Premio Racconti nella Rete 2023 “Il sortilegio spezzato” di Monica Curtaz
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Esisteva una dimora nascosta tra i boschi, sorgeva
all’interno di un tumulo somigliante a un dolmen celtico.
Essa respirava, divorava, rigurgitava ed era abitata da
un’anima nera.
Era inaccessibile al semplice viandante, ma appariva
dal nulla ai cuori incontaminati, si alimentava dell’ingenuità
infantile, scorgendo in essa il bene più sincero e senza
malizia.
Si manifestava, attraverso un sortilegio, nelle sue
sembianze più attraenti, luminosa e accogliente, per
apparire poi nelle sue reali spoglie, stanze buie e umide a
ingurgitare le anime più candide.
Rapiva la purezza e vomitava l’orrore, il bambino ignaro
affrontava le tenebre e ne restava avvinghiato a vita,
prigioniero del male, l’antro maligno assorbiva la
giovinezza per avvizzirla e renderla anch’essa distruttiva.
***
Matteo di cinque anni e Giacomo di sei erano fratelli, in
un radioso giorno di sole estivo con i loro amici Antonio,
Pietro e Gabriella, tutti su per giù della stessa età, decisero
di andare a ispezionare il fiume, era un azzardo, i genitori li
avevano avvisati di non avvicinarsi al corso d’acqua, la
stagione estiva scioglieva le nevi accumulate durante
l’inverno e le acque erano abbondanti e irruenti.
Qualche giorno prima un imponente temporale con folate di
vento impetuose aveva sradicato numerosi alberi, uno dei
quali era caduto da una sponda all’altra del fiume,
generando un ponte provvisorio sospeso sulle acque
gorgoglianti.
L’idea di raggiungere l’altra riva, utilizzando il tronco
rovesciato, era stata di Antonio, la novità lo aveva reso
ardimentoso e spronava gli amici.
-Forza fifoni, lo potremo raccontare ai ragazzi grandi!
Giacomo si fece prudente: il fratello, anche se solo di un
anno più piccolo, era una sua responsabilità, la mamma
glielo affidava ogni volta che uscivano dalla porta di casa.
Giacomo e Antonio erano i più grandi e i tre piccoli li
seguivano ovunque senza replicare e la voglia di
sperimentare di Giacomo ebbe la meglio, superò le poche
rimanenti perplessità e si decise,
-Andiamo! In che ordine?
Antonio decise di andare per primo e poi in ordine Gabriella,
Pietro, Matteo e infine Giacomo a chiudere la comitiva.
Con falsa sicurezza Antonio salì sul tronco, il quale era
abbastanza grosso, ma non doveva deconcentrarsi e
soprattutto doveva resistere all’impulso di guardare l’acqua
impetuosa sotto di lui, indeciso nei primi passi, acquistò via
via sempre più coraggio e senza difficoltà si ritrovò sulla
sponda opposta e rincuorò i piccoli.
La seconda a superare il guado fu Gabriella, era un po’
confusa e grata di avercela fatta, aveva un interesse per
Antonio e non voleva apparire come una femminuccia
piagnucolosa, ma il giorno dopo si promise di tornare a
giocare con le sue bambole in compagnia di Beatrice.
Pietro, invece, sembrava volasse su quel ponte
improvvisato, era l’atleta del gruppo, si arrampicava
ovunque, possedeva un equilibrio invidiabile e non aveva
paura di niente e in un baleno raggiunse Antonio e
Gabriella.
Era giunto il turno di Matteo, salì sul tronco e osservò la
meta, pensieroso iniziò con cautela l’attraversata, per avere
più equilibrio distese le braccia, ma si sentiva traballante, un
passo, un altro, si girò per capire quanta strada aveva fatto,
si trovava al centro, equidistante dalle sponde, quindi decise
che non valeva la pena tornare indietro, si sentiva precario
e fu allora che udì la voce di Giacomo a incitarlo,
-Forza Matteo, non manca molto, ce la puoi fare.
Matteo guardò Giacomo alle sue spalle, gli sorrise, guardò
davanti a sé Antonio, Gabriella e Pietro e sorrise anche a
loro e infine guardò giù, il torrente impetuoso, fu affascinato
dai vortici creati dall’acqua, ma nel momento in cui alzò lo
sguardo un capogiro lo vinse, alzò una gamba per
riacquistare la posizione, ma la testa girava e gli fece
perdere l’equilibrio, cadde nei flutti voraci, le onde lo
trasportavano, era seduto su di esse e all’inizio si divertì un
mondo.
Mentre Antonio, Pietro e Gabriella corsero verso il
ponte che si trovava a circa duecento metri per andare in
paese e avvertire gli adulti di correre in soccorso di Matteo,
Giacomo, terrorizzato di perdere suo fratello, corse lungo il
torrente per non perderlo di vista, il divertimento di Matteo si
tramutò in paura, iniziò a piangere, l’acqua lo sovrastava e
cercava di mantenersi a galla agitando le braccia, ma i flutti
imperiosi avevano la meglio su di lui.
Giacomo, nella corsa affannosa per non perdere di
vista Matteo, pensava e si ricordò di un punto poco distante,
nel quale il fiume si restringeva, sperava di poter
raggiungere quell’ansa prima del fratello, gli sembrava di
non sentire più le gambe, ma doveva assolutamente
trovarsi in quel punto preciso, gli doleva la testa dallo
sforzo, sentiva il cuore pulsare e scoppiargli in petto, ma le
gambe procedevano autonomamente e raggiunse il
restringimento qualche secondo prima di Matteo, nella
pazza corsa non si era accorto di aver raccolto un lungo
ramo spezzato e urlò con tutto il fiato che aveva in gola,
-Matteo, prendi il ramo, prendi il ramo, non mollare…
Matteo spossato, ormai quasi sopraffatto dalla voracità delle
acque, fece uno sforzo per emergere con testa e braccia, la
voce di Giacomo e quel legame unico e speciale che li
legava fin da piccoli aveva guidato i suoi movimenti ormai
meccanici, con la forza della disperazione intercettò il ramo
e lo trattenne prima con un braccio e poi con l’altro, il resto
lo fece Giacomo tirandolo a sé.
I due bambini erano distesi uno accanto all’altro e
sentivano il vento che accarezzava loro il viso, la sorte
aveva giocato a loro favore e quello che successe quel
giorno d’estate li avrebbe legati per sempre nel bene e nel
male.
***
Era trascorso qualche settimana dall’impresa sul fiume,
ristabilitisi dallo spavento e liberi dall’esilio tra le mura di
casa imposto dai genitori come punizione, in un pomeriggio
fresco ma soleggiato, si misero in marcia per ispezionare i
pendii che circondavano il villaggio, camminarono con
costanza e intraprendenza fino a raggiungere una radura
nel bosco, un luogo fiabesco con un tumulo al centro dello
spiazzo, si avvicinarono con circospezione e fu allora che
videro una grata che luccicava, solo pochi raggi di sole
penetravano dall’intrico di rami sopra le loro teste, Giacomo
curioso si avvicinò all’entrata, spinse la griglia, la sentì
cigolare ed entrò, una luce abbacinante proveniva
dall’interno, chiamò Matteo, il quale lo osservava da
lontano, indeciso, Giacomo gli fece cenno di avvicinarsi, ma
Matteo non volle e si sedette a terra
– Vai tu se vuoi, io ti aspetto qui.
La lezione del fiume l’aveva reso prudente.
Giacomo aveva una natura curiosa, si introdusse nella
grotta verso la fonte luminosa, gli si mostrò un giardino
incantato con frutti succosi e ruscelli di acqua fresca, gli
animali del bosco si nutrivano indisturbati, il suo pensiero fu
di chiamare Matteo per condividere con il fratello lo
spettacolo bucolico che gli veniva offerto, ma nel momento
in cui cercò di uscire, la grata di ferro con uno schiocco forte
si richiuse.
La luce fu sostituita da un buio torvo e il giardino
incantato si trasformò in una caverna umida e inospitale,
Giacomo procedette, sperando di trovare una via di fuga e
rammentò Matteo, libero dall’oscurità, l’olfatto gli si era
intriso di un maleodorante sentore di terra bagnata, mentre
cercava di abituare la vista alle fitte tenebre, un artiglio gli
agguantò un braccio, trattenendolo, cercò di divincolarsi ma
la forza di quella presa non voleva rinunciare alla nuova
preda.
Nel momento in cui, sconsolato, immaginava il peggio e
di dover abbandonare tutto ciò in cui aveva creduto, i sogni,
gli affetti, i giochi di un’infanzia appena accennata, sentì una
mano afferrargli la spalla, era una stretta confortevole , con
la vista inibita, seppe, d’istinto, che suo fratello l’aveva
raggiunto come lui aveva fatto sul fiume, si lasciò condurre
verso un’insperata uscita, nel frattempo l’artiglio che lo
tratteneva si dissolse.
Giacomo, con uno schianto violento, venne sputato
fuori dall’antro putrescente. All’esterno vide Matteo
seduto nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato, aveva
gli occhi chiusi e tremava, capì che era stato l’artefice della
sua salvezza grazie alla forza dell’unione indissolubile che li
legava, corse verso di lui e lo svegliò dal trance, si
abbracciarono, piansero e ancora spaventati si misero a
correre verso casa senza voltarsi.
***
Giunto l’autunno i due fratelli, in compagnia del papà,
andarono a raccogliere ramaglie e piccoli legni secchi per
accendere il camino, girovagando per i boschi si ritrovarono
nella radura in cui avevano vissuto come protagonisti una
incredibile fiaba nera.
Guardarono, sollevati, un masso gigantesco posto
all’ingresso della caverna rotolato lì da chissà quale luogo
magico, sul macigno un fitto cespuglio di rose selvatiche
aveva creato una gabbia di spine e fiori rosso vermiglio,
questi ultimi a memoria del sangue versato dalle ignare
vittime del buio.