Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Folletti” di Remo Badoer

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

L’uomo girando nel corridoio si fermò di colpo. Eccone là uno. Si era arrampicato sopra il lampadario in entrata e stava svitando la lampadina. L’uomo sapeva cosa stava facendo, non era la prima volta: quando lui avesse premuto l’interruttore e la luce non si fosse accesa, sarebbe andato a prendere la scala per controllare la lampadina, ma una volta salitoci sopra, quelli avrebbero incominciato a scuoterla per farlo cadere.

L’uomo silenziosamente entrò in cucina e ne uscì con una scopa. Brandendola a due mani come fosse un bastone, arrivò alle spalle del folletto e sferrò un colpo veloce, forte, che però risultò inutile, perché l’altro, non si sa come, si era accorto della sua mossa e all’ultimo momento era saltato sopra l’attaccapanni e adesso rideva cattivo e mostrava la lingua e faceva marameo con la mano mentre l’uomo non poteva fare altro che fissare i cocci del lampadario sul pavimento.

Con un urlo di esasperazione, l’uomo cercò di sferrare un altro colpo con la scopa contro la creatura, ma questa fu più rapida di lui, saltò giù dall’attaccapanni e, dopo un ultimo sberleffo, sparì, per andare da qualche altra parte a combinare qualche altra diavoleria.

A spalle chine, come se fosse una fatica improba il camminare, l’uomo tornò in cucina e una volta arrivato si lasciò cadere pesantemente su una sedia. Traballava. Un’altra delle loro fastidiose trovate, ormai in casa non c’era più né una sedia né un tavolo a cui non avessero accorciato una o due gambe. L’uomo si chinò in avanti, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e con le mani si coprì il viso e per le dita gli scorrevano le lacrime che ormai non riusciva più a trattenere.

Quando era cominciato? Non se lo ricordava, sei, forse sette mesi prima. Ma che importanza poteva avere quando era cominciata la faccenda? Una volta magari gli sarebbe interessato sapere almeno il perché, ma adesso l’irritazione, il fastidio e la rabbia che provava nei confronti di quelle malvagie creature erano svaniti, diventando sempre più deboli, mentre lui era sceso in una disperazione sorda, apatica, una accettazione ancora più pesante della rassegnazione in quanto portava con sé i germi della colpa e della vergogna, quasi fosse lui la causa di quell’inferno.

Perché di un inferno si trattava, un vero inferno in cui l’orrore più terribile era che era fatto di piccole cose che potevano anche sembrare innocue, senza importanza: loro si pulivano le scarpe con la biancheria appena lavata, quando era sotto la doccia gli cambiavano di colpo la temperatura dell’acqua così che diventasse bollente oppure gelida, gli nascondevano gli oggetti, rompevano piatti e altre suppellettili e gli sistemavano i cocci ai piedi del letto così che si tagliasse quando si alzava, lasciavano aperto lo sportello del freezer tutta la notte per far scongelare quello che c’era dentro e lui poi doveva buttare il cibo oltre che asciugare la pozza d’acqua sul pavimento, aprivano le finestre che lui aveva chiuso perché stava arrivando il temporale, cambiavano l’ora della sveglia che suonava in mezzo alla notte, facevano disegni osceni sui muri, gli tagliavano i bottoni della camicia e i lacci delle scarpe… Insomma, dispetti, cattiverie che prese una per una potevano sembrare anche fastidi da poco, ma che ripetute continuamente, ogni giorno, senza tregua, gli avevano avvelenato la vita, come gocce d’acqua che anche se singolarmente sono ininfluenti nella loro piccolezza, trovano nella continuità e persistenza la forza per erodere una pietra.

L’uomo sentì un rumore, si riscosse piano piano e alzò la testa. Fra le lacrime, vide un folletto, quello che gli altri chiamavano Paolino, e che si capiva che era il capo, perché era quello che aveva la barba più lunga e portava un berretto rosso diverso da quello degli altri. Se ne stava seduto sul lavello e stava mangiando una banana, o meglio, ne masticava un pezzo alla volta e poi lo sputava sul pavimento. I due si fissarono.

«Tu… Tu sei quello che chiamano Paolino, vero?» chiese l’uomo con ancora dei singhiozzi di pianto nella voce.

Il folletto scrollò le spalle con aria indifferente «Se lo dici tu…»

«E sei tu il capo, vero?»

«Se lo dici tu…»

L’uomo rimase zitto per un attimo, a guardare Paolino che masticò un altro pezzo di banana tenendo la bocca spalancata prima di sputarlo sul pavimento. Poi, rivolto al folletto, ma quasi come facesse la domanda a sé stesso, chiese ancora: «Quando… quando finirà questa storia?»

Paolino chinò la testa a sinistra e lo fissò curioso: «Quand’è che finirà che cosa?»

«Questa cosa… Voi… Quand’è che ve ne andrete?»

«Noi? Andarcene? Bof. Noi non ce ne andremo mai.»

L’uomo riprese a singhiozzare: «Perché? Perché non ve ne andrete mai?»

Il folletto pareva veramente stupito: «Come sarebbe a dire perché? Perché non possiamo, ecco perché.»

«E perché, perché non potete andarvene?» insisté l’uomo con un tono di disperazione nella voce.

Il folletto rise: «O bella! Ma perché noi non esistiamo, scemo! Non l’hai ancora capita? Come facciamo ad andarcene se non esistiamo?»

L’uomo alzò la testa del tutto. Adesso era lui ad essere stupito. Spalancò la bocca per dire qualcosa, ma ne uscì solo una specie di rantolo.

«Ahahah!» lo sbeffeggiò Paolino mentre cercava di infilare la buccia di banana nello scarico del lavello per intasarlo «Guardalo, guardalo là, guarda che faccia che fai! Proprio scemo, sei! La vuoi capire una volta per tutte che noi esistiamo solo nella tua testa? Che cosa ti hanno detto i medici, gli psicologi, gli psichiatri, tutti, ma proprio tutti quelli che ti hanno visitato? Prova a pensarci, scemo: sei tu che combini casini, che rompi le cose, e poi dai la colpa ai folletti! I folletti, figuriamoci! Nella tua testa, ci sono i folletti, ecco dove sono! Per cosa credi che nessun altro ci abbia mai visti, eh? Pensa a quella poveretta di tua moglie, che tornava a casa e trovava le tende sporche di salsa di pomodoro, i quadri messi al rovescio, il vaso del salotto che le piaceva tanto fatto in mille pezzi, tutta la carta igienica srotolata in giro per la casa, la tazza in bagno intasata con una scarpa e tu che le dicevi che erano stati i folletti! Ahahah! I folletti! Per forza che è scappata via ed è tornata da sua madre! Oppure quando hai telefonato al prete dicendo che volevi fare esorcizzare la casa e ti ha chiesto se avessi bevuto… Sei fuori di testa, sei…»

Paolino si interruppe, saltò giù dal lavello, aprì il frigorifero e ne tirò fuori un tubetto di maionese che incominciò a spremere coscienziosamente sopra i piatti e i bicchieri puliti, e poi continuò: «E tu che chiedi quando ce ne andremo… Mai, caro mio, mai. Noi siamo dentro la tua testa bacata e non ce ne andremo, ormai sei andato del tutto, sei completamente pazzo e noi ti faremo compagnia finché crepi, scemo!»

L’uomo aveva ascoltato come in trance il discorso di Paolino ed ora se ne stava immobile, con gli occhi aperti e lo sguardo perso che non vedeva nulla, senza neanche badare al folletto che aveva cominciato a spalmare la maionese anche sulle sue scarpe. Sbatté un paio di volte le palpebre e ripercorse nella sua mente tutta la storia, da quando era cominciata fino a quel momento. Il folletto aveva ragione. Sua moglie aveva ragione. I medici avevano ragione. Era tutto nella sua testa, loro non se ne sarebbero mai andati. Però lui non voleva, anzi non poteva, nel modo più assoluto, continuare a vivere quell’inferno. In un modo o nell’altro la maledetta storia doveva finire.

Si diresse verso la finestra aperta e guardò in basso. Tutto. Tutto piuttosto che continuare quella vita. Chiuse gli occhi, si sporse in fuori e si lasciò cadere a testa in avanti, fino a schiantarsi nel cortile del parcheggio senza nemmeno un grido.

Sei piani sopra, seduto sulla finestra aperta con le gambe penzoloni, Paolino guardava il corpo del suicida. Arrivò un altro folletto, quello che prima era sul lampadario a svitare la lampadina e gli chiese: «Allora, capo, c’è cascato anche questo?»

Paolino fece spallucce: «Ci cascano tutti, ci cascano…»

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2 commenti »

  1. Bello, mi è piaciuto. Complimenti!

  2. Bel racconto, idea originale e ben sviluppata, secondo me. Ci ho creduto anche io! Complimenti!

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