Premio Racconti nella Rete 2023 “Il caffè esistenziale” di Stefania Ottavia Carmignano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Mammaaaaaaaa!”.
“Eeeeeeeh?? Che c’è?”.
“Il caffèeeeee!”.
In questo modo veniva quasi sempre annunciata “l’uscita” del caffè a casa mia. Bisognava più che altro urlare, dato che la nostra casa era distribuita su più piani e mamma sfaccendava di sopra già dalle prime luci dell’alba, quella che almeno io definivo alba. Il caffè è sempre stato un rito di fondamentale importanza nella mia famiglia, se non addirittura vitale. C’è un motivo ben preciso del perché è così necessario: siamo quattro donne. Del sud poi, in una incessante fase di produzione di emozioni, problemi e soprattutto drammi che gestiamo con insofferenza, una piccola dose di teatralità per poi arrivare ad una temporanea consolazione. Certo, come la raggiungi ne devi subito elaborare un’altra per rimediare al dramma successivo. Le nostre vite sembravano scorrere allo stesso ritmo di un episodio di una telenovela, non c’era mai il giusto spazio tra i protagonisti e pare non si riuscisse mai a trovare un finale adeguato.
Non ricordo quando sia stata la prima volta che ho provato il caffè, a scuola lo bevevo perché c’erano i distributori, ma quello di casa non mi piaceva. Era troppo complicato a tratti quasi rischioso, per me, riuscire a berlo senza che mia madre mi guardasse in faccia e capisse tutto. Quel tutto che per una quindicenne diventava come spogliarsi in piazza. Non comprendevo la necessità di parlare così a lungo e con così tanta profondità, in fin dei conti era solo un caffè. Come può una tazzina contenere così tante parole, tutte rigorosamente irrinunciabili che muoiono dalla voglia di essere confessate e condivise. Le mie arrivarono in ritardo, non volevano uscire. Ero in combutta con me stessa, non mi piaceva il caffè e non volevo parlare con nessuno. Per di più soffrivo di una rara forma di insofferenza che tuttora mi accompagna: quell’appiccicume che si presenta tra familiari o amici, che sfocia nell’obbligo di fare tutto insieme. Ecco perché niente parole. Così iniziai a bere il tè, quello potevo addirittura portarlo in camera senza parlare.
Però, quando chiudevo la porta, sentivo in lontananza il chiacchiericcio delle mie sorelle con mamma. Bevvi il tè per tanto tempo.
Tutto quel tempo l’ho trascorso ad ascoltare le loro parole, non riuscivo a comprenderle tanto erano complicate. Non c’era né un capo né una coda, era un’emorragia di pensieri che loro riuscivano a contenere con semplicità, mentre per me, era un’emorragia interna che non potevo impedire ma in essa riuscivo a racchiudere molto, quel tanto che mi ha fatto vivere e che pian piano mi ha portato a sostituire con temerarietà il tè al caffè. Svariati ne ho bevuti finora, parecchi sono stati dolci, altri amari. Di altri invece ho dovuto pagarne il prezzo tanto li ho desiderati. Tutta colpa di questa disgraziata fiammella che ho nel petto; la speranza è ortodossa ma possiede dei tratti di mutismo che rasentano l’invisibile.
Fortificanti e intensi, questi caffè alla fine li ho amati tutti. Sono stati così esageratamente importanti che vorrei raccontare ogni sensazione o brivido che questi mi hanno suscitato. Un’altra parte di me invece combatte per mantenerli gelosamente custoditi, immortalati in un tempo completo ma inaspettatamente smisurato. Ma si sa, non possiamo conficcare i piedi nel cemento con la pretesa di rimanere immobili, arriverà il giorno in cui vorremo liberarci a costo di strapparci le unghie.
Così, con questa fame di curiosità e condivisione che ci accomuna, ho voluto fregare l’inesorabile scorrere del tempo che sbiadisce i pensieri ed i ricordi raccontando i caffè che hanno riordinato la mia esistenza.
Potrei cominciare riportandovi le prime parole che, più di ogni altre, mi hanno messa in difficoltà; ciononostante senza di esse, io, non mi sarei mai mossa: “Mia amata Greta”. Così mia nonna Maria Giovanna ha battezzato la sua lettera. Sarebbe sadico lasciarvi così, se non addirittura infruttuoso. Affinché vi sentiate parte di questi miei segreti, come se poteste davvero essere lì con me, da adesso fino alla fine di queste pagine, vi chiedo di diventare dei mistici lettori, pazienti ascoltatori e soprattutto, esperti di fondi di caffè.
“Mia amata Greta,
chissà se è giusto chiederti come stai o sarebbe meglio come sei stata . L’ultima volta che hai voluto condividere con me il tuo presente, è stato mesi fa. Per riempire questo silenzio, ti racconterò cosa ho fatto io. Vediamo…..ah sì, ho deciso di non tingermi più i capelli, li sto lasciando liberi di essere e di godersi anche loro questa età. Abbiamo preso un cane, Ela. Un golden retriever che avevano abbandonato lungo una strada, poi recuperata e portata in un canile. È lì che ce ne siamo innamorati. Dolcissima con degli occhi belli. Nonno Vito la adora (pur u jiatt!).
Sai, potrei stare qui a raccontare fino a domani, ma non so se voglio. Anzi, non so se te lo meriti. La fitta che ci ha provocato la tua decisione sta continuando a scavare e sento che è arrivato il momento che qualcuno smetta di scavare, ed inizi a far crescere qualcosa.
È il momento di ridare luce agli angoli bui delle donne della mia famiglia. Per questo desidero avervi tutte qui e spero fortemente di poter riempire ogni posto a tavola.
Con tutto l’affetto possibile che conosci benissimo,
la nonna Marì.
Il tempo che ho trascorso dentro me stessa per accettare il mio obbligato ritorno in quella terra che con le sue mani mi aveva generata, e con le stesse, elargito indelebili gioie e incompresi dolori è stato infinito. In quel momento mi sentivo proprio come una tazzina di caffè: mi si erano aggregate dentro un fottio di parole ed ognuna sproloquiava a modo suo.
Poggiai la testa sul sedile numero nove del binario quattordici e presi a guardare il mare. Iniziai a riflettere sul fatto che per anni mi sono abituata a guardare un solo mare e mi è sempre andato più che bene. Mi sono ambientata facilmente alle colline piene di verde, alle montagne dalla punta imbiancata, al grano, ai girasoli. È stato tutto abbastanza affrontabile o quasi. Eppure, nel corso del tempo, c’era sempre qualcosa che mancava; come un pezzo assente, dimenticato ed io ho sempre avuto la convinzione di doverlo cercare altrove, lontano da quei luoghi che trattavo con tanta ostilità. Invece è sempre stato tutto a poca distanza da me. La voglia che avevo di imprecare la conoscevo solo io ed il vetro alla mia sinistra che si appannava ad ogni sospiro.
Avevo davanti l’elemento che tutti vogliono guardare quando hanno da mettere in ordine qualcosa dentro. Anche se, alla fine, a furia di guardare quell’infinità, si trovano più ingarbugliati di prima. Perché secondo me il mare di infinito non ha proprio niente, inizia in un punto e finisce in un altro. Fine.
Magari dall’altra parte c’è un altro te, seduto nello stesso modo, che cerca di intravedere la fine o l’inizio. Mi piace pensare che potremmo essere l’inizio di qualcuno.
Aveva davvero scritto che “era il momento di ridare luce agli angoli nascosti delle donne della mia famiglia”. Un inizio particolarmente difficile.
Sospirai un po’ più forte del solito sul mio tavolo mentale prima ancora che si imbandisse di tutti gli scenari possibili. Eppure, seduta in quel treno, fremevo in maniera trepidante e smaniosa come quando ero piccola. Una volta lì e respirato l’odore di quella terra, sapevo che non avrei più avuto la forza di andare via.
Mi staccai temporaneamente dal mio brogliaccio mentale, per rispondere alla persona che più mi aspettava ma ancora con scetticismo.
“Pronto”.
“Pronto alla nonna, come stai? Sei arrivata?”.
“No nonna ancora no. Penso tra un paio d’ore”.
“Beh dai quasi allora. Senti, hai mangiato?”.
“Ho preso un caffè!”.
“Seee, e ciada fa’ che cud. Ti faccio trovare due mozzarelle?”.
Sorrisi dentro di me, ma senza sbavature esterne.
“Magari anche due olive e i peperoni fritti”.
“Nonna mi va bene tutto, anche se non voglio darti disturbo. Sai che arriverò tardi”.
“Ma quale disturbo, ma fammi il piacere”.
Mi sarei stupita del contrario.
“Va bene. Bé chiamami appena arrivi. Un bacio forte”.
“Ciao nonna”.
“Ciao alla nonna”.
Conoscete quella sensazione di serenità e appagamento? Ti parte della bocca dello stomaco, proprio sotto il seno e si dirama per tutto il petto e per tutta la pancia. Fa stare così bene che ogni cosa tace, come se tutti assistessero allo stesso spettacolo; io la avverto quando sono nel posto giusto con le persone giuste. Capita con pochi, raramente quando si tratta di parenti. Questa regola però non vale per i nonni. Loro possono essere dolce e salato insieme, possono essere quello di cui hai bisogno, possono essere quel respiro rinfrancante che aspettano a loro volta.
Mentre provavo ad assopirmi al suono delle rotaie, venni distolta da un signore che se ne stava in piedi sul corridoio e che cercava con molta calma qualcosa nella propria valigia. Era un uomo alto con la schiena leggermente ricurva, ben vestito e con i capelli nero fumo, ma che una volta erano simili alle more tra i roveti.
“Franco, ti sei dimenticato di prendermi la giacca”.
“Marisa, te l’ho messa sul sedile”.
“Ah! Si…scusa Franco”.
Sentivo dentro ed attorno a me una quiete inconsueta, per questo mi voltai e provai a dormire. Fu un tentativo inutile dal momento che mi sentii chiamare da lì a poco.
“Mi scusi”.
Aprii gli occhi e mi voltai.
“Si”.
“Mi scusi se la disturbo signorina, ma mi è caduto l’accendino ed è finito sotto il suo sedile”.
“Ah..”. Mi affacciai e lo vidi proprio accanto ai miei piedi. Mi sporsi per raccoglierlo.
“Tenga”.
“Grazie e mi scusi ancora”.
“Si figuri”.
“Scusi mio marito, con l’età è diventato più sprovveduto”.
Sorrisi divertita. “Può capitare ci mancherebbe”.
Il signore si abbassò leggermente verso di me. “Sa, ho ripreso il treno oggi dopo tanto tempo. Mi sento emozionato come un ragazzino”. Aveva occhi gioiosi. Poi si voltò e si sedette al suo posto.
Una parte di me desiderava addentrarsi in una conversazione, l’altra voleva semplicemente dormire. Così rientrai nel mio spazio.
“Lei dov’è diretta?”.
Mi girai di scatto.
“Prego?”.
“Non dare fastidio Franco”.
Mi sporsi per poter guardare la signora. “No, mi fa piacere”.
“Le chiedevo dove va di bello, sempre se il viaggio è bello”.
“Vado a Gioia del colle dai miei nonni. Voi invece?”.
“Noi torniamo a casa, a Marittima. La conosce?”.
“No, direi di no”.
“È un paesino vicino Castro Marina nella parte più a sud del Salento”.
“Tornerà ad essere casa”, disse sorridente la signora Marisa
Il signor Franco si sporse un po’ più verso di me. “Fino a ieri abbiamo vissuto a Milano. Se lo immagina, due salentini a Milano. Molto grande, forse per noi lo è stata fin troppo. Dopo tanti anni rivoglio il mare. Il mio mare. Quello con cui siamo cresciuti io e mia moglie”.
Ascoltavo quelle parole sentendomi sempre più parte del loro racconto.
“Io ho lavorato nell’aeronautica per trentacinque anni e non c’è stato giorno in cui non abbia pensato alla mia terra. Ora sono in pensione e posso finalmente ritornare a casa”.
Abbassai lo sguardo perché riconobbi lo stesso desiderio, quello a cui non sapevo o non volevo dare un nome. Quello che non potevo ammettere.
Alzai nuovamente la testa. “É sempre bello tornare a casa”.
Quelle mie parole sembrarono allietare il signor Franco, così come la moglie che decise di proseguire.
“E tu Greta dove vai? Mi permetto di darti del tu”.
“Deve”.
“Anche tu però”. Tentai ma non lo feci.
“Io ritrovo i miei nonni dopo diverso tempo”. Abbassai lo sguardo per un attimo. “In realtà, spero anche di ritrovare un amico”.
“Gli amici sono come l’acqua, dissetano nei momenti più aridi”.
Mai metafora fu più azzeccata.
“Non sembri così…come dire, assetata”, mi fece notare il signor Franco.
“Ultimamente ho sempre meno saliva”.
“Allora alla salute”.
Risi sentendomi un po’ meno arida.
Per un istante, il suo modo di sorridermi e di spalancare gli occhi, mi ricordò mio nonno.
Il signor Franco si voltò verso la moglie. “Marisa senti, guardavo l’orologio e ho notato che sono le quasi le dieci. Non voglio interromperti, chiedo solamente se vuoi un caffè?”.
“No Franco ora non desidero nulla”.
“E tu Greta? Posso offrirtelo un caffè?”.
“Perché no”.
Feci per alzarmi ma mi fermò. “No no. Voi continuate la conversazione, io ho i miei tempi”.
Di fatti si alzò con calma e con la stessa, si incamminò verso il vagone bar.
Rivolsi lo sguardo verso la signora Marisa, che, quasi addossata sul suo cellulare, mandava dei messaggi. Ebbi il breve desiderio di sederle accanto quasi fosse un’amica o una madre, ma scelsi il mio finestrino e gli alberi di ulivo che scorrevano svelti.
L’atmosfera si distese nuovamente tanto da diventare sonnacchiosa. Nessun rumore, neanche un tintinnio, solo l’incedere delle rotaie. Dimenticai completamente il Signor Franco, il suo caffè e anche di essermi addormentata.
“Greta, ehi, che c’è?”.
“Greta, Greta svegliati”.
“Era solo un sogno, è passato ora”.
“Il treno sta per fermarsi”.
“Vieni qui alla nonna, abbracciami, non avere paura. Vedi, tutte le volte che cadrai nel vuoto, io ci sarò, sempre”.
“Greta svegliati!!”.
Mi sentii scuotere così forte che ebbi paura e mi svegliai.
Mentre respiravo affannosamente, mi guardai intorno per capire dove fossi. Alzai lo sguardo e vidi la Signora Marisa in piedi accanto a me e la sua mano ancora sul mio braccio sinistro.
“Greta, tutto bene?”.
Deglutii. Cercai con gli occhi la mia bottiglia d’acqua, ma non la trovai.
“Si, penso di si”.
Si palesò improvvisamente una voce per tutto il treno: “Gioia del colle, stazione di Gioia del colle”.
Mi sollevai con le braccia per ricompormi e prepararmi a scendere. Mi portai le mani alla faccia per strofinarmi gli occhi. Erano umidi.
“Tieni prendila”. Vidi la Signora Marisa porgermi la sua bottiglia d’acqua. “Ne comprerò un’altra questa tienila tu”.
“Grazie”.
Mi alzai e iniziai a raccogliere tutte le mie cose. Presi la valigia dalla cappelliera e infilai lo zaino su un braccio solo. Prima di voltarmi salutai Franco e Marisa.
“Il caffè non l’ho dimenticato. Dormivi così bene che non ho voluto svegliarti”.
“Il pensiero è più che sufficiente. È stato bello condividere un po’ del mio viaggio. Buon ritorno a casa”. Sorrisi un’ultima volta poi presi a camminare verso l’uscita.
“Greta”
Mi girai.
“Vieni a trovarci a Marittima. È molto piccola, non serve sapere la via, basta chiedere in giro”.
Sorrisi con la speranza di riuscire a portare alla luce almeno un desiderio nella vita. Ripresi il mio cammino e scesi dal treno.