Premio Racconti nella Rete 2023 “Specchi” di Andrea Fassi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Sono due gli specchi grandi e due quelli più piccoli, ogni specchio è inserito all’interno di una cornice nera. Il monolocale si trova al primo piano, lei si prepara per l’ennesima volta. I vestiti del giorno prima sono sul divano, ammucchiati sopra la coperta maculata. Scarpe, coperte e qualche libro sono ammassati sotto il vano del letto. È martedì, il martedì lui pranza a casa di lei e le trema la mano all’idea che l’appuntamento possa saltare. La cucina in cui a malapena si entra in due, dove fanno l’amore guardando fuori dalla finestra ridendo dei passanti, dove nessun altro è mai entrato, è densa di profumo di curry per via del pollo sul fuoco che a lui piace tanto. Il letto con le coperte nere tirate sotto al materasso e i cuscini maculati come il divano sono immobili nell’attesa, come lei, di qualcuno che li disfi.
Mette del rossetto rosso fuoco, strizza il corpo in un completo nero, gli specchi la riflettono decine di volte in decine di mondi diversi, davanti e dietro. Con un fazzoletto tampona il rosso acceso del rossetto, mentre della musica esce da due piccole casse. È un impianto piccolo e bianco, collegato al telefono con il bluetooth; lei ascolta le canzoni che lui le dedica sperando di tenerlo con sé quando se ne va. Guarda la tavola apparecchiata, ha aperto il tavolo per poter mangiare comodi in due, spazio sufficiente per piatti, bicchieri di acqua e vino e per la bottiglia di rosso che lui, sempre, porta con sé per lei. Sul comodino, il telefono si carica sopra una pila di libri, gli unici che ha portato via da casa dell’ex anni prima, segna le tredici e quindici con numeri verdi che ingombrano tutto lo schermo.
Sarebbe dovuto arrivare alle tredici. Ogni volta che torna a casa dalla compagna, il tempo di lei in quel monolocale diventa elastico, si dilata e non scorre. A volte la casa si riempie del pianto di lei, da sola a immaginarli, le lacrime prima scivolano sulla pelle poi gocciolano sul parquet allagando la stanza fino all’ orlo del gradino del bagno, unica zona a rimanere asciutta dal pianto perché appena rialzata rispetto al resto da un gradino, l’unico posto dove non fanno l’amore.
Altra passata di rossetto, una spolverata al tavolino di vetro all’altezza del divano dove fare l’aperitivo appena preparato: olive verdi, salame piccante e poi chissà quale vino porterà, pensa di nuovo, chissà se la lascerà, pensa ancora.
Lui in quella casa è perfetto con lei, se lo ripete, si sfiora le gambe magre e lunghe, pensa alla fila di uomini che rifiuta, eppure lui la riscalda quella casa e poi strappa via tutto e poi la scalda ancora e non c’è spazio per nessuno in quel monolocale. E quando se ne va tutto resta scrostato come la carta da parati sul muro davanti al letto, quella volta che lei ha rischiato di impazzire perché lui voleva tornare dalla compagna e l’ha strappata lasciandola a pezzi. Quella carta da parati con le roselline è l’unico pezzo di casa senza specchi, l’unico senza di lei riflessa, subito davanti al letto a una piazza e mezzo.
Quella casa, quel monolocale pieno di immagini di lei, non è mai stato così pieno da quando c’è lui. Dopo quasi un anno, fuori di lì con lui sono stati solo tre o quattro volte. Le scuse di lui rotolano ogni volta sul pianerottolo buio per via della luce fulminata da mesi e se lo portano via. Ma quella casa non sarebbe mai più potuta essere solo sua, sarebbe stata sempre loro ormai, anche se le quattro foto all’ingresso erano ancora di lei, lei con la madre, lei con la sorella e un disegno dell’ex che a lui piaceva.
Aggiusta il vestito, sotto non indossa nulla, tira il bordo fino a metà coscia. Ha freddo, quel ritardo le fa sentire ancora più freddo, così tanto da farle decidere di accendere l’aria calda anche se fuori impazza la primavera, giusto per scaldare le ossa.
Prende il telecomando, il condizionatore è vecchio, lo aveva riparato lui un giorno, aveva una perdita sopra alla finestra dalle persiane di plastica che a lui dava fastidio.
Si avvicina al telefono, si siede sul letto duro, ha cambiato da poco il materasso, quando lui è lì, stanno sempre a letto quando non mangiano e voleva un materasso confortevole. Le tredici e venticinque.
L’odore di curry in tutta casa passa sotto la grossa porta d’ingresso e riempie il corridoio fino alle scale poi giù fino all’ androne d’ingresso.
Un uomo immobile davanti al portone sente odore di curry, ha in mano una bottiglia di vino rosso, guarda l’orologio, prende il telefono. La strada ha una nube di polvere che sale dai lati delle rotaie del tram, gli alberi hanno piccoli boccioli pronti per la primavera, guarda il portone socchiuso e si tocca il viso. Entra nell’androne accompagnato dal profumo di curry, guarda di nuovo il telefono, sullo sfondo la foto di una donna insieme a lui e due bambini in braccio. Arriva davanti alla porta del monolocale, respira, ha gli occhi bagnati, li asciuga tenendo il viso per pochi secondi tra le mani, respira di nuovo, questa volta a fondo, l’odore del curry gli pizzica la gola, deglutisce sforzandosi di non tossire. Guarda il minuscolo spioncino al centro in alto, sospira, il corridoio è buio; dall’ascensore arrivano il vociare di stranieri che parlano tra loro, lui lascia la bottiglia di vino sullo zerbino, tira fuori un biglietto scritto di suo pugno e lo appoggia vicino alla bottiglia. Piange mentre si allontana con il profumo di curry che va scomparendo.