola qualcosa in falsetto e gli infila la lingua in bocca.
“Ti prendo un po’ d’acqua? E poi, parliamo… dei tuoi libri?”
Faccio sì con la testa. Non riesco ad articolare parola, non potrei nemmeno grugnire: in questo momento sono meno evoluta di un qualsiasi primate.
Mentre si allontana, si volta. Sorride.
“Posso dirti? Dovresti far ricrescere i capelli, tenerli come una volta.”
Chissà se sta mentendo ancora. Nel dubbio, metto su un sorrisetto idiota, mentre il ronzio delle bollicine in testa mi assorda. Sprofondo in una provvidenziale poltrona libera.
Arriva Ale con il braccio teso e l’indice sfoderato.
“E’ lui, lui è il mio papà.”
Non si rivolge a nessuno. Indica il vuoto.
“Ale, perché fai così?”
Glielo domando tirandolo dolcemente verso di me. Io, seduta in quella poltrona e lui in piedi: i nostri visi sono di fronte, alla pari. Gli sfioro la testa. I suoi capelli sono sorprendentemente fini e delicati e si arrotolano intorno alle dita. Così morbidi che la mano non vuole smettere di accarezzarli.
“Sai di vino.”
Ha ragione: devo avere una fiatella da Superciuk.
“Ma tu lo sai dov’è il mio papà?”
“No, Ale. Ma sono certa che verrà presto a prenderti, anzi prestissimo, e andrete… dove vuoi andare?”
“Allo zoo.”
“Ecco, allo zoo. Certo, andrete allo zoo.”
“E io però vorrei anche un cane.”
Afferma con forza Ale, guardandomi con intenzione. Sa che adoro i cani e non potrei mai dargli torto.
“Ma secondo te papà mi fa prendere un cane? Anche se la mamma non vuole?
Povero Ale. Ridotto a negoziare con me i suoi desideri. Decido di sorridergli e basta, senza aggiungere niente. Provo a sollevargli il mento, con la mano a coppa. Non vuole, fa resistenza. Ma tenta di sorridere, rassegnato.
“Però glielo dici tu a papà di portarmi almeno allo zoo?”
Dovrei rispondergli che, certo, glielo dirò senz’altro. Ma sarebbe una bugia. Suo padre non si fa vivo da mesi e chissà cosa ha in testa. E allora gli dico che ci andremo noi due, insieme, allo zoo. E poi anche al parco a giocare con il mio cane. Gli prometto quello che posso, offrendo solo ciò di cui dispongo. Lo faccio usando un mucchio di parole e gesticolando troppo. Mi rendo conto di essere decisamente sopra le righe – sono brilla – ma so di non voler dire nulla che non potrò mantenere. Non voglio dilapidare la sua fiducia. E, soprattutto, non voglio mentire.
“Andiamo a prendere una Coca?”
Mi chiede, alla fine del mio sproloquio, allungando il braccio. Ha capito che la mia testa è ancora in giostra. E così, ci aiutiamo a vicenda, io e Ale.
Prendo quella sua mano piccola e sudaticcia che mi tira con forza finché mi alzo e lo seguo.
I dialoghi e le descrizioni sono ben scritti e scivolano via. Efficace ilconfronto fra due storie/personaggi accomunati da una simile sorte: la mancanza. Mi è piaciuto piaciuto!
Bel racconto. Complimenti.
grazie!
Molto realistico!
Mi sono piaciuti molto i dialoghi, lei è un personaggio ben definito, me la immagino fare slalom tra occasioni e delusioni della vita.
grazie Romina, se riesci a immaginare la protagonista è un grande complimento!