Premio Racconti nella Rete 2023 “La schiena del drago” di Marco Verzini (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023- Eccoci arrivati, dopo quella curva del sentiero la potrai vedere
Non stavo più nella pelle, camminavamo da due ore e la salita finale mi aveva tolto forze e fiato, ma finalmente c’ero, finalmente l’avrei vista, erano anni che mio nonno me ne parlava e solo allora, cresciuto abbastanza per affrontare le fatiche della montagna, aveva deciso di portarmi. Dietro la curva del sentiero la vista si apriva su un ampio squarcio nella dorsale e il tratto aperto ospitava… sì… eccola: la Schiena del Drago!
Una lunga lama di roccia frastagliata, il profilo curvo, la parte più bassa che si ripiegava verso il basso lungo la fiancata della dorsale.
Ero senza fiato, mi sembrava quasi che il mostro dovesse scuotersi e alzare la testa, che sprofondava nella roccia sotto i miei piedi.
- Sembra proprio vero!
- Come: sembra vero! È vero. Te l’ho raccontato tante volte!
- Sì… però…
- Come credi che si sia creata questa enorme frattura del crinale? Vedi bene che è tutto un percorso tondeggiante dal monte L.A. alla Cima T, , tutti prati, salvo questa voragine su cui poggia la schiena del Drago.
- È stato lui?
- Certo, e chi se no? Forse era ferito, forse stava morendo, sta di fatto che è precipitato qui e ha distrutto col suo peso un intero pezzo del crinale.
Io rimasi a occhi spalancati a fissare quella strana figura.
- E così non mi credi. Non ti fidi di me? Saliamo qua sopra, potremo vedere meglio dall’alto, così ci riposeremo un po’, faremo merenda e proverò a rinfrescarti la memoria.
Mio nonno era speciale per le storie, quando raccontava io e mia sorella restavamo ad ascoltarlo per ore. Lei non era venuta perché era piccola e poi aveva paura, e se il drago si sveglia? Io non avevo paura, e poi avevo nello zaino il coltello svizzero che mio papà mi aveva regalato prima della partenza, era il suo e a lui lo aveva regalato il nonno quando lo aveva accompagnato alla Schiena del Drago.
Mio nonno viveva in una soffitta della vecchia casa di famiglia; aveva speso un bel po’ di soldi per farla ristrutturare e alla fine si era trovato in un ambiente decisamente fuori dell’ordinario: una stanza molto grande dal soffitto altissimo digradante su un lato, illuminata da due finestrelle nella parete bassa e da un ampio lucernario; una stanza con divano letto appena un po’ più piccola, con due finestroni ad ogiva, che faceva parte di una specie di torretta completata da un soppalco/colombaia sotto il tetto cui si accedeva tramite una lunga scala di legno scricchiolante Una porticina in un angolo dava in un piccolo bagno attrezzato del necessario. Unica fonte di riscaldamento era un grande camino posto nella sala grande, che come mezzo di riscaldamento dava poche soddisfazioni, ma come produttore di fumo era imbattibile. La parete alta era interamente coperta da una libreria, un vecchissimo armadio conteneva i vestiti e la biancheria, un mini-frigo era l’unico elettrodomestico presente e un fornello a due fuochi collegato a una bombola di gas da campeggio permetteva di cucinare. Ovviamente il Comune non aveva rilasciato il permesso di abitabilità, cosicchè il nonno risultava residente presso di noi, ma, geloso della sua e rispettoso della nostra libertà, viveva felice in quello che chiamava il suo castello.
Per me e mia sorella quello era un luogo magico: la danza del fuoco nel camino, ombre misteriose guizzanti qua e là, tre vecchie accoglienti poltrone su cui accovacciarsi mentre il nonno pescava dalla libreria il libro da cui trarre il racconto da leggerci.
Per non parlare del fatto che si trattava quasi sempre di storie di streghe, orchi, magie. E Draghi. Occhi spalancati, fiato sospeso, qualche sobbalzo di paura. E la voce calda del nonno, rassicurante, protettiva.
Mentre il panino ben imbottito di mortadella spariva nel mio stomaco affamato, con gli occhi divoravo anche la schiena del Drago. In effetti in tutti i libri, in tutti i film, in tutti i cartoni che avevo visto i draghi avevano schiene curve e irte di scaglie come quelle davanti a me, e squame sui fianchi come quelle che ricoprivano il corpaccio tondeggiante. E anche la lunga coda assottigliata che si piegava verso il fondo del dirupo sottostante era molto simile a quelle che conoscevo.
Il nonno mi passò una mano tra i capelli e mi scosse la testa affettuosamente.
- E così non mi credi.
- No, è che…
- È che un conto sono le illustrazioni dei libri e un conto sono le cose davanti ai tuoi occhi.
- Ecco, sì, forse, pensavo…
- Pensavi di trovare un grande lucertolone verde che russava come un trombone?
- No, pensavo allo scheletro dei dinosauri.
- Beh, i dinosauri forse erano proprio i discendenti dei draghi. Ed effettivamente gli assomigliavano anche. Però ti ho spiegato come è la storia dei draghi e di questo in particolare. I draghi vissero in un tempo molto molto precedente a quello dei dinosauri, ed è per questo che dei dinos abbiamo trovato ossa e scheletri mentre i draghi, vuoi per la loro natura, vuoi per il numero di secoli e anzi millenni trascorsi dopo la loro fine, vuoi per le tante cose successe in quel periodo di tempo, si sono piano piano pietrificati.
- Ce ne sono anche altri?
- Oh sì, bisogna girare per le montagne e, se stai attento e guardi bene i profili, le sagome dei monti, li riconoscerai.
- Solo in montagna?
- Vedi, il loro corpo era così pesante che anche solo posarsi al suolo in pianura rischiava di farli affondare nel terreno morbido; in montagna invece la solida roccia sosteneva bene il loro peso.
- Allora se qualcuno di loro è sprofondato sottoterra in pianura potremmo trovare delle ossa?
- Non credo proprio, perché il fuoco che avevano nella pancia, tu sai che sputavano fuoco vero?…
- Sì, certo.
- …il fuoco, dicevo, sottoterra avrebbe… come dire?, cotto proprio loro, si sarebbero trovati come dentro a un forno che loro stessi scaldavano. In montagna invece il calore si sarebbe disperso nell’aria e tutt’al più avrebbe fuso le rocce intorno; la roccia fusa, ricoprendoli, avrebbe creato una specie di coperta durissima, quella che tu vedi, appunto.
- Quindi, se scavassimo, troveremmo lo scheletro del drago?
- Mah, forse sì. Ti devo dire però che i draghi erano creature davvero speciali e non sono sicuro che siano proprio morti del tutto, cioè forse sussiste in loro una larva di vita che per qualche strano motivo potrebbe far loro riprendere vitalità e movimento. È per questo che sto molto attento quando passo sui loro corpaccioni e cerco di non disturbare il loro sonno con scarponi o ramponi.
- E come fai?
- Vedi come la roccia proprio sopra la gobba si sgretoli, lì è pericoloso passare perché gli scarponi potrebbero scivolare, bisognerebbe battere forte col piede e magari raspare un po’ il fondo.
- E il drago potrebbe accorgersene?
- Non lo so, se ci fosse quella scintilla di vita che ti dicevo, forse sì, e non ho voglia di scoprirlo, perciò quando passo sulla schiena di un drago, come qui, verso un velo d’acqua della borraccia sul terreno in modo da ammorbidirlo e non doverlo grattare. Poche gocce sono sufficienti.
Gli volevamo un gran bene e anche se crescendo diventammo un po’ più scettici sulla veridicità dei suoi racconti, tuttavia non smettemmo mai di ascoltarli. L’unico vero scontro col nonno lo ebbe mia sorella: gli si presentò al ritorno da una festa di Halloween a scuola, aveva ormai quattordici anni, e con tono serissimo gli chiese:
- Ma insomma, le streghe esistono davvero? E volano sulle scope? A scuola mi hanno preso in giro tutti!
E lui, serafico, alzò appena gli occhi dal libro che stava leggendo, le disse:
- Sai benissimo che io credo nella magia. Del resto, che vita sarebbe senza un po’ di magia?
E riprese a leggere tranquillamente.
Parecchi anni dopo, accompagnato da tempo il nonno alla sua ultima escursione, ebbi occasione di tornare con un amico alla Schiena del Drago. Con un velo di nostalgia nel cuore mi fermai dopo l’ultima curva e gli mostrai il percorso.
- Guarda che lì in fondo, sulla coda del drago, è pericoloso, la roccia è friabile.
- Ma sì, lo vedo, basta puntare forte con lo scarpone.
- Ecco bravo, così svegli il drago. Versa un po’ d’acqua per terra. Meglio ammorbidire anche solo un poco il fondo.
- Ma va’, scemo. E dopo cosa bevo? Sangue di drago?
- Fa’ un po’ come ti pare.
La graniglia che slitta sotto la suola fa un rumore sgradevolissimo, è come passare le unghie su una lavagna. Il piede scivola, il corpo scatta, il peso dello zaino si sposta bruscamente e l’equilibrio va a farsi benedire, se poi si sbatte un gomito o un ginocchio è la fine.
Occhi sbarrati e fiato sospeso, il cuore che impazzisce, la gola che si chiude, il respiro che si blocca. Lo vidi ruzzolare sul fianco del monte per almeno una trentina di metri. Passò un tempo che mi sembrò un’eternità, poi lo vidi scuotersi e provare a rialzarsi, si mise seduto e mi sembrò di sentire il battito del suo cuore.
- Tutto bene? Niente di rotto?
Ci mise un po’ a rispondere, poi si voltò a guardarmi, scosse la testa e rispose con voce roca:
- Sembra di no. Maledetta ghiaia.
A quel punto il sollievo fu tale che mi venne da ridere:
- Te l’avevo detto di non disturbare il drago, non mi hai voluto ascoltare.
- Il drago? Sono scivolato sulla ghiaia, c’era una specie di crestina che mi sembrava solida, ci ho appoggiato il piede e appena ho fatto forza ha ceduto facendomi ruzzolare.
Io continuavo a ridere e non riuscivo a fermarmi, una risata nervosa, s’intende, per reazione alla paura provata, ma non so se lui se ne rendesse proprio conto. Pensavo al nonno, al drago, alla borraccia.
- Pensa un po’ quel che vuoi, ma se ti dava un colpo di coda nell’altra direzione, altro che ruzzolata sull’erba, facevi un salto di trecento metri e ti venivamo a raccogliere col cucchiaio.
- Son caduto io e hai picchiato la testa tu? Non ci posso credere.
- Va’ là, tirati su, ruzzola altri dieci metri e prendi il sentiero basso che gira attorno, io continuo di qua e ci vediamo al crocevia più avanti.
- Sei sicuro di star bene?
- E ringrazia il drago.