Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Sono una strega” di Roberta Selan

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Io sono una strega. Chissà, forse dovrei metterci un punto di domanda…E’ che non ne sono molto sicura, è una specie di sospetto che, anno dopo anno, va rafforzandosi nell’immaginario della mia testa, supportato da fatti concreti ed imprevedibili eventi. Attenzione, non sono per nulla entusiasta di questa eventualità, anzi, mi preoccupa non poco, visto che l’umana rabbia a volte è difficile da controllare e che, in preda alla collera, non ti rendi certo conto di che tipo di strali mandi, e a chi: resta il fatto che, se una può essere l’eccezione che conferma la regola e due possono essere le coincidenze, alla terza che capita cominci a chiederti se effettivamente sia poi tutto così casuale.

Il primo ricordo che posso associare all’idea che mi sono fatta nel tempo, risale alla mia infanzia: avevo solo nove anni e allora, coi miei occhietti di bimba innocente, tutto mi sembrò “incredibile”, “magico”, e anche decisamente “spaventoso”. Ero nella cucina della nonna, in un pomeriggio di piena estate; i miei erano in vacanza e io ero contenta di starmene un po’ in campagna, fra conigli, gatti, cani e fiori d’ogni sorta. La nonna stava riposando e io stavo ascoltando alla radio il mio programma preferito: era il tempo delle prime radio libere, trasmettevano un sacco di bella musica. Era da giorni che con il mio registratore nuovo cercavo di incidere su nastro quella meravigliosa canzone di Kate Bush, ma ogni volta che la facevano ascoltare e che io accendevo il microfono, immancabilmente il canarino della nonna cominciava a cantare a squarciagola rovinandomi la registrazione. Mi andò male un giorno, il secondo e anche il terzo consecutivo: non ne potevo più, non so cos’avrei fatto pur di far tacere per tre minuti soltanto, cioè il tempo di una canzone, quel dannato uccellino! Dopo qualche giorno, quando ormai mi ero praticamente arresa, sentii annunciare per radio quel brano e provai a registrarlo per l’ennesima volta: incredibile ma vero, tutto filò liscio, il canarino non si esibì in un solo gorgheggio e l’incisione giunse intatta al termine. Alquanto sorpresa, voltai soddisfatta lo sguardo verso l’alto, là dove stava la gabbietta, ma mi accorsi che tutto era troppo immobile. Presi una sedia e ci salii sopra per controllare cosa stava succedendo: Cip era tutto ripiegato su se stesso, con la testolina dentro la vaschetta dell’acqua, non si muoveva e non respirava più.

Due estati dopo passai un mese intero in campagna dalla nonna, questa volta insieme alla mia compagna di classe Martina. Eravamo molto amiche, compagne di banco fin dalla prima elementare: le maestre avevano provato a separarci, ma noi eravamo talmente affiatate e legate da ritrovarci sempre, come due sorelle.Lei era l’esatto opposto di me e forse proprio per quello andavamo d’accordo; tanto io ero riflessiva, introversa, incline al leggere, allo scrivere, alla musica, all’arte e a tutto ciò che è astratto, altrettanto lei era pratica, svelta nel fare le cose, impulsiva, attratta da ciò che si tocca e si vede. Quando però mia nonna cominciò a tormentarmi col fatto che lei sapeva cucinare e io no, che lei lavava i piatti e io non l’aiutavo, che lei era brava in tutte le faccende domestiche e io non sapevo tenere in mano una scopa, il rapporto cominciò ad incrinarsi; vedevo che Martina mi stava soffiando l’ammirazione e l’affetto della nonna, a causa fra l’altro di aspetti della vita quotidiana che non mi interessavano allora e che non mi avrebbero mai particolarmente attratta nemmeno in futuro, e questo mi dava un gran fastidio: era proprio necessario fare continuamente confronti fra di noi? Non potevamo rimanere amiche e basta? Un pomeriggio, quando mi resi conto che la mia compagna del cuore e mia nonna stavano ridendo di me, per un attimo sentii forte il desiderio di metterle le mani al collo e stringere, stringere fino a non permetterle più di ridere…Finita la scuola media prendemmo strade diverse e ci perdemmo di vista. Comuni amici mi dissero però che Martina, dopo un fortissimo esaurimento nervoso, non fu più la stessa e che passò gli anni più belli della sua giovinezza fra cliniche specializzate e sedute psichiatriche.

Intorno ai miei vent’anni, andai per diverso tempo a cantare in un’orchestra di liscio: guadagnavo pochissimo a serata, ma mi divertivo molto lassù sul palco insieme agli altri, e poi uno del gruppo era così dannatamente carino…! Sembrava andare tutto bene e quindi, quando il leader della band, batterista e cantante, mi diede la notizia a bruciapelo e senza alcun preavviso, fu un vero fulmine a ciel sereno. “…Questa è l’ultima serata che fai  con noi, da domani abbiamo un’altra cantante…”. Perché? Cosa avevo fatto di male per meritarmi la sostituzione? Non mi diede mai una spiegazione, si trincerò dietro la frase “è stata una decisione presa di comune accordo”, quando invece scoprii che era stato lui ad imporre al resto del gruppo una sua amica come nuova cantante, nonostante alcuni fossero di parere contrario. Mi misi il cuore in pace, pensai che probabilmente aveva un fisico più asciutto e slanciato del mio e, si sa, anche l’occhio vuole la sua parte…Quando però li andai a vedere nella nuova formazione e mi resi conto che la mia sostituta era “una barca” e che la sua voce non era per niente migliore della mia, mandai al mio ex-capo tante di quelle maledizioni da esaurire tutto il repertorio conosciuto. Dieci anni dopo, brillo dopo una serata ad una sagra, finì fuori strada con la sua auto e morì sul colpo.

Qualche tempo dopo mi presi una cotta per un ragazzo, un vicino di casa: era biondo, alto, atletico, principesco ai miei occhi; stava da tempo con una ragazza che anch’io conoscevo bene, ma in fondo, che male c’era a provarci ugualmente? Non erano mica sposati! Un giorno, non avendo il coraggio di affrontarlo di persona, gli scrissi una lunga lettera, tirando fuori dal cuore tutto ciò che provavo per lui: nelle mie intenzioni sarebbe dovuto rimanere un segreto tutto nostro, sia che fosse stato un sentimento ricambiato da parte sua, sia che fosse invece andata male per me. Lui invece si dimostrò molto insensibile in quell’occasione, fece leggere la lettera alla sua ragazza, la quale la passò a sua volta a sua sorella e poi a sua madre: il risultato fu un autentico disastro, la famiglia della ragazza non mi rivolse più la parola e arrivò addirittura alle minacce fisiche, se avessi cercato ancora di mettermi fra di loro. Era necessario umiliarmi così per una semplice dichiarazione d’amore? Non poteva rispondermi tranquillamente che era innamorato della sua ragazza e che non era interessato a me, senza scatenare tutto quel putiferio? Dentro di me, non riuscii mai a perdonarlo per questo suo modo assurdo di comportarsi. Dieci anni dopo, sposato e padre di una bellissima bambina, morì colpito da una malattia che non lascia scampo.

In quegli stessi anni mi ritrovai a vivere un meraviglioso rapporto d’amicizia con una ragazza di un paio d’anni più grande di me: eravamo unite dalla stessa passione per la bicicletta, così passavamo ore ed ore insieme, pedalando vicine per le strade del mondo e raccontandoci tutto, ma proprio tutto di noi. Era la sorella che non ho mai avuto, un porto a cui attraccare nei momenti di burrasca della vita, eravamo l’una il sostegno dell’altra e sembrava che nulla potesse separarci; un giorno però lei si innamorò di un ciclista professionista, cominciò a fare le sue pedalate con lui, a confidargli tutto ciò che prima diceva a me, ed io finii pian piano per scomparire. Ero gelosa del tempo che passavano insieme, questo mi portò a comportarmi male con loro in alcune occasioni d’incontro e così lei decise di troncare. Quando mi resi effettivamente conto che a sbagliare ero stata io, un giorno mi feci coraggio e andai a bussare alla porta di casa sua col cuore in mano, chiedendole umilmente “scusa”; lei mi ascoltò sull’uscio, senza nemmeno farmi entrare, e poi mi rispose seccamente “non mi interessa più la tua amicizia, tornatene a casa…”, sbattendomi la porta in faccia. Cinque anni dopo, la mia ex-amica durante un allenamento finì con la sua bici da corsa sotto un camion: morì in ospedale dopo due settimane di coma profondo.

Qualche anno dopo, sempre affascinata dal mondo della musica, andai a lavorare in un negozio di dischi e strumenti musicali; la proprietaria era una signora sulla sessantina, affabile e assai raffinata, che in gioventù era stata una discreta cantante jazz e che, una volta scesa dai palcoscenici e divorziata dal suo ricchissimo marito, aveva deciso di aprire quel genere di attività, proprio per “restare nel giro”. Nel negozio lavorava anche un bravissimo pianista, fantastico venditore di strumenti capace di dimostrare praticamente ai potenziali clienti la bontà della tastiera alla quale si stavano interessando; nonostante lui fosse di quindici anni più giovane della signora, fra i due c’era stata una relazione durata cinque anni, poi sfumata in amicizia. Io, affascinata da quel musicista brizzolato e così in gamba, non ci misi molto a perdere la testa per lui; cercammo di tenere nascosta il più a lungo possibile la nostra storia, ma quando il capo se ne accorse, con una banale scusa licenziò lui e, cambiando palesemente atteggiamento nei miei confronti, mi indusse presto a dare le dimissioni. Cosa avevamo fatto di male, dal momento che loro due si erano già lasciati da un pezzo? Perchè era ancora così gelosa e possessiva nei suoi confronti? Due anni dopo venni a sapere che, dopo il fallimento della sua attività, si era ammalata di un male incurabile e se n’era andata in poco tempo.

E il mio bel musicista brizzolato? Mai fidarsi dei musicisti e degli artisti in genere, non sono proprio affidabili! Dopo due anni e mezzo di un rapporto da sogno, un giorno mi mandò una e-mail, scrivendo che era stanco di me, della nostra relazione e che per lui era finita. Feci di tutto per incontrarlo di persona: com’è possibile lasciare qualcuno che hai amato tramite posta elettronica? Esiste per caso un modo più squallido? Niente da fare, cambiò città, aria e non lo vidi mai più.

L’altro giorno però, sono venuta a sapere che un paio di mesi fa, dopo essere rientrato in città, ha sfondato con la moto il parabrezza di un “suv”: pare che al momento sia in ospedale e che non se la stia passando molto bene…

Potrei raccontarvi molte altre storie come queste, ma ce ne sono alcune che mi fanno ancora male, ed altre che forse non meritano attenzione: so comunque per certo che la persona che anni fa mi ha “mancato di rispetto”, violandomi nell’intimo, se n’è andata a causa di un infarto improvviso, lasciando la giovane moglie da poco sposata, e questo è per me motivo di enorme sollievo, perché so che non potrà più fare del male a nessuno come l’ha fatto a me…

E’ anche vero che un giorno, non molto tempo fa, una collega d’ufficio ha parlato male di me col capo alle mie spalle, cosa che mi ha fatto letteralmente imbestialire, e quando è tornata a casa dal lavoro si è trovata la casa allagata a causa di una tubatura rotta, com’è anche verissimo che un automobilista che da poco, correndo come un pazzo, mi aveva sorpassata rischiando di buttarmi fuori strada, e a cui avevo amorevolmente strillato dal finestrino “…Che ti possa scoppiare uno pneumatico!”, me lo sono ritrovato due chilometri dopo spalmato sopra un platano, pare a causa dello scoppio improvviso di una gomma, ma forse sono prove poco attendibili. Io da quel giorno, quando qualcuno mi fa uno sgarbo in macchina lungo la strada, al posto del solito “cornuto!”, o di qualche altro più gettonato insulto, preferisco ripetere la mia originale imprecazione coniata in quell’occasione, facendo ridere come pazzi tutti quelli che mi siedono accanto, però non ho più avuto modo di constatare visivamente se i miei strali hanno colpito nel segno oppure no…

Una sola persona, finora, si è salvata nonostante le mie ripetute maledizioni, ma si tratta di una storia recente, c’è ancora tempo…E’ una donna che, in perfetta malafede, ha cercato in tutti i modi di distruggere il mio matrimonio: abita lontano da qui ma, per quanto ne so, è ancora in ottima salute, nonostante sia stata piantata dal compagno, abbia perso il lavoro e sia stata sfrattata.

Una cosa ci tengo a precisare: io non ho mai augurato del male fisico a nessuno, è successo e basta.

Ora che siete giunti al termine di questo mio racconto, potreste tranquillamente non credere a nulla di ciò che avete fin qui letto, strappare queste pagine e farci una risata sopra ma, in confidenza, non so se vi conviene : nel caso non l’aveste ancora capito, io sono una strega…

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5 commenti »

  1. Un racconto che potrebbe “far pensare” un po’ anche… la commissione esaminatrice! Non si sa mai… dovessi concentrarti su di lei!… AHAHAHAHAH!!!!
    A parte gli scherzi, una certa iella sembra la porti, anche se io non credo a certe cose!
    Racconto, comunque, che scorre bene.

  2. Caro Cesare, io non porto iella, non ho detto questo e non lo penso affatto. Sono circondata da un sacco di amici che mi vogliono bene e che mi stanno volentieri intorno. Le persone che portano iella non esistono: basti pensare alla poverra Mia Martini a cui hanno rovinato la vita con decenni di assurde e mai provate maldicenze… Ho solo fatto una constatazione: le persone che “volontariamente” mi hanno fatto del male, non hanno avuto modo di godere delle loro gratuite cattiverie nei miei confronti, tutto qui. Quindi sia tu che la giuria di questo bellissimo premio non avete proprio nulla di cui preoccuparvi, dal momento che sono da sempre convinta che la critica costruttiva aiuti a crescere e che nessuno di voi voglia farmi del male. Certo, in chi legge un dubbio potrebbe comunque rimanere: quello che ho scritto me lo sono inventato o è verità? Grazie per la tua attenzione e il tuo commento.

  3. Scusami, Roberta, ma mi rifaccio alla tua stessa ultima considerazione: “Certo, in chi legge un dubbio potrebbe comunque rimanere: quello che ho scritto me lo sono inventato o è verità?”.
    Sotto sotto speravo che tu non portassi iella, anche se, come ho detto, a certe cose non credo proprio!
    Quindi, sono contento così!

  4. Selan è quasi l’anagramma di Salem, ma a parte gli scherzi, debbo dire che questo racconto mi ha intrigato sopratutto per il suo oscillare tra il serio ed il faceto. Le conseguenze, subite da coloro che incrociano le strade percorse dalla protagonista ed entrano dunque con lei in rotta di collisione, hanno il carattere della drammaticità, ma con la sua modalità descrittiva l’autrice ridimensiona tali contenuti tragici, riportando infine il racconto alla sua dimensione ludica. conduce il lettore dentro il suo racconto e scherzosamente lo allerta sul fatto che potrebbe farne a sua volta parte attiva. Detto questo trovo che le conseguenze nefaste descritte, così enfatizzate ed oltremodo volutamente esagerate per numero e portata, siano un buon esercizio di ironia e contribuiscano a combattere certe forme deleterie di irrazionalità. A proposito: Cime Tempestose di Kate Bush è sempre una gran bella canzone, piace ancora a tanti, eccetto ai canarini.

  5. Grazie per il tuo commento. Da insegnanti condividiamo la stessa preoccupazione per le sorti dei ragazzi di oggi spesso così crudeli, ma nello stesso tempo fragili e alla ricerca continua di conferme. Complimenti per il tuo racconto.

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