Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Il sortilegio spezzato” di Monica Curtaz

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Esisteva una dimora nascosta tra i boschi, sorgeva

all’interno di un tumulo somigliante a un dolmen celtico.

Essa respirava, divorava, rigurgitava ed era abitata da

un’anima nera.

Era inaccessibile al semplice viandante, ma appariva

dal nulla ai cuori incontaminati, si alimentava dell’ingenuità

infantile, scorgendo in essa il bene più sincero e senza

malizia.

Si manifestava, attraverso un sortilegio, nelle sue

sembianze più attraenti, luminosa e accogliente, per

apparire poi nelle sue reali spoglie, stanze buie e umide a

ingurgitare le anime più candide.

Rapiva la purezza e vomitava l’orrore, il bambino ignaro

affrontava le tenebre e ne restava avvinghiato a vita,

prigioniero del male, l’antro maligno assorbiva la

giovinezza per avvizzirla e renderla anch’essa distruttiva.

***

Matteo di cinque anni e Giacomo di sei erano fratelli, in

un radioso giorno di sole estivo con i loro amici Antonio,

Pietro e Gabriella, tutti su per giù della stessa età, decisero

di andare a ispezionare il fiume, era un azzardo, i genitori li

avevano avvisati di non avvicinarsi al corso d’acqua, la

stagione estiva scioglieva le nevi accumulate durante

l’inverno e le acque erano abbondanti e irruenti.

Qualche giorno prima un imponente temporale con folate di

vento impetuose aveva sradicato numerosi alberi, uno dei

quali era caduto da una sponda all’altra del fiume,

generando un ponte provvisorio sospeso sulle acque

gorgoglianti.

L’idea di raggiungere l’altra riva, utilizzando il tronco

rovesciato, era stata di Antonio, la novità lo aveva reso

ardimentoso e spronava gli amici.

-Forza fifoni, lo potremo raccontare ai ragazzi grandi!

Giacomo si fece prudente: il fratello, anche se solo di un

anno più piccolo, era una sua responsabilità, la mamma

glielo affidava ogni volta che uscivano dalla porta di casa.

Giacomo e Antonio erano i più grandi e i tre piccoli li

seguivano ovunque senza replicare e la voglia di

sperimentare di Giacomo ebbe la meglio, superò le poche

rimanenti perplessità e si decise,

-Andiamo! In che ordine?

Antonio decise di andare per primo e poi in ordine Gabriella,

Pietro, Matteo e infine Giacomo a chiudere la comitiva.

Con falsa sicurezza Antonio salì sul tronco, il quale era

abbastanza grosso, ma non doveva deconcentrarsi e

soprattutto doveva resistere all’impulso di guardare l’acqua

impetuosa sotto di lui, indeciso nei primi passi, acquistò via

via sempre più coraggio e senza difficoltà si ritrovò sulla

sponda opposta e rincuorò i piccoli.

La seconda a superare il guado fu Gabriella, era un po’

confusa e grata di avercela fatta, aveva un interesse per

Antonio e non voleva apparire come una femminuccia

piagnucolosa, ma il giorno dopo si promise di tornare a

giocare con le sue bambole in compagnia di Beatrice.

Pietro, invece, sembrava volasse su quel ponte

improvvisato, era l’atleta del gruppo, si arrampicava

ovunque, possedeva un equilibrio invidiabile e non aveva

paura di niente e in un baleno raggiunse Antonio e

Gabriella.

Era giunto il turno di Matteo, salì sul tronco e osservò la

meta, pensieroso iniziò con cautela l’attraversata, per avere

più equilibrio distese le braccia, ma si sentiva traballante, un

passo, un altro, si girò per capire quanta strada aveva fatto,

si trovava al centro, equidistante dalle sponde, quindi decise

che non valeva la pena tornare indietro, si sentiva precario

e fu allora che udì la voce di Giacomo a incitarlo,

-Forza Matteo, non manca molto, ce la puoi fare.

Matteo guardò Giacomo alle sue spalle, gli sorrise, guardò

davanti a sé Antonio, Gabriella e Pietro e sorrise anche a

loro e infine guardò giù, il torrente impetuoso, fu affascinato

dai vortici creati dall’acqua, ma nel momento in cui alzò lo

sguardo un capogiro lo vinse, alzò una gamba per

riacquistare la posizione, ma la testa girava e gli fece

perdere l’equilibrio, cadde nei flutti voraci, le onde lo

trasportavano, era seduto su di esse e all’inizio si divertì un

mondo.

Mentre Antonio, Pietro e Gabriella corsero verso il

ponte che si trovava a circa duecento metri per andare in

paese e avvertire gli adulti di correre in soccorso di Matteo,

Giacomo, terrorizzato di perdere suo fratello, corse lungo il

torrente per non perderlo di vista, il divertimento di Matteo si

tramutò in paura, iniziò a piangere, l’acqua lo sovrastava e

cercava di mantenersi a galla agitando le braccia, ma i flutti

imperiosi avevano la meglio su di lui.

Giacomo, nella corsa affannosa per non perdere di

vista Matteo, pensava e si ricordò di un punto poco distante,

nel quale il fiume si restringeva, sperava di poter

raggiungere quell’ansa prima del fratello, gli sembrava di

non sentire più le gambe, ma doveva assolutamente

trovarsi in quel punto preciso, gli doleva la testa dallo

sforzo, sentiva il cuore pulsare e scoppiargli in petto, ma le

gambe procedevano autonomamente e raggiunse il

restringimento qualche secondo prima di Matteo, nella

pazza corsa non si era accorto di aver raccolto un lungo

ramo spezzato e urlò con tutto il fiato che aveva in gola,

-Matteo, prendi il ramo, prendi il ramo, non mollare…

Matteo spossato, ormai quasi sopraffatto dalla voracità delle

acque, fece uno sforzo per emergere con testa e braccia, la

voce di Giacomo e quel legame unico e speciale che li

legava fin da piccoli aveva guidato i suoi movimenti ormai

meccanici, con la forza della disperazione intercettò il ramo

e lo trattenne prima con un braccio e poi con l’altro, il resto

lo fece Giacomo tirandolo a sé.

I due bambini erano distesi uno accanto all’altro e

sentivano il vento che accarezzava loro il viso, la sorte

aveva giocato a loro favore e quello che successe quel

giorno d’estate li avrebbe legati per sempre nel bene e nel

male.

***

Era trascorso qualche settimana dall’impresa sul fiume,

ristabilitisi dallo spavento e liberi dall’esilio tra le mura di

casa imposto dai genitori come punizione, in un pomeriggio

fresco ma soleggiato, si misero in marcia per ispezionare i

pendii che circondavano il villaggio, camminarono con

costanza e intraprendenza fino a raggiungere una radura

nel bosco, un luogo fiabesco con un tumulo al centro dello

spiazzo, si avvicinarono con circospezione e fu allora che

videro una grata che luccicava, solo pochi raggi di sole

penetravano dall’intrico di rami sopra le loro teste, Giacomo

curioso si avvicinò all’entrata, spinse la griglia, la sentì

cigolare ed entrò, una luce abbacinante proveniva

dall’interno, chiamò Matteo, il quale lo osservava da

lontano, indeciso, Giacomo gli fece cenno di avvicinarsi, ma

Matteo non volle e si sedette a terra

– Vai tu se vuoi, io ti aspetto qui.

La lezione del fiume l’aveva reso prudente.

Giacomo aveva una natura curiosa, si introdusse nella

grotta verso la fonte luminosa, gli si mostrò un giardino

incantato con frutti succosi e ruscelli di acqua fresca, gli

animali del bosco si nutrivano indisturbati, il suo pensiero fu

di chiamare Matteo per condividere con il fratello lo

spettacolo bucolico che gli veniva offerto, ma nel momento

in cui cercò di uscire, la grata di ferro con uno schiocco forte

si richiuse.

La luce fu sostituita da un buio torvo e il giardino

incantato si trasformò in una caverna umida e inospitale,

Giacomo procedette, sperando di trovare una via di fuga e

rammentò Matteo, libero dall’oscurità, l’olfatto gli si era

intriso di un maleodorante sentore di terra bagnata, mentre

cercava di abituare la vista alle fitte tenebre, un artiglio gli

agguantò un braccio, trattenendolo, cercò di divincolarsi ma

la forza di quella presa non voleva rinunciare alla nuova

preda.

Nel momento in cui, sconsolato, immaginava il peggio e

di dover abbandonare tutto ciò in cui aveva creduto, i sogni,

gli affetti, i giochi di un’infanzia appena accennata, sentì una

mano afferrargli la spalla, era una stretta confortevole , con

la vista inibita, seppe, d’istinto, che suo fratello l’aveva

raggiunto come lui aveva fatto sul fiume, si lasciò condurre

verso un’insperata uscita, nel frattempo l’artiglio che lo

tratteneva si dissolse.

Giacomo, con uno schianto violento, venne sputato

fuori dall’antro putrescente. All’esterno vide Matteo

seduto nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato, aveva

gli occhi chiusi e tremava, capì che era stato l’artefice della

sua salvezza grazie alla forza dell’unione indissolubile che li

legava, corse verso di lui e lo svegliò dal trance, si

abbracciarono, piansero e ancora spaventati si misero a

correre verso casa senza voltarsi.

***

Giunto l’autunno i due fratelli, in compagnia del papà,

andarono a raccogliere ramaglie e piccoli legni secchi per

accendere il camino, girovagando per i boschi si ritrovarono

nella radura in cui avevano vissuto come protagonisti una

incredibile fiaba nera.

Guardarono, sollevati, un masso gigantesco posto

all’ingresso della caverna rotolato lì da chissà quale luogo

magico, sul macigno un fitto cespuglio di rose selvatiche

aveva creato una gabbia di spine e fiori rosso vermiglio,

questi ultimi a memoria del sangue versato dalle ignare

vittime del buio.

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