Premio Racconti nella Rete 2023 “Conchiglie sul Danubio” di Andrea Fassi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023C’era un’urgenza nell’aria quella sera. La città si muoveva verso la notte. Le rive del fiume erano silenziose. I grandi argini riflettevano il chiarore della luna, su una panchina di pietra una donna guardava l’acqua. Non era una donna come le altre del posto. Veniva da un’altra città. La sua pelle era perfetta, le distanze millimetriche dei piccoli pori la rendevano morbida come seta. Le mani affusolate ed eleganti erano raccolte sopra le gambe con delicatezza. Il volto aveva negli occhi una completezza senza tempo, impalpabile, piccole pupille contornate di nero affacciavano sull’infinito. Le labbra imperfette e carnose di un rosso opaco si illuminavano per contrasto con la pelle chiara, incorniciate tra lunghi capelli neri.
Era lì, in attesa. Il Danubio scorreva verso ovest, il pallore della luna rendeva l’acqua lattiginosa da renderla bianca. Non c’era nessun altro. Le poche persone che quella notte passarono di lì, giurarono poi di aver sentito un battito forte, come di un cuore, salire dal fiume.
La donna si aggiustava i capelli guardando nel Danubio riflettere i palazzi liquidi della città. Era lì per il silenzio, per i suoi colori definiti ma opachi. Muoveva le mani solo per raccogliere i capelli dietro le orecchie. Il tempo scorreva, rendendola sicura si trovasse nel posto in cui sarebbe dovuta essere.
Altre persone passarono di lì. Ma lei non si curava di loro. Era invisibile per loro e loro superflui per lei. Era vera, ma così concentrata nell’attesa da sembrare energia di un’altra dimensione.
Lievi onde mosse dal vento increspavano a tratti il fiume lasciando della fanghiglia sui lati terrosi. L’acqua, ritirandosi, veniva accompagnata da un tintinnio.
La calma della donna nascondeva una potenza che nessuno avrebbe potuto percepire. La sua concentrazione serviva a questo, a controllare quell’energia. Ma quando sentì il tintinnio, ebbe un sussulto.
Si alzò dalla panchina quando un uomo alle sue spalle, l’unico che si rivolse a lei fino a quel momento, le chiese cosa ci facesse lì nella notte.
– Aspetto di ritrovare il mio cuore, il colore. – Rispose lei.
L’uomo era ubriaco, rise. Vestito di stracci aveva gli occhi azzurri contornati di rosso, gonfi. Eppure percepiva nitida la presenza fisica della donna, ma non avrebbe potuto cogliere altro che la sua bellezza.
Le chiese ridendo ancora come fosse possibile; le disse poi che solo un ubriaco avrebbe potuto credere che una donna così bella in un’espressione di perfetto equilibrio tra tristezza e gioia, nascondesse il desiderio di trovare il suo cuore proprio nel Danubio.
La donna, senza rispondere, saltò giù dall’argine.
L’uomo barcollò a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra. E andò via.
Altri uomini passarono, ma nessuno notò la donna cercare con le mani nel fango. Era sulla riva del fiume sotto gli argini intenta a scavare. Muoveva le sue delicate mani sporche di terra, le unghie curate avevano ora piccoli sassi incastrati sotto la superficie.
La donna sorrise.
Un luminoso strato di conchiglie intatte giaceva sotto un primo strato terra. Con foga iniziò ad estrarne una a una. Le pulì, le accarezzò, soffiò via i detriti.
Le conchiglie pensò fossero belle, dallo smalto luminoso e dai colori ocra e ambra, ma erano vuote. Le rovesciò tutte, una a una, sempre con maggiore foga. Il suo cuore non era lì.
Pianse, con la terra che copriva le mani fino ai polsi, alzò gli occhi e notò il fiume crescere. Sull’altro lato del fiume apparve un uomo. Era fermo, la guardava. La donna non avrebbe saputo dire da quanto tempo fosse lì, ma il suo sguardo la riscaldava, sentiva di averlo già incontrato. Lui la vedeva, non come l’ubriaco. Lui leggeva il suo animo, le minuscole cicatrici che portava con sé, vedeva le piccole striature di dolore di colore rosso sbiadite dal tempo, indelebili, il blu dei suoi sorrisi rari e poi quelli finti in viola e il verde opaco della speranza gettato tra le vene sotto i piedi. Lei si sentiva nuda come mai nella vita. Provava a restituire lo sguardo, con i suoi occhi neri che a lui sembravano libri aperti. Ma lei faticava. Non perché non avesse forza, ne aveva, ma lui le neutralizzava la necessità di usarla.
La donna sentiva il brivido degli occhi dell’uomo su di lei dare senso a ogni ferita e a ogni sorriso. Quelle del passato, del presente e del futuro, fino a vibrare dentro quella nicchia, vuota e incolore a forma di cuore all’altezza del petto dove la donna non aveva più messo nulla. L’uomo vedeva quel vuoto e lei se ne vergognava perché lei il cuore lo aveva lanciato verso mondi lontani e nessuno mai glielo aveva restituito intatto.
Gli occhi dell’uomo guardavano le mani sporche di terra della donna. Parole silenziose scorrevano tra i due in un dialogo che nessuno oltre loro avrebbe potuto ascoltare.
Sui due lati della sponda, nel mezzo, il fiume cresceva ancora. Piogge torrenziali a Nord gonfiavano di acqua il letto del Danubio. La donna iniziava a tremare, ma l’uomo non si mosse e con gli occhi si limitò a dirle di non avere paura. E lei si fidò. Lui estrasse una conchiglia dalla tasca. Era grande. Aveva le dimensioni del pugno di un bambino, la mosse con cura, il colore era quello del sole alla prima alba. La lanciò alla donna. Lei non ebbe bisogno di afferrarla, prima giurò di sentire l’eco del fiume che sfocia nel mare, poi un battito. La conchiglia finì il suo volo di pochi metri dentro la cavità arteriosa della donna, incastonandosi all’altezza del petto.
Lei vide il suo corpo colorarsi, fiumi di sfumature di tutti i colori, migliaia di tonalità accese le irradiarono il volto, il giallo l’argento il rosa e tutti gli altri colori immaginabili, poi il corpo si colorò fino a riempirla. Provò un caldo piacere seguito da un brivido. Poi alzò gli occhi.
Dall’altra parte del fiume l’uomo non c’era più. Un’onda delicata, priva di urgenza e seguita da un tintinnio, sciolse il solco di terra prova del suo passaggio.