Premio Racconti nella Rete 2023 “Delitto sulla settantaseiesima” di Jessica Baiocchi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023
I suoi genitori erano davvero ricchi, il padre aveva aziende di vestiti lussuosi in tutto il mondo. La madre era un’impiegata contabile in uno studio amministrativo. Appena scoprì di essere incinta, lasciò il lavoro per poter stare accanto al bambino. Dopo la nascita e la crescita del figlio, decisero di andare a vivere altrove. Nuova vita.
Il bambino aveva dieci anni, quando con i genitori si trasferì a Soandal, la città dei ricchi. Era chiamata così perché in quel paese la vita era molto costosa.
Quando la videro per la prima volta, rimasero incantati; le abitazioni erano quasi identiche, l’unica differenza era il colore.
Essendo villette molto vicine, per distinguere l’una dall’altra cambiava la tinta dei muri esterni; i colori erano molto accesi, particolari, originali; una era viola, l’altra gialla, una blu e così via.
La loro casa era di colore verde pisello, faceva ridere e quando si soffermavano a vedere solo il colore dovevano ammettere che era davvero brutto, ma tutto l’insieme era stupendo, come se fosse la casa delle bambole.
Ogni proprietà era predisposta su un pezzo di terreno di circa 300 mq, in cui c’era l’abitazione stessa al centro.
Il cortile era leggermente più stretto all’ingresso e più ampio sul retro.
All’entrata dell’abitazione c’era questo portico lungo quanto l’immobile, i balconi erano posti ai lati del primo piano ed erano decorati con tantissimi fiori colorati, sembrava la città della primavera, quando si guardavano quelle case portavano allegria.
Quando si camminava lungo il marciapiede, sul ponte, si notavano le panchine predisposte in un modo specifico, la distanza era ben precisa l’una dall’altra, colori simili, ma diversi e quando ci si sedeva, si riusciva a vedere il tramonto che rispecchiava il fiume. L’acqua brillava, era bellissimo.
Dopo qualche mese dal trasferimento, il ragazzo, si fece degli amici e come persone erano davvero simpatiche e gentili, passavano i pomeriggi in un laghetto verso le colline, a pochi metri dal paese.
Ogni giorno si trovavano nello stesso posto alla stessa ora; stavano ore a parlare seduti su quel prato e altre volte si mettevano a giocare a calcetto.
Siccome erano senza rete, ebbero avuto l’idea di formare le porte con dei bastoni molto robusti e avevano sempre paura che la palla finisse nel burrone, ma non li fermava nessuno, continuavano a giocare pur conoscendo il rischio.
Ragazzi coraggiosi.
Non era una compagnia numerosa, però si ricordava di tutti quanti.
Matteo era il burlone del gruppo, aveva sempre la battuta pronta, faceva ridere tutte le volte che apriva bocca.
Aleandro era il saggio, lo prendevano sempre in giro perché in ogni discorso che faceva ci metteva sempre della filosofia.
Jacob, era chiamato “il piccolo”, gli avevano dato quel soprannome perché era il più basso di tutti, ma era tenerissimo.
C’erano anche delle ragazze con loro, Elisabetta che la chiamavano tutti Beth e Manola, Lola. La cosa più bella era che non facevano differenza tra i sessi, giocavano e parlavano sempre tutti insieme.
Ogni week end i loro genitori organizzavano grandi cene e si ritrovavano sempre in casa di qualcuno, alternandosi. Tra ragazzi e famiglie c’era un’amicizia davvero stupenda.
Una domenica pomeriggio, Marco andò al laghetto e vide Lola arrivare con una persona che non aveva mai visto prima, era bellissima.
Capelli lunghi rossi, pelle chiara e labbra carnose, ma la cosa che lo colpì furono gli occhi; azzurro ghiaccio.
Quando la vide rimase incantato; Matteo lo notò subito e fece la solita battuta
– “Marco, si è innamorato di quella nuova” -, il suo imbarazzo lo fece diventare rosso e gli diede una spinta mentre gli diceva di smetterla, la ragazza sorrise dietro le spalle di Lola; lui la vide e gli fece piacere.
Secondo Marco, la ragazza nuova aveva un sorriso formidabile, perfetto.
Lola raccontò che i genitori della ragazza morirono in un incidente e le uniche persone di cui si potesse fidare erano la sua famiglia, si conoscevano dall’età infantile, così la ospitarono, sperando di trovarle una sistemazione futura.
Si presentò dicendo di essere Ermione, un nome particolare, così Marco molto curioso, le chiese il significato e lei rispose che i suoi genitori credevano nel bene e nel male, nel Dio comune a tutti e in Satana e così decisero di darle un nome che avesse significato qualcosa di protettivo e la battezzarono come
Ermione cioè, ‘messaggero degli dèi’. Il suo nome le piaceva molto e lui sorrise senza rispondere. Da quel momento entrò anche lei nella compagnia del paese.
Uscendo insieme tutti i giorni, Marco si affezionava sempre di più alla giovane e i due; erano in sintonia, erano complici senza neanche rendersene conto.
Passavano gli anni, e in città si stava davvero bene, era un posto molto allegro e accogliente.
Una sera, era l’anniversario dei genitori di Marco, mentre lui era rimasto a casa, loro erano andati fuori a cena come tutti gli anni, ma per la prima volta quella notte pioveva a dirotto e la serata non finì come avrebbero voluto.
Marco, in lontananza sentiva delle sirene e intravedeva luci lampeggiare, ma non riusciva a capire cosa potesse esser successo, finché non lo chiamarono; erano i medici del pronto soccorso; gli avevano comunicato che i suoi genitori erano stati tamponati da un pirata della strada e anche se i soccorritori si erano messi subito al lavoro, le loro condizioni erano davvero critiche.
Il ragazzo corse subito in ospedale, ma appena arrivò, li vide bendati, sporchi di sangue, sembrava un film dell’orrore e appena provò ad avvicinarsi; il dottore gli disse che era troppo tardi ed erano deceduti, una pugnalata al cuore.
Il ragazzo piegò le gambe e si lasciò cadere, un colpo alle ginocchia, diede una botta sul pavimento, ma non poteva sentire dolore perché davanti a lui c’erano i suoi genitori morti e niente avrebbe fatto più male nel vedere il loro cadavere.
Perse la sua famiglia all’età di 18 anni e da quel giorno, dovette crescere sempre più velocemente perché vicino, non aveva nessuno.
Il tempo passava, e come tutti crescevano. I genitori diventavano anziani, i bambini adolescenti e i ragazzi adulti.
Nel crescere, più o meno, ogni ragazzo della compagnia cominciava ad avere idee diverse, gusti, passioni, desideri e sogni; così, molto lentamente, si divisero.
Matteo il burlone, scelse l’università più distante e dopo vari periodi di ’andare e tornare’, si trasferì definitivamente sulla costa orientale della Scozia, ad essere più precisi andò a Edimburgo, mandava messaggi per tener aggiornati i ragazzi, ma dopo un periodo non scrisse più.
Aleandro, il saggio, in compagnia diceva che sarebbe diventato qualcuno di molto importante, voleva seguire le orme del padre che era uno scrittore molto famoso ed effettivamente ci riuscì. Diventò un inventore in un’azienda a Tokyo, la capitale del Giappone e anche di lui, improvvisamente non si seppe più niente. Poi c’era Jacob, il piccolo, come adoravano quel ragazzino e quando disse che sarebbe stato un viaggiatore, pur facendo piacere nel sentire quell’affermazione, tutti rimasero sorpresi, ma per fortuna sua, riuscì a fare ciò che aveva sempre desiderato. Agli inizi mandava tantissime cartoline di ogni città che visitava, i ragazzi anche se solo in foto avevano visto: Berlino, Roma, Firenze, Londra, il Cairo, il Madagascar e altri tantissimi paesi, ma anche lui, piano piano scrisse sempre meno, fino alla sua scomparsa.
Elisabetta aveva deciso di rischiare, investì in un Hotel a cinque stelle a Buenos Aires e anche se non aveva dato sue notizie da subito, le pubblicità sui social parlavano da sole, erano infinite, aveva fatto un successo estremo.
Lola, era una persona molto vanitosa, lo era sempre stata e si era lanciata nel mondo della moda. Da quando si trasferì a Parigi, nel giro di un anno era riuscita ad aprire tre grandissime case di alta moda, ma anche di lei, dopo un po’, nessuna traccia. Probabilmente aveva così tanto lavoro che gli amici li mise da parte fino al dimenticarsene.
La compagnia del paese si sciolse, causa obbiettivi o successo, si divisero e di loro restò solo un bellissimo ricordo.
Marco ed Ermione rimasero in paese, il loro legame era molto stretto e decisero di andare a vivere da lui che rimase l’unico proprietario di quella casa verde pisello. Casa ereditata insieme a tutta la ricchezza dei genitori.
I giorni passavano, vedevano il tempo scorrere, le persone morire, cambiare e quando le persone cambiano la bellezza che c’era, non ci sarebbe più stata.
Vedevano arrivare nuovi vicini, nuovi bambini, nuove regole, nuovi colori.
Quei vicini erano tutti precisini da far venire quasi il voltastomaco e quando si incrociavano per le strade, davano l’impressione di essere i migliori, come se si sentissero superiori.
A Marco la cosa che più lo disturbava erano i pettegolezzi, era un continuo parlare di tutti. Quando andava dal panettiere o a fare una passeggiata, vedeva quel gruppetto di oche spettegolare. Era diventata la città dei ricchi pettegolezzi.
Una domenica mattina Marco ed Ermione erano sull’attico, seduti sulle loro sedie a dondolo e videro arrivare una macchina color grigio metallizzato, era estremamente elegante e bellissima. La videro parcheggiare nella casa di fronte alla loro e molto incuriositi di chi fosse sceso da quell’auto, continuarono a guardare finché videro un uomo bello, composto e quando Ermione lo riconobbe, si bloccò.
Quell’uomo si girò in quel preciso momento in cui lei lo stava fissando, lui la vide e tirandosi delle arie disse che l’ultima persona che avrebbe voluto vedere era proprio lei, ma che era diventata una bella donna. Ermione gli diede le spalle e si mise a correre verso l’ingresso di casa. Marco guardò l’uomo con aria di conflitto e poi andò subito da lei per cercare di capire quale fosse il problema; la trovò chiusa in bagno e gli chiese cosa fosse successo e lei rispose che quell’uomo fu stato il suo primo amore, ma l’aveva messa in imbarazzo d’avanti a tutta la scuola e da quel momento ha sempre cercato di aggirarlo il più possibile. Era una di quelle persone leader da evitare. Avevano chiuso subito il discorso perché vedeva che lei ci stava ancora male e non voleva insistere più di tanto.
Le giornate proseguivano e quel conflitto tra Marco e l’uomo senza nome era continuo. Ogni volta che si incrociavano, lo sguardo parlava da solo.
La loro routine era quasi sempre la stessa fino a quando nacque il loro primo e unico genito. Il nome l’aveva scelto Ermione, seguendo le orme dei genitori aveva deciso di dare al figlio un nome con un significato importante e lo
battezzarono come ‘Asher che vuol dire benedetto’, Marco lo soprannominava sempre Ash. Il figlio cresceva bene, loro erano davvero dei genitori pazienti, ma purtroppo vivevano sempre in quella cittadina circondata da ricchi viziati e non avrebbero mai potuto far qualcosa per provare a cambiare la situazione.
Marco era affezionato a quella casa, pur parlandone più volte con sua moglie, il solo pensiero di trasferirsi e lasciare la villetta dove era cresciuto con i suoi genitori lo faceva piangere. Ermione non ha mai voluto insistere con il discorso del trasferimento perché aveva capito che lui non se ne sarebbe mai andato siccome aveva un valore affettivo e quindi, nel bene e nel male, continuarono a vivere a Soandal.
Asher era un ragazzo in forma e a scuola era davvero molto bravo.
Fin da bambino non amava stare in giro con le persone della sua età, preferiva aiutare la madre nelle faccende domestiche oppure giocare in cortile a pallone con Ermione e Marco. Era un ragazzo solitario, amava leggere e passava le giornate quasi sempre in camera sua, ma era una persona molto in gamba.
Con il passare del tempo si era affezionato tantissimo a sua madre, gli raccontava cosa faceva a scuola, se gli piaceva una compagna di classe, le chiedeva consigli sul modo di vestire, erano diventati inseparabili.
Nel vederli insieme erano stupendi e man mano che Asher cresceva sembrava che cominciassero ad essere quasi telepatici. A Marco veniva da ridere perché durante la cena, senza farlo apposta, Ermione ed Asher si mangiavano le parole durante un dialogo ed erano arrivati a sfidarsi di chi diceva la parola corretta.
Era un ridere continuo, le serate erano indimenticabili.
Marco con il passare degli anni notava che il figlio cresceva, ma la cosa che più lo rattristiva era il vedere l’allontanarsi dalla madre, non giocavano più in cortile, lui preferiva leggere i fumetti in camera sua e quando capitava andava a fare delle camminate. Il padre non era una di quelle persone insistenti, non gli piaceva chiedere sempre la stessa cosa più volte perché era convinto che si sarebbe arrivati ad una discussione, preferiva lasciare le cose com’erano, ma come uomo era davvero gentile e disponibile. Per il figlio era sempre stato presente, però non avevano un rapporto come quello con la madre, ma era felice di vedere che erano una famiglia unita.
Erano circa le 7:30 di mattina quando Marco era uscito per fare delle commissioni e mentre faceva i suoi giri, pensò di fare una sorpresa al figlio, lo chiamò al telefono per dirgli che sarebbe passato da casa a prenderlo per portarlo a scegliere il regalo per il suo compleanno, gli disse anche di avvertire
Ermione dicendole di non aspettarli per pranzo, e aggiunse che l’avrebbe aspettato direttamente in macchina quando sarebbe stato sotto casa.
Asher tutto contento cominciò a prepararsi e quando arrivò il padre andò con lui. Rimasero fuori diverse ore, era una di quelle giornate da soli uomini.
Andarono nel centro commerciale più grande di tutta la città, poi a pranzo in pizzeria e infine nel negozio di scarpe sportive.
Asher quel giorno aveva fatto spendere una fortuna a suo padre, ma entrambi erano felici di aver passato una giornata come quella.
Quando tornarono a casa andarono subito dalla madre per farle vedere tutti i regali che il figlio aveva preso, ma non vedendola pensarono che fosse sul retro e quando aprirono quella porta enorme di vetro, che dalla cucina si affacciava in cortile la videro, era lì; era stesa sopra una pozza di sangue.
Marco andò subito da lei piangendo come un disperato e urlò ad Asher di chiamare qualcuno. Il ragazzo confuso andò a chiamare la polizia e quando arrivarono, tutto il vicinato si avvicinò, e l’uomo senza nome disse quella frase così stupida – “oh, qui c’è cascato il morto!” – Marco appena sentì quelle parole, corse verso lui e gli diede un pugno sul viso.
Arrivata la polizia, gli agenti si misero a correre verso i due uomini, dovevano dividerli prima che peggiorasse la situazione e quando li raggiunsero, li fecero allontanare l’uno dall’altro, un agente disse all’uomo senza nome che non c’era niente da vedere e di entrare in casa.
Mentre stavano tenendo ancora fermo Marco si presentarono dicendo di essere Davide e Francesco.
Nello stesso momento, un agente gli chiese cosa fosse successo, doveva capire un po’ di più sull’accaduto, e Marco rispose che quando lui e suo figlio tornarono a casa non videro Ermione, pensarono che fosse nel cortile come sempre ed era distesa in mezzo al sangue e subito dopo averla vista, Asher ha proceduto a chiamare le forze dell’ordine.
Dopo aver ascoltato Ermes, l’agente Davide gli disse che poteva stare tranquillo perché si sarebbero occupati loro di tutto, disse quella frase per farlo tranquillizzare un attimo in un momento come quello, senza ammettere l’agitazione che aveva l’agente stesso.
Il padre titubante allungò il braccio verso il figlio, per fargli capire di avvicinarsi a lui e appena lo raggiunse si misero in un angolo.
Non fecero nulla, in silenzio osservavano attentamente i movimenti degli agenti. Nel frattempo, Francesco disse al collega di occuparsi di loro mentre lui sarebbe andato a visionare l’immobile.
Appena entrò in casa, si accorse che l’ingresso dell’abitazione era libero, era in ordine, non sembrava esserci stato nessun litigio o ladro, provò a fare un giro sbrigativo e quando stava per andare in soggiorno, sentì una donna urlare, Francesco corse subito verso l’esterno per dare una mano al collega, pensava fosse successo qualcosa, ma appena arrivò vide una donna che urlava come una pazza contro Marco. Disse una frase davvero sconvolgente – “la principessina è morta? Povera, come mi dispiace”. Era uno di quei commenti davvero poco gradevoli, soprattutto in quella circostanza. La situazione stava sfuggendo di mano così Davide chiamò i rinforzi. Non avrebbero mai potuto lavorare con dei guardoni e criticoni nelle vicinanze. Appena arrivarono altri agenti, Davide e Francesco dissero di tener controllata la situazione esterna, mentre loro sarebbero andati in casa a visionare l’immobile.
Quando entrarono convinti che non ci fosse stato nessuno, si divisero; Davide andò al piano superiore e Francesco sarebbe andato a controllare il piano terra.
Sembrava tutto tranquillo, non c’era nulla fuori posto e mentre l’agente andò verso il cortile sul retro, si trovò davanti a una porta molto grande di vetro, la porta era aperta, decise di chiamare Davide con la radio per chiedergli se riuscisse a coprirgli le spalle, pensò che sarebbe stato più facile nel caso avessero trovato sorprese. Quando Davide lo raggiunse ed entrambi si avviarono verso l’esterno dell’abitazione.
Mentre Davide stava coprendo le spalle a Francesco, lui si incamminò e si accorse che c’era un corpo poco lontano dalla porta, si guardarono e con molta cautela provarono ad avvicinarsi e videro una donna in posizione supina sopra una pozzanghera di sangue, la donna sembrava illesa, ma più avanzavano verso di lei più avevano la sensazione che qualcosa non andasse.
Raggiunto il corpo si accorsero che il sangue era concentrato nella zona alta, sotto la nuca e avviandosi verso la pozza, pur mantenendo le distanze corrette, notarono un coltello sotto i lunghi capelli rossi del cadavere.
Gli agenti non toccarono niente, non era loro il compito di valutare le condizioni di quella povera donna, anche se a primo impatto, si capiva benissimo che si trattasse di un omicidio.
Continuando ad osservare il corpo, raggiunsero l’addome e si accorsero che non c’era una minima macchia di sangue; quindi, quella parte del corpo sembrava totalmente illesa, ma quando l’agente Davide si avvicinò alle gambe, notò un segno particolare sul polpaccio destro, osservando attentamente vide qualcosa simile a un livido, quel colpo era stato causato da una botta molto forte; era di colore rosso tendente al violaceo. Davide chiamò subito la squadra mobile per avvisarli dell’emergenza, ma soprattutto per procedere con la segnalazione di un omicidio all’interno di una proprietà privata. Appena risposero dal centralino disse: “sono l’agente Davide Rossi, siamo in centro città, in viale Mazzini 76 e c’è un corpo di una donna con una ferita da un’arma da taglio, capello lungo rosso, bianca, mandate qualcuno”.
Francesco decise di andare da Marco per chiedergli chi fosse quella donna e lui disse che era sua moglie e la madre del ragazzo.
Nell’attesa dell’arrivo della scientifica, il padre molto preoccupato strinse a sé il figlio e gli disse di stargli il più vicino possibile, non voleva assolutamente perderlo di vista e cominciò a fare domande all’agente; chiese se sapessero qualcosa e cosa avessero visto, l’agente molto professionale gli rispose che per il momento non poteva dare nessun tipo d’informazione, disse solo che avrebbero dovuto far intervenire il detective con la sua squadra e che loro sarebbero stati solo di supporto.
Quando arrivarono i rinforzi Marco, non riusciva a capire cosa stesse accadendo realmente; vedeva tutte quelle volanti con i lampeggianti accesi, le persone curiose a fissare la sua casa, si sentiva totalmente spaesato, confuso.
Appena scesero altri agenti dalla volante, si attivarono immediatamente nel distanziare le persone curiose e mentre si assicuravano che nessuna persona avanzasse verso l’abitazione arrivò il medico legale per controllare il cadavere e stabilire l’ora e la causa del decesso. Quando si avvicinò alla vittima vide che poco distante c’erano diversi agenti attorno al corpo, ma lui aveva bisogno di muoversi liberamente e chi era vicino al cadavere si sarebbe dovuto allontanare; così avvisò subito di lasciare la zona perché doveva lavorare e ci avrebbe messo del tempo. Il medico partì subito nel controllare il corpo e si accorse che nella parte alta del collo c’era un taglio, il sangue era uscito da quella ferita molto profonda, il primo pensiero fu morte per emorragia, continuando i controlli non vide altre ferite e cominciò a spostarsi verso la parte bassa, vide quel livido; sapeva benissimo che avrebbe dovuto esaminare con più attenzione il corpo, per il momento erano ipotesi non concrete. Dopo aver valutato velocemente la donna morta, il medico confermò che fu un omicidio, l’agente disse a Marco che sua moglie era stata assassinata e la casa doveva essere isolata fino al termine delle indagini, ma prima di lasciarli andare, fece prendere dai colleghi i loro dati, dovevano comunque essere segnalati essendo parenti stretti del cadavere e gli ultimi ad avere visto la donna viva. Appena finirono con tutte le procedure, Marco pensò che la cosa migliore da fare fosse andare a stare nell’albergo che si trovava vicino casa, sperando che quella sistemazione fosse solo momentanea e con una durata di pochi giorni.
Nello stesso momento in cui salirono in macchina, arrivò il detective Cristian con la scientifica che non fece neanche caso a Marco e al figlio, voleva solo vedere la donna e capire cosa fosse successo.
Il detective era uno di quegli uomini molto composti, gli piaceva ascoltare senza intervenire in modo eccessivo, non amava intromettersi in faccende che non lo riguardavano, ma era appassionato di enigmi e quindi era diventato un esperto in omicidi, non era un uomo di molte parole, ma nel suo lavoro era unico.
Gli agenti stavano procedendo con l’isolamento della casa; intorno alla recinzione misero dei cartelli con scritto di non oltrepassare e attorno alla casa misero del nastro per far capire che la zona era sotto sequestro da quel preciso momento.
Il detective Cristian si avvicinò al medico legale che si trovava sulla scena del crimine e mentre stava sistemando la sua attrezzatura disse che la donna morì tra le 9:00 e le 11:00 di quella mattina e probabilmente la morte fu stata per emorragia causata dalla ferita sul collo e aveva perso una grande quantità di sangue, l’arma usata era un’arma da taglio. Il livido sul polpaccio destro non sembrava post morte, ma per avere certezze, doveva esaminare il cadavere facendo l’autopsia; solo in quel modo avrebbe potuto avere conferme sul decesso e capire se il livido fosse stato causato prima o dopo la morte.
Aggiunse che se ci fosse stato altro, si sarebbero sentiti, il detective lo ringraziò e pensò a come possa aver sofferto la vittima prima di morire.
Il detective cominciò a controllare attentamente la zona. Il cortile era molto curato, probabilmente la famiglia era molto attenta nel prendersi cura delle cose, il primo indizio era un’arma da taglio; un coltello sporco di sangue.
Avvicinandosi alla pozza, cominciò a guardare il terriccio, prestava molta attenzione all’osservare a cosa ci fosse attorno al corpo, molto lentamente lo sguardo vagava, cominciò ad allargare la prospettiva dell’omicidio finché, vicino a quello scalino che portava all’interno della casa, vide un’impronta, purtroppo era poco chiara, appena la notò si avvicinò e chinandosi, per avere conferme, affermò che era un’impronta di una scarpa. La suola sembrava molto consumata, ma si vedeva un piccolo segno più scavato dalla parte opposta, ma non era certo che il suo pensiero fosse corretto. Chiamò subito i colleghi della scientifica che si misero a fare un controllo sbrigativo e avevano ipotizzato una scarpa da uomo o se fosse stata donna, sarebbe stata una donna molto alta perché il numero sembrava tra il 40 e il 45, ma avrebbero dovuto dare le conferme; il detective disse di fare il calco all’impronta e poi procedere ai controlli quando sarebbero arrivati in laboratorio.
Quando finirono, Cristian cominciò a guardarsi intorno finché notò quell’angolo, c’era qualcosa che aveva attirato la sua attenzione, andando verso la staccionata si accorse che c’era un mozzicone di sigaretta; era nascosto dietro l’unica pianta del cortile; per un momento fu entusiasta di aver trovato quel mozzicone e pensò che la saliva sarebbe stata utile alle indagini, fece raccogliere anche quello dai colleghi della scientifica.
Prima di recarsi in caserma per valutare un attimo la situazione, voleva dare un’occhiata alla sala da pranzo e al soggiorno. In cucina era tutto in ordine però notò che nel ceppo dei coltelli ne mancava uno, non aveva senso essere così ordinati e far vedere che gli utensili per cucinare non erano completi, pensò subito che il coltello mancante fosse proprio quello usato contro la vittima; continuando l’osservazione non sembrava esserci altro, i cassetti erano sistemati in modo perfetto e non si vedevano neanche segni di una lite così decise di recarsi in soggiorno. In quella stanza non c’era niente fuori posto era tutto sistemato, forse anche troppo, sopra a quel camino c’erano fotografie della famiglia e sulla mensola qualche oggetto poco importante per lui.
Il detective decise di andare al piano superiore e mentre percorreva le scale, notò il muro pieno di foto del figlio; la famiglia sembrava essere molto legata a lui, quelle fotografie in cui dimostravano il cambiamento del ragazzo, ogni scalino una foto del figlio che soffiava le candeline nel giorno del suo compleanno, erano commuoventi.
Continuando a percorrere le scale, arrivò al pianerottolo e decise di fare un controllo sbrigativo delle stanze e degli infissi. Proseguendo lungo il corridoio notava la carta da parati sui muri, perfettamente in ordine, nessun difetto, nessun segno di usura finché arrivò alla stanza della vittima; il letto era sistemato, le luci spente e c’era un buon profumo; sembrava vaniglia.
Era gradevole. Avvicinandosi alla finestra vide il vetro pulito, le tende di cotone leggero perché si riusciva da intravedere oltre la tenda stessa, erano senza una macchia e senza toccare la minima cosa decise di chiamare un collega della scientifica per fare un controllo delle impronte e valutare se quella finestra avesse qualcosa da nascondere.
Il collega salì con tutta l’attrezzatura e cominciò, ma disse che avrebbe dovuto aspettare per gli esiti; il detective non si fece intimorire e rispose di controllare tutte le finestre di quel piano e che quando avrebbero saputo la minima cosa, dovevano chiamarlo.
Intanto Cristian continuava a perlustrare la casa, così andò nella stanza dei sanitari e appena aprì la porta sentì un buon profumo di pulito, sul lavandino c’era un porta sapone di ceramica con disegnati dei fiori colorati, era molto carino; notò anche gli asciugamani piegati e sistemati in ordine di colore; dal più chiaro al più scuro e la prima cosa a cui pensò è stata che quella donna era ossessionata dall’ordine, ma era bello camminare in una casa pulita e profumata come quella. Osservando il resto del bagno non trovò nulla che gli fece attirare l’attenzione e passò alla camera del ragazzo.
In quella stanza c’era un caos incredibile, vestiti sparsi, cd musicali un po’ ovunque, poster appesi al muro, ma anche in quella camera a primo impatto, non notò niente di particolare e camminando all’interno senza scombinare nulla sorrideva e pensava al figlio che era disordinato alla stessa maniera, ma sicuramente la madre di quel ragazzo aveva più pazienza nel vedere tutta quella confusione.
Quando il detective scese decise di andare in cortile per dare un’ultima occhiata e si accorse che il corpo era stato portato all’obitorio per fare tutti i controlli e in quel cortile era rimasta solo una pozzanghera di sangue e la casa deserta.
La scientifica era andata via senza avvisare, l’esterno della casa era completamente isolato, si sentivano voci in lontananza, così decise di fare un ultimo giro per capire se ci fosse altro da esaminare.
Si era soffermato un attimo d’avanti alla porta d’ingresso e intanto che pensava, improvvisamente lo attirò la cucina. Decise di recarsi nuovamente in quella stanza e quando entrò, lo impressionò il lavello, avvicinandosi sempre di più a quelle ante che lo attiravano il battito del suo cuore accelerava; era convinto che dietro a quelle ante, ci fosse qualcosa.
Cominciando a mettersi un guanto usa e getta, avanzava finché arrivò vicino al lavandino e con la mano sinistra aprì lo sportello; vide tantissimi detersivi e vicino ad essi un cestino della spazzatura.
Gli si illuminarono gli occhi e con un tono abbastanza alto chiamò gli agenti e disse di raccogliere tutti i contenitori con l’immondizia all’interno, tutti quelli che avrebbero trovato in quella proprietà; da quelli in cortile al bagno e di portarli alla scientifica. Dovevano esaminarli da cima a fondo e non gli interessava quanto tempo ci avrebbero messo, dovevano farlo.
Dopo aver raccolto tutto, Davide e Francesco andarono subito a portare i vari cestini in laboratorio e comunicarono ai colleghi presenti della scientifica di esaminare il contenuto che era all’interno, compreso il cestino stesso; i colleghi risposero che ci avrebbero messo diverso tempo, ma gli agenti dissero che era un ordine del detective e che ogni dettaglio sarebbe stato essenziale per il caso; senza aggiungere altro, i ragazzi della scientifica cominciarono ad esaminare ciò che gli agenti avevano consegnato. Decisero di dividersi, alcuni avrebbero continuato il lavoro precedente, cioè i controlli all’impronta della scarpa trovata e le impronte sparse per casa, mentre gli altri avrebbero proceduto a controllare la spazzatura.
Il lavoro sarebbe stato davvero lunghissimo, ma Cristian voleva arrivare ad una conclusione e voleva farlo anche abbastanza velocemente.
Gli agenti, dopo aver fatto il passaparola, tornarono dal detective, siccome avevano il compito di assisterlo in ogni movimento che facesse.
Marco rimase in contatto con Cristian, per essere aggiornato su qualsiasi spostamento e novità, ma purtroppo, per ora erano solo agli inizi e avrebbe dovuto aspettare; pur avendo tante preoccupazioni ed essere terrorizzato dalla tragica vicenda, non poteva fare niente.
L’investigatore con i due agenti si avviarono verso la caserma; arrivati Cristian andò subito nel suo ufficio e seduto alla sua scrivania cominciò a pensare a cosa avessero in quel momento: due sospettati; Marco e Asher, un coltello che probabilmente era da cucina, un mozzicone di sigaretta, un’impronta di una scarpa e della spazzatura. Si era seduto sulla sedia a pensare davanti a quella scrivania, non parlava, non emetteva un minimo suono, era talmente concentrato che non notò neanche Davide e Francesco che erano ad attendere solo degli ordini da svolgere.
Improvvisamente Cristian si alzò, decise di fare un primo incontro con Marco per capire cosa fosse successo, battendo le mani sulla scrivania disse ai due agenti di andarlo a prendere e li avrebbe attesi in caserma nella stanza degli interrogatori.
Davide e Francesco si misero subito al lavoro, arrivati in albergo chiesero alla receptionist in che stanza fosse Marco Ferrari e lei disse la 124 e appena arrivarono d’avanti alla porta cominciarono a bussare, quando Marco aprì, Davide disse che doveva andare con loro in caserma perché il detective doveva fargli delle domande, così senza opporsi andò con loro.
Arrivati, il detective lo fece accomodare, ci fu quell’attimo di silenzio e di disagio finché Cristian non si sedette di fronte a lui e gli chiese chi fosse la donna trovata morta nel suo cortile, Marco disse che era la moglie e poi il detective gli chiese cosa avesse fatto quella mattina e lui rispose che era uscito come quasi tutte le mattine per delle commissioni. Cristian lo guardò, lo sguardo era molto attento, non era soddisfatto della risposta che gli avesse dato così gli chiese che tipo di commissioni avesse fatto, e Marco rispose che era andato a lavare la macchina all’autolavaggio in città, ma si era fermato al bar vicino per fare colazione. Aggiunse che verso le 8:50 chiamò suo figlio per avvisarlo che per le 9:30 circa sarebbe andato a prenderlo per portarlo a fare compere, essendo il suo quindicesimo compleanno voleva fargli una sorpresa.
Il detective chiese se sapesse cosa stesse facendo il figlio prima che lui lo andasse a prendere, Marco rispose che probabilmente era in camera sua a leggere un giornalino, disse che gli rispose subito al telefono quando lo chiamò e gli aveva detto che si sarebbe preparato per uscire con lui, ma voleva anche specificare che l’ultima volta che aveva visto sua moglie lei, era ancora viva.
Il detective pensò che la frase della moglie viva, fosse una frase già fatta e anche decaduta ormai, ma non parlò, non aggiunse altro, voleva aspettare i risultati dal laboratorio per poi valutare la situazione.
Lasciò andare Marco; quando stava per tornare nel suo ufficio, vide Giovanni, il ragazzo della scientifica che gli disse di avere alcuni risultati e aggiunse di seguirlo in laboratorio. Cristian sempre molto composto, lo seguì e appena arrivarono, Giovanni disse che la saliva di quel mozzicone era della vittima; il coltello aveva le impronte della donna, e per quanto riguarda l’impronta erano riusciti a stabilire il numero esatto.
La scarpa era da uomo numero 44, ma non riuscirono a vedere il dettaglio della suola perché era troppo consumata, però erano convinti che le scarpe fossero da running. Il collega specificò che prima di arrivare al tipo di scarpa avevano testato più modelli e quando arrivarono a quelle da running, la punta combaciava alla perfezione, notarono che era particolare e solo quel tipo di scarpe sarebbe riuscito a scavare in quel modo nel terreno, Cristian si complimentò con il gruppo e andò a far visita al medico legale.
Arrivato in obitorio chiese se avesse novità sul corpo e il medico affermò quasi quello che aveva già detto.
Cristian avvicinandosi, vide quella donna così minuta su quel tavolo autoptico e mentre l’osservava attentamente il medico disse che non è morta per emorragia, ma per il collasso della faringe e quindi soffocata; aggiunse che il taglio era netto, continuò dicendo che l’arma da taglio era un coltello da cucina, l’ora del decesso è stata tra le 9:30 e le 10:30 e prima di ucciderla l’avevano colpita piuttosto forte; probabilmente un calcio o un colpo causato da un attrezzo pesante, aggiunse che forse le avevano dato quella botta per farla cadere, ma quello non poteva saperlo, il suo nome era Ermione ed aveva 35 anni e per concludere disse che la donna era troppo giovane per morire in quel modo.
Cristian alzò lo sguardo verso il medico, rispose che nessuno sarebbe mai dovuto morire in quella maniera e ringraziandolo se ne andò.
Mentre si avviava verso l’ufficio pensò che parlare con Marco per fare un quadro della vicenda sarebbe stata una buona idea, doveva cominciare a collegare tutti i pezzi, ma prima di chiedere agli agenti di andare a prenderlo, voleva confermare il suo alibi. Uscito dalla caserma salì in macchina e cominciò ad andare nell’unico autolavaggio della città. Appena arrivò, dopo circa 25 minuti, chiese al dipendente, mostrandogli la foto di Marco, se sabato mattina attorno alle 7:30 fosse passato per farsi lavare la macchina e lui affermò, disse anche che prima di lasciargli la macchina, era andato al bar. Per avere certezze, Cristian andò a prendere un caffè e vide il bar tranquillo, pensò che fosse anche piacevole fare colazione in quel luogo, poi chiese al barista se fosse passato l’uomo in foto e gli rispose che c’era stato sabato mattina, e specificò che aveva preso un cornetto integrale alla marmellata e un caffè lungo.
Il detective si convinse, ringraziò e se ne andò.
Tornò in caserma e durante il tragitto chiamò Marco per chiedergli se potesse raggiungerlo perché avrebbe dovuto fargli una domanda, Marco gli rispose che ci sarebbe andato subito e appena arrivò, il detective chiese se sapesse che la moglie fumava, lui negò all’istante, disse che lei odiava il fumo, non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Cristian non fece altre domande, preferiva studiare la situazione, così finita la conversazione lo lasciò andare, Marco non pensava che il detective gli facesse realmente una domanda e per quello si era leggermente irritato e con aria seccata gli disse di chiamarlo la prossima volta, perché c’è ancora un assassino libero per la città e non voleva lasciare il figlio da solo per troppo tempo; effettivamente non aveva tutti i torti, il detective fece un cenno con la testa e per calmare le acque approfittò per dire che sarebbero potuti tornare a casa, ma se avesse avuto bisogno di qualsiasi cosa, sarebbe passato da loro e avrebbero dovuto aprirgli, ma se preferivano, potevano stare in albergo. Marco ringraziando disse, che sarebbero tornati a casa più che volentieri e che avrebbero fatto il possibile per essere utili alle indagini.
Cristian si accorse che il tono di Marco cambiò, pensò che molto probabilmente fosse ancora molto scosso per la morte della moglie e per essere stato allontanato per un periodo da casa sua. Conclusa la conversazione, si salutarono e si divisero.
Il padre corse subito in albergo a dire ad Asher che sarebbero potuti tornare a casa a certe condizioni e anche il ragazzo decise di collaborare pur di tornare a leggere tranquillo in camera sua, cominciarono a fare le valige per tornare a casa. Nel frattempo, le indagini continuavano ad andare avanti, il detective disse agli agenti di cercare delle scarpe da running in tutta la città; negli angoli delle case, nei cestini pubblici, nei bagni pubblici, qualsiasi luogo, anche se ci avessero messo ore o giorni; dovevano trovarle obbligatoriamente perché erano essenziali per le indagini.
Gli agenti si misero subito alla ricerca e i cittadini li vedevano in movimento continuo, erano impauriti al pensiero che l’assassino fosse in mezzo a loro, c’era molta agitazione nella cittadina.
Quando Marco e suo figlio arrivarono a casa, la prima cosa che fece Asher era stata di correre subito in camera sua, mentre lui andò davanti alla porta di vetro ad incantarsi su quella pozza di sangue, non riusciva ad accettare la morte della moglie, continuava a ricordare quando giocavano con il pallone insieme ad Asher in quel prato, il ricordo di quando lei ripeteva di voler fare un piccolo orto, ma che lui rimandava sempre, ogni pensiero era una sofferenza; in così poco tempo divenne tutto cupo. Marco continuava a pensare e cercava di capire chi mai potesse essere stato a commettere un gesto così crudele.
In città era tutto molto strano, le persone uscivano poco, l’uomo senza nome non lo guardava neanche negli occhi, non lo salutavano più, era come se fosse diventato quasi invisibile.
Il detective passava spesso in auto per quella strada ed era attento ai vicini della donna deceduta e si accorse che il vicino l’osservava spesso, ma non si degnava di fare una sola domanda. Cristian prestava la massima attenzione a chi circondava quella casa, ad ogni abitante di quella via; c’era qualcosa che non lo convinceva. Aveva la sensazione che l’aria fosse molto pesante, c’erano troppe persone guardinghe ai movimenti degli altri, tutto molto confuso.
Quando arrivò in ufficio quel pomeriggio, decise di chiamare Marco per dirgli di recarsi in caserma con il figlio; secondo Cristian era arrivato il momento di fare una chiacchierata.
I due partirono e appena arrivarono si accorsero che il detective li stava aspettando all’ingresso e quando si avvicinarono disse: “perfetto, ora Asher andrà con il collega in una stanza e tu” – “guardando Marco -” vieni con me nell’altra -”.
L’agitazione era alle stelle, il padre cominciava a tremare e ad essere ansioso e al detective non sfuggiva questo particolare del suo comportamento.
Cominciò l’interrogatorio, l’uomo era molto collaborativo o così sembrava; diceva che voleva a tutti i costi scoprire chi fosse l’omicida, ma quel tremolio delle mani non era molto convincente.
La prima domanda che fece il detective era il motivo di quell’agitazione, e il padre rispose che soffriva d’ansia e quando l’aveva chiamato, si era agitato per tutta la situazione, Cristian fu molto curioso nell’aver sentito quella risposta così continuò a chiedere perché gli fosse venuta ansia dopo aver ricevuto la sua chiamata; Marco si accorse che le domande che gli stava facendo non riguardavano il caso e gli rispose che lui ha problemi di salute, ma che comunque non pensava che lo avesse chiamato per parlare di lui.
Cristian non disse niente per qualche secondo, aveva capito che la risposta che gli era appena stata data era stata eccessiva e senza rispondere cominciò con l’interrogatorio, gli chiese se sua moglie avesse dei nemici, Marco sorridendo per far capire che la domanda era davvero stupida rispose che tutti erano nemici; il detective non emetteva suoni, non faceva smorfie, non si riusciva a capire a cosa stesse pensando e dopo aver ricevuto quella risposta continuò – “Potete immaginare chi potrebbe averla uccisa o comunque, se in passato avesse ricevuto minacce?”- , l’uomo fu confuso, rimase in silenzio per un attimo, voleva capire cosa potesse dire e gli rispose:” mia moglie mi aveva detto che il nostro vicino, di cui non so il nome, le aveva quasi sempre creato problemi in passato, ma non mi ha mai detto di aver ricevuto minacce. Non siamo mai andati d’accordo da quando si è trasferito, lo devo ammettere, ma sinceramente non abbiamo mai avuto problemi con lui o qualcun altro fino ad arrivare ad uccidere – “. Specificò che se anche non avevano amici o non sembravano molto amichevoli, loro erano persone molto pacifiche. Il detective gli chiese: – “potete immaginare chi potesse essere stato?” –, Marco pensò che in quella città tutti si detestavano; quindi, l’elenco dei sospettati sarebbe diventato molto lungo e rispose: – “in città, ci detestiamo tutti, però posso fare un paio di nomi di alcune persone che ci creavano disagi -”, Cristian voleva sapere, aveva uno scopo ben preciso e più informazioni riusciva a raccogliere, meglio sarebbe stato per il caso. Marco continuò – “Anna ha sempre dato l’impressione di essere ammirata da tutti i vicini, ha sempre fatto molto per la comunità, ricordo che organizzava quasi tutti i banchetti quando c’erano delle feste in città, ma è una di quelle streghe che spettegola su tutti in continuazione, ma anche da lei, come so, non ha mai ricevuto minacce anche se spesso bisticciavano, non si sono mai alzate le mani e lei è la persona che aveva urlato come una pazza la frase della principessina quella mattina. Non hanno mai avuto un rapporto amichevole, hanno sempre cercato di evitarsi il più possibile perché sapevano che sarebbe andata a finire con una discussione, ma da parte di entrambe, non ho mai notato dispetti reciproci” -.
Il detective incuriosito del conflitto tra la vittima e Anna chiese a Marco che tipo di rapporto avevano prima di arrivare ad una discussione continua, e lui rispose che non sono mai andate d’accordo dagli inizi, non c’erano molti dettagli nel loro discutere, si evitavano e quando non riuscivano a farlo, fingevano di avere un’emergenza per allontanarsi l’una dall’altra.
Cristian gli chiese di continuare con i nominativi che aveva, e aggiunse che non l’avrebbe più interrotto.
Marco, guardandolo continuò –“C’è anche Selene, tra loro inizialmente c’era un bellissimo rapporto; uscivano sempre insieme per andare al mercato o andare a fare la spesa, ma poi un giorno non si videro più insieme, non si guardavano neanche negli occhi, non si parlavano più e pur chiedendo ad Ermione cosa fosse successo, lei non ha mai voluto darmi una spiegazione e io nel vederla giù di morale, non ho mai voluto insistere nel chiedere, ho sempre avuto paura di peggiorare la situazione e da quel momento ogni volta che ci incrociavamo era un discutere continuo, aveva sempre qualcosa da ridire, ma non penso che un’oca come lei, possa arrivare ad uccidere; a pensarci bene quando capitava di incrociarsi, la sua battuta pessima la faceva sempre e ricordo benissimo Ermione mandare giù i rospi, era davvero paziente, però non so se lei possa avere avuto il coraggio di commettere un omicidio” -, scese il silenzio, nessuno parlava finché il detective lo guardò e nello stesso momento Marco disse: -“ c’è anche Michael però, ora che ci penso qualche anno fa voleva uscire con mia moglie, ma lei ha sempre rifiutato, non so se per un momento di gelosia possa averlo fatto impazzire, ma di lui non so molto sinceramente, e infine c’è l’uomo senza nome; come mi raccontava Ermione si conoscevano dall’infanzia, non so cosa ci sia stato tra loro, ma come disse mia moglie, lui la prendeva sempre in giro e la metteva sempre in imbarazzo, ma non ci ha mai creato troppi problemi a parte qualche battuta davvero stupida e snervante.” –
Il detective scrisse tutto sul suo taccuino e gli volle fare l’ultima domanda prima di lasciarlo andare: “com’era tua moglie?” – Marco si paralizzò, rimase immobile e in silenzio e poi –“ era fantastica, era una donna davvero matura, amava la natura, non usciva mai la sera perché era convinta che il buio portasse solo pericoli, era attenta a ciò che cucinava e anche se era così piccolina di statura aveva un cuore davvero enorme”-, il detective sorrise, disse che avere una donna così accanto sarebbe stato il desiderio di molti uomini, con lui aveva finito, non voleva esagerare perché sapeva che l’interrogatorio sarebbe diventato pesante così gli disse: “ok, per ora possiamo fermarci qui e farai cambio con tuo figlio, per il momento abbiamo finito “.
Il detective accompagnò Marco fuori e disse ad Asher di andare con lui; il ragazzo lo seguì non sembrava volesse collaborare più di tanto, probabilmente era ancora scosso per la morte della madre, la sua fortuna è che Cristian era un uomo molto comprensibile e sensibile; quindi, sapeva cosa e quando chiedere. Cominciò con una conversazione molto pacifica: “ragazzo, come stai?” gli chiese, lui lo guardò e rispose: “come devo stare, mia madre è appena morta, sono uno straccio”, era comprensibile una risposta come quella.
Il detective non volle insistere più di tanto, in base a ciò che gli avesse detto, aveva capito che non era ancora il momento giusto per fargli certi tipi di domande e così gli chiese solo un paio di cose per non peggiorare la situazione attuale – “fai sport?” – Asher rimase perplesso per ciò che gli avesse chiesto, ma senza tanti problemi gli rispose – “no, ogni tanto vado a camminare, ma sport in particolare non ne faccio “–, Cristian stava notando che il ragazzo sembrava stesse diventando piuttosto nervoso così pensò che ormai fosse giunto il momento di finire per poi lasciarlo andare dal padre – “camminare fa bene alla circolazione sai, usi delle scarpe particolari? Volevo convincere mio figlio a fare sport oppure trovargli un passatempo, e se puoi darmi dei consigli te ne sarei grato” – Asher non riusciva a capire perché un detective dovesse chiedere consigli a lui per il figlio, ma senza farsi vedere troppo pensieroso rispose – “le usavo, mia madre mi comprò delle scarpe da running tempo fa, ma le rovinai velocemente e così le ho buttate, ma da quel giorno, uso quelle da tennis “– Cristian era curioso di capire il rapporto che avesse il ragazzo con la madre, molto attento a ciò che avesse detto -” andavi d’accordo con tua madre?” Asher guardò il detective e si riusciva ad intravedere un sorriso e gli rispose
– “lei era la mia mamma, l’amavo più di qualsiasi cosa, fin da bambino mi era stata accanto in tutto, mi insegnava dei trucchi in cucina, l’aiutavo a fare le faccende di casa e ad annaffiare i fiori, facevamo qualsiasi cosa insieme. Ricordo una sera, che papà ci prendeva in giro perché diceva che sembrava che ci leggessimo nel pensiero, era una sera che ci mangiavamo sempre le parole”,
Cristian mentre ascoltava quelle parole sorrideva, capiva che quella famiglia era forte e così decise di non continuare l’interrogatorio e disse: – “molto bene ragazzo, grazie per il consiglio e per la tua pazienza, abbiamo finito puoi andare da tuo padre” –. Asher sollevato della fine dell’interrogatorio si avviò verso Marco e quando lo raggiunse – “ho finito, possiamo andare a casa ora?” – così, salutò il detective e se ne andarono.
Cristian, mentre li guardava andarsene rifletteva, andò nella stanza degli interrogatori con il collega Davide per capire se l’interrogatorio fatto ad entrambi portasse alla luce qualcosa di utile. Parlandone, si accorsero che entrambi più o meno dissero le stesse cose; il vicino aveva un odio profondo verso Marco e la moglie, e viceversa, che tutti i cittadini non si apprezzavano tra di loro e i sospettati erano gli stessi, tranne Michael; il ragazzo non lo nominò probabilmente perché forse non sa chi sia. Il detective pensò che la frase del detestarsi fosse vaga, probabilmente erano quelle poche persone con cui non andavano d’accordo a far ingrandire la descrizione della realtà dei fatti.
Marco ed Asher durante il tragitto verso casa parlarono un po’, il dialogo era un classico dialogo tra padre e figlio. Marco gli chiese come si sentisse e il figlio rispose che gli mancava la madre, gli mancavano le sue carezze e aggiunse che se avesse potuto sarebbe tornato indietro, quando arrivarono a casa il figlio andò a chiudersi in camera, era molto abbattuto e Marco decise di andare in soggiorno sul divano a guardare un po’ di televisione e provare a pensare il meno possibile a quello che sta succedendo.
Cristian e Davide arrivarono ad una conclusione, decisero di cominciare ad interrogare le persone che aveva detto Marco, sperando di scoprire qualcosa di utile, decise di lasciare in sospeso la famiglia per un attimo e di sentire chi fosse stato nominato. La prima persona che chiamò fu Anna.
Davide andò a prenderla, appena arrivarono in caserma, lei fece una sceneggiata esagerata e quando il detective la vide cominciò a farsi diverse domande e la prima era nel chiedersi perché proprio lui era dovuto capitare in una gabbia di matti; avvicinandosi alla donna, con il braccio le fece segno di accomodarsi e si calmò per un istante. Cristian, osservandola le chiese se avesse bisogno di qualcosa e lei con tono sgarbato rispose solo che voleva andarsene da quel posto e se potevano fare in fretta perché aveva cose più importanti da fare.
Il detective era molto curioso di cosa avesse da fare di tanto importante quella donna, calcolando che in quella cittadina solo un quarto dei cittadini lavorava, ma senza perdere tempo chiese cosa pensasse di Ermione, e Anna cominciò a parlare ad una velocità indescrivibile; diceva che sicuramente una come lei non sarebbe mancata a nessuno, era sempre per i fatti suoi, evitava tutti, faceva la santarellina, ma comunque, non avrebbe mai avuto il coraggio di ucciderla siccome non riesce ad ammazzare neanche una mosca, figuriamoci una persona.
Cristian, pur facendo fatica a capire tutte quelle parole le chiese dove fosse dalle 9 alle 10 di quel sabato mattina e aggiunse di parlare più lentamente per facilitare la comprensione di quello che diceva. Anna fece un respiro profondo e poi rispose che era andata dal parrucchiere, aveva un appuntamento alle 9:30 e prima era rimasta in casa a fare qualche faccenda, il detective le chiese se potesse dimostrare ciò che avesse dichiarato e lei rispose che in casa era da sola, ma che dal parrucchiere potevano controllare direttamente loro; aggiunse che il suo parrucchiere era in centro, in via Garibaldi 46/B. Il detective si annotò l’indirizzo, avrebbe comunque fatto un controllo, le chiese che numero di scarpe portasse e lei rispose di portare un 37, le fece un’ultima domanda, probabilmente stupida, ma a lui piaceva fare domande a trabocchetto e così le chiese chi secondo lei possa averla uccisa e lei rispose che non poteva saperlo e che era vero che non andava d’accordo con quasi tutta la via, ma comunque arrivare a tanto sarebbe stato assurdo.
Cristian terminò l’interrogatorio, le comunicò che avevano finito e l’avvisò di non lasciare la città e poi la lasciò andare. Anna era così felice di potersene andare da quel luogo che secondo lei portava solo negatività e senza salutare se ne andò. Il detective quando vide la sua reazione gli venne da ridere e – “certo che il mondo è proprio strano” – poi decise di andare immediatamente a controllare l’alibi della signora Anna, così con Davide si recò all’indirizzo e quando videro il parrucchiere provarono ad entrare e a chiedere se effettivamente quel sabato mattina, lei era lì; il parrucchiere confermò e aggiunse che arrivò circa quindici minuti in anticipo, come aveva sempre fatto.
Cristian chiese se ricordasse all’incirca l’orario in cui finì con Anna e lui rispose che saranno state circa le 11, perché quella mattina le fece colore, taglio e piega.
Il detective ringraziò per la collaborazione e con il collega se ne andò.
Si avviarono verso l’ufficio, nella stanza del caso e accantonarono momentaneamente Anna, aveva un alibi perfetto e confermato, non poteva aver commesso lei l’omicidio.
Decisero di interrogare Michael, così lo chiamarono e al telefono sembrava molto intimorito, aveva quella voce tremolante e preoccupata, ma fortunatamente accettò di collaborare.
Cristian disse a Davide di prestare la massima attenzione a ciò che avrebbe detto o fatto, ogni movimento poteva essere un dettaglio e si sapeva che per il detective i dettagli erano importantissimi, la chiamata fatta a Michael non lo convinceva.
Quando arrivò in caserma, l’agente lo accompagnò nella stanza degli interrogatori e lui si ritrovò solo, seduto su una di quelle seggiole cigolanti, datate, vecchie e brutte, davanti a un tavolo, non poteva neanche essere nominata scrivania era proprio un tavolo da sei posti color grigio; come stanza era molto cupa e triste.
Arrivò il detective per cominciare l’interrogatorio. Senza aver fatto una sola domanda, Michael negò da subito, raccontò che era follemente innamorato di Ermione, ma che non avrebbe mai avuto il coraggio di ucciderla. Cristian stupito della velocità nel rispondere pur non avendo fatto domande, continuò ad ascoltare. Michael disse anche che erano diversi anni che provava a farle capire il suo amore, ma lei non l’aveva mai ricambiato e quindi si mise da parte, ma il pensiero di ammazzarla, lo faceva vomitare.
Quando gli chiesero il numero di scarpe, lui disse che portava un 44 e così gli chiesero anche se facesse sport e rispose che correva, ma che non era proprio uno sport, era più un passatempo. Il detective si illuminò per un attimo, gli chiese che tipo di scarpe portasse durante il suo passatempo e Michael disse che quando andava a correre metteva sempre quelle da running e che dopo ogni corsa le lavava per il sudore. Cristian disse a Davide di annotare tutto, lo disse con un cenno, muovendo la testa verso sinistra e guardando il taccuino, Steve capì subito e gli rispose con un movimento leggero del volto.
Per finire gli chiesero dove fosse quel sabato mattina tra le 9:30 e le 10:30, Michael lo guardò perplesso ci mise un po’ a rispondere e poi disse che era uscito alle 9:00 circa per andare a fare una passeggiata sul ponte e quando tornò si fece una doccia e rimase in casa, Cristian gli chiese se avesse dei testimoni che potessero provare i suoi movimenti e lui rispose che sul ponte c’era un po’ di gente, ma che non si ricordava chi avesse incrociato quella mattina, per il resto, era a casa ed abitando da solo non sapeva a chi chiedere per confermare il suo alibi; come ultima domanda chiese a che ora fosse tornato e Michael rispose che saranno state circa le 9:30 o 9:40.
Il detective gli disse che non poteva lasciare la città prima che le indagini fossero terminate e poi lo lasciò andare. Non volle aggiungere altro, l’interrogatorio fatto a Michael era stato interessante.
I colleghi si resero conto che lui poteva rientrare nella descrizione in base agli indizi che avevano sull’omicidio, calcolando che era incerto dell’ora di rientro o che comunque era a casa da solo, ma si soffermarono un attimo e decisero di segnare le abitazioni di tutti i sospettati per poi continuare l’interrogatorio con i rimanenti.
Guardando la mappa, cominciarono a segnare sulla lavagna la vittima, che abitava in via Mazzini 76, Anna in strada della repubblica 27, Michael in via
Mazzini 72, Selene in viale Vittoria 1 e l’uomo senza nome in via Mazzini 77; poi pensarono che Michael avrebbe potuto ucciderla passando dal retro prima di andarsi a fare la doccia, ma non avendo certezze sospesero per un attimo quell’accusa non fondata.
Le indagini si fermarono per un attimo, il detective decise di attendere la mattina seguente perché voleva andare a fare un giro sul ponte per valutare chi ci fosse a quell’ora, ma prima di salutare i colleghi per poi avviarsi verso il suo appartamento, chiamò Marco per chiedergli un’informazione; chiese il numero di scarpe del figlio e lui rispose che portava un 44, il detective pensò che e poteva essere un altro sospettato, ma senza farlo capire ringraziò Marco e chiuse la chiamata.
Conclusa quella giornata così impegnativa, ogni agente tornò a casa e il detective quando arrivò nel suo appartamento, decise di andare a sedersi sulla poltrona davanti al camino spento e guardare fuori dalla finestra con un bicchiere di whisky in mano. Si incantava nel vedere la luna e cercava di capire se ci fosse stata mai una fine; era come se si sentisse confuso, e si ripeteva che se non sarebbero arrivati i risultati dal laboratorio non sapeva come muoversi, finché improvvisamente si addormentò.
Arrivò la mattina e Cristian, dopo aver fatto colazione con un biscotto integrale e una tazza di caffè nero, si preparò per andare a fare un giro sul ponte.
Appena arrivò, si guardò in giro, il paesaggio era spettacolare, sentiva qualche uccellino cantare e nel vedere quelle panchine notò quel fiume così bello, così romantico e dopo un po’ che rimase a fissare il ponte, decise di percorrerlo fino ad arrivare alla gelateria all’angolo.
Notò che sul ponte c’erano poche persone, alcune correvano per allenarsi e si domandava se fossero le stesse che avesse incrociato Michael durante la sua passeggiata. Non volendo creare panico, non chiese niente a nessuno, voleva aspettare di avere indizi un po’ più certi rispetto a quelli che aveva.
Finita la passeggiata tornò in caserma e li vide i colleghi ad attenderlo davanti alla lavagna, era molto contento di avere dei collaboratori interessati al caso.
Pensò che la città dovesse essere fiera di avere delle forze dell’ordine così attente al lavoro che svolgevano.
Appena li raggiunse disse che sul ponte c’era poco traffico, ma che non aveva approfondito l’alibi di Michael perché per il momento, avrebbe preferito continuare l’interrogatorio, oltre al fatto che non era sicuro che le persone che avesse incrociato Cristian fossero quelle che aveva incrociato Michael.
Davide e Francesco rispettarono la sua decisione, del resto era un detective molto astuto, sapeva il suo lavoro, così gli dissero che mancavano due nominativi; Selene e l’uomo senza nome e gli chiesero da chi volesse iniziare per primo e Cristian rispose di andare da Selene, aveva la sensazione che lei fosse innocente, così avrebbe aggiunto anche lei ai sospettati accantonati. Gli agenti andarono a prendere Selene e la portarono in caserma.
Quando lei entrò nella stanza, chiese subito un caffè; il detective pensò che la signorina fosse una di quelle persone viziate e servite, ma per cercare di farla parlare, l’avrebbe accontentata.
Si fece portare il caffè e quando Cristian notò che lo beveva con molta calma, pensò che avesse qualcosa da nascondere, come se volesse prolungare le tempistiche dell’interrogatorio; non volendo perdere troppo tempo le chiese se potevano iniziare e lei rispose che avrebbe risposto a qualsiasi domanda che le avesse fatto; così cominciarono la chiacchierata.
Il detective le chiese cosa pensasse di questa faccenda e lei disse che finalmente qualcuno avesse avuto il coraggio di ucciderla, era antipatica e faceva troppo la brava persona, ma che lei non l’avrebbe mai fatto.
Il detective volle approfondire il suo commento e quindi le chiese cosa volesse dire per brava persona e lei rispose che appariva ciò che non era, sembrava cordiale con tutti, amante della natura, credente; poi aggiunse che in chiesa lei non l’aveva mai vista. Cristian notò che la situazione si stava riscaldando, vedeva la sospettata parlare con un tono di voce arrabbiato, ma non riusciva a capire il motivo quindi provò a cambiare discorso, le chiese il numero di scarpe che portava, anche se già sapeva che non sarebbe stato utile per le indagini e lei rispose che portava un 38, il detective le fece un’ultima domanda, le chiese se poteva pensare a qualcuno in particolare che possa averla uccisa e così Selene rispose che non sapeva minimamente chi possa averlo fatto, ma secondo lei un amante. Cristian, incuriosito le chiese di dirgli di più e lei disse che la vedeva con Michael, non sempre, ma c’era stata una volta che li aveva visti sotto casa di lui a parlare e da quel momento capì che non era la brava ragazza che diceva di essere. Ermione sapeva benissimo del debole che Selene aveva per Michael, e quando li aveva visti insieme ha pensato subito che avessero una storia, quindi, la sua vecchia amica aveva tradito la sua fiducia. Da quel giorno il loro rapporto d’amicizia finì. Cristian senza commentare si fermò, voleva capire cosa ci fosse sotto così lasciò andare la donna dicendole che non avrebbe dovuto lasciare la città prima della conclusione del caso, lei senza opporsi disse che l’avrebbero trovata senza problemi. Quando Selene se ne andò, il detective con Davide e Francesco andarono in ufficio per fare un paio di valutazioni.
Cristian pensò subito ad una incomprensione tra i vicini perché Anna voleva Michael, Michael voleva Ermione ed Ermione non voleva nessuno; per ora.
Più pensava a quell’intreccio più si convinceva che doveva starsene a casa a fare altro perché tra gente matta si era aggiunta anche la telenovela romantica.
Avrebbe potuto scrivere un libro sul caso, era sicuro che i lettori si sarebbero divertiti tanto. Tralasciando quel pensiero cominciò a dire che Michael poteva essere andato sul ponte e avrebbe potuto anche farsi la doccia, abitando abbastanza vicino alla vittima, avrebbe potuto passare dal retro, dopo averla chiamata, lui l’avrebbe attesa in cortile le diede un calcio o comunque la colpì, andò a prendere il coltello nel ceppo in cucina e colpendola al collo l’assassinò.
Le due donne sono innocenti quindi è inutile fare ipotesi a meno che l’assassino possa avere un complice. Il detective aggiunse di andare a prendere Michael e portarlo in caserma, doveva capire cosa ci fosse tra lui ed Ermione.
Davide e Francesco andarono subito da Michael, ma quando provarono a suonare il citofono, lui non c’era. Gli agenti chiamarono subito Cristian per avvisare che il sospettato non era reperibile e il detective disse che dovevano trovarlo, i sospettati non potevano lasciare la città.
Gli agenti senza pensarci cominciarono ad avvisare la centrale, dicendo che c’era un fuggitivo e di controllare se avessero visto Michael in giro.
Passarono le ore e dell’uomo ancora nessuna traccia, così mentre gli agenti erano intenti nel trovarlo, il detective voleva proseguire con le indagini.
Chiamò gli agenti e disse di andare a prendere l’ultimo sospettato e Davide con Francesco si misero subito al lavoro.
Intanto che Cristian aspettava, arrivò un altro collega per comunicargli che una parte dei cestini era stata esaminata; avevano trovato delle gomme masticate dai familiari, pezzi di carta per pulire con poche impronte della vittima e qualche cartaccia di disegni stropicciati, aggiunse che gli avrebbe fatto sapere quando avrebbero finito di esaminare gli ultimi cestini, il detective lo ringraziò e lo lasciò andare a finire il suo lavoro.
Appena se ne andò, arrivarono gli agenti con l’ultimo sospettato, così potevano procedere con l’interrogatorio. Il detective Cristian era uno dei migliori nel campo, osservava, annotava e poi arrivava sempre alla conclusione.
L’uomo, che poi si scoprì il nome; Filippo, disse che conosceva Ermione da quando erano bambini. Lei era innamorata di lui, ma lui pensava ad altro, non aveva il minimo interesse nei suoi confronti. Erano giovani del resto, bisognava divertirsi, ma affermò che non sarebbe mai riuscito ad ucciderla.
Quando gli chiese il numero di scarpe lui disse che portava un 44, disse anche che era uno sportivo. Il detective gli chiese che scarpe portasse durante lo sport e Filippo gli rispose che portava delle scarpe da tennis basse.
Gli chiese anche chi secondo lui poteva averla uccisa e rispose che le accuse dovevano andare sul marito, diceva che la lasciava quasi sempre da sola con il figlio, anche se era grande e abbastanza autonomo; il marito era sempre in giro a fare le sue cose. Cristian si segnò tutto e doveva ammettere che la conversazione era interessante, prestava molta attenzione ai movimenti che faceva il sospettato e a ciò che diceva perché Marco gli aveva detto che erano in conflitto e voleva capire se ci fosse qualcosa di più importante.
Per finire gli disse che non doveva assolutamente lasciare la città fino alla conclusione del caso e Filippo accettò senza protesta.
I giorni passavano, le indagini sembravano non andare avanti, Michael non si riusciva a trovare ed Marco era sempre ad attendere una chiamata per avere novità. Nel frattempo, il padre dalla finestra di casa, osservava le persone che lui poteva pensare fossero i colpevoli e loro, lo guardavano indifferenti, l’attesa era frustrante ed Marco si sentiva completamente spaesato.
Il detective non si convinceva di qualcosa, guardando la lavagna in ufficio, c’era un pezzo mancante, ma quale. Decise di tornare a casa della vittima; voleva assolutamente controllare in modo più dettagliato il piano superiore per poi tornare all’esterno; non era possibile che l’assassino non avesse lasciato una minima traccia. Quando Marco lo vide davanti alla porta di casa sua, rimase stupito, ma felice, era convinto che le indagini fossero quasi al termine, ma invece il detective gli disse solo se poteva entrare per fare un controllo del primo piano, così Marco chiamò il figlio e lo fece scendere dicendogli che il detective avrebbe dovuto fare un controllo del piano superiore.
Il ragazzo sbuffando scese e mentre guardava il detective con aria seccata andò a sedersi sul divano con il suo giornalino di fumetti.
Il detective si accorse della reazione del ragazzo e intanto che saliva pensava che avrebbe dovuto parlargli per capire il suo comportamento. Raggiunto il pianerottolo decise di iniziare dalla camera matrimoniale, sperava ci fossero tracce utili per arrivare all’assassino, ma era tutto in ordine e pulito; probabilmente l’assassino non aveva neanche pensato di passare da quella stanza così andò in camera del figlio e vide solo disordine; tra vestiti sparsi, cd vari sulla scrivania e letto sfatto, tracce di sangue o altre sostanze nulla.
Purtroppo, il caso si fece davvero fitto, le cose andavano avanti con molta lentezza ed Marco si stava convincendo che l’assassino non l’avrebbero mai preso. Non aveva molta fiducia in Cristian, ma lui non poteva fare nulla se attendere notizie.
Il detective mentre si stava recando alla porta d’ingresso per andarsene chiese ad Marco che numero di scarpe portasse e lui rimase perplesso di questa domanda improvvisa, ma sperando fosse utile alle indagini, rispose di portare il 45, Cristian ringraziò e se ne andò. Poco dopo Asher chiese al padre perché avesse chiesto il numero di scarpe ed Marco disse che non lo sapeva, ma da come aveva capito, avevano trovato un’impronta nel terreno.
Asher si bloccò e poi fece un segno con le sopracciglia, non si riusciva a capire se fosse un gesto di menefreghismo o se fosse positivo per l’omicidio, ma il padre non ci fece caso più di tanto e così ognuno tornò a fare quello che stava facendo. Asher tornò in camera sua a leggere i fumetti ed Marco continuò a guardare il suo programma televisivo.
Quando il detective se ne andò, decise di tornare subito in ufficio e appena arrivò disse ai colleghi: “allora, mettiamoci a tavolino; che cosa abbiamo oggi del caso. Quattro vicini, il padre e un figlio. Anna, Selene, Michael, Marco, Filippo e Asher. In tutto i sospettati sono sei, cominciamo ad accantonare Anna e Selene che sono donne e noi cerchiamo un uomo”. Un agente in quel momento lo interruppe e disse che l’alibi di Anna era confermato, ma quello di Selene no e propose che anche se non centrasse nulla, di chiederlo per sicurezza siccome sembrava sapere tante cose sul conto del cadavere e di Michael; il detective non sottovalutò le parole del collega e disse che non l’aveva fatto perché il numero di scarpe non combaciava, però avere informazioni in più non sarebbe stata una cosa negativa; gli rispose che dopo quell’incontro, sarebbe dovuto andarla a prenderle per l’ultimo interrogatorio.
Cristian continuò il resoconto del caso; Michael ha il numero che combacia, ma non lo troviamo, Filippo; anche lui il numero è lo stesso, ma dice di portare delle scarpe basse, poi Marco e Asher. Ermes ha il numero più grande, quindi anche lui lasciamolo in sospeso per un attimo, rimangono Michael, Filippo e
Asher. Ipotizzando che il figlio era uscito per le 9:30 perché il padre l’aveva portato a fare compere, rimangono i due vicini di cui uno non si sa dove sia andato e quindi bisogna partire dalla rimanenza, l’uomo senza nome.
Calcolando, ma accantonando per il momento, il rapporto amoroso che poteva esserci tra due sospettati e la vittima; Cristian chiamò Davide e Francesco e disse di procedere nell’andare a prendere Selene per chiederle informazioni del suo alibi e dopo averla lasciata in caserma, avrebbero dovuto controllare Filippo. Dovevano pedinarlo in ogni movimento che avrebbe fatto, il detective voleva sapere quando usciva ed entrava, dove andava e perché.
In quel preciso momento entrò un agente e – “abbiamo trovato le scarpe da running” – il detective fece un sospiro di sollievo, un pezzo in più per concludere il puzzle.
Dopo circa quaranta minuti, arrivarono in caserma con la donna e questa volta Cristian era preparato; la fece accomodare sulla sedia e quando entrò, arrivò con una tazza di caffè caldo, quando lei lo vide gli disse che aveva imparato a come dovesse comportarsi in sua presenza, dopo quell’affermazione il detective si mise a ridere e chiese alla donna dove fosse quella mattina dalle 9:30 alle 10:30 e lei rispose che era andata a trovare il fratello come tutti i sabati mattina e se avessero avuto dei dubbi, potevano chiedere direttamente a lui.
Una donna così sicura di sé non l’avevano mai incontrata, così lei lasciò l’indirizzo del fratello, chiese se potesse andarsene e il detective rispose che era libera. Lei ringraziando per il caffè uscì dalla porta.
Il detective disse a due agenti di andare a controllare l’alibi della donna e sottolineò che se tra i sospettati non ci fosse stata fiducia, il caso sarebbe durato davvero molto. Dovevano calcolare più le parole dei fatti perché gli indizi erano davvero pochi.
Subito dopo Cristian chiamo Davide per dirgli che avrebbero dovuto pedinare Filippo, lui decise di tornare a fare visita a Marco, dopo aver portato le scarpe in laboratorio. Cristian ringraziò l’agente e andò in laboratorio per far esaminare le scarpe trovate, sperando sempre in buone notizie.
Quando arrivò, disse ai colleghi della scientifica di fermarsi sul controllo dei cestini della spazzatura ed esaminare subito le scarpe per capire se il numero fosse un 44, ma soprattutto se la suola combaciasse con l’impronta trovata,
Cristian sarebbe rimasto con la scientifica finché non sarebbero arrivati i risultati, voleva assolutamente sapere se le scarpe trovate fossero quelle usate per commettere l’omicidio. Quando Giovanni affermò che la scarpa rinvenuta era quella dell’assassino, Cristian si sentì euforico, il ragazzo della scientifica aggiunse che dopo aver fatto alcune prove ebbero avuto la conferma, si accorsero anche che c’era una goccia minima di sangue e i suoi colleghi erano al lavoro per provare a capire il proprietario, ma ci avrebbero messo un po’ perché era troppo piccola in più aggiunse che non c’erano impronte decifrabili e quindi su quello, non avevano potuto fare niente e si scusò. Il detective gli disse che non avrebbe dovuto scusarsi, il lavoro che stavano già facendo era impegnativo ed importante e che era un ottimo lavoro, continuò nel dire che appena avessero avuto gli esiti, di avvisarlo.
Decise di tornare in quella casa, voleva andare a controllare se nel cortile ci fossero altri indizi, così quando arrivò suonò il campanello; Marco lo vide dalla finestra, gli aprì senza salutare e lo fece entrare direttamente, chiamò il figlio per faro scendere, ma il detective lo interruppe dicendogli che di sopra ci sarebbe andato forse dopo, prima voleva fare un ultimo controllo in cortile. Marco fece un sospiro di sollievo nel sapere che non sarebbe andato subito al piano superiore, non gli piaceva disturbare il figlio quando era così tranquillo e pacifico in camera sua, lo lasciò passare, ormai il detective conosceva quella casa come le sue tasche e Marco gli chiese se avesse gradito una tazza di caffè, Cristian accettò e lo ringraziò, mentre si avviava per andare in cortile, il padre mise sui fornelli la moka. Durante l’attesa il padre si appoggiò alla porta di vetro e osservava il detective controllare, sperava che riuscisse a trovare qualcosa in più, ormai era esausto di quella situazione.
Quando il caffè fu pronto, Marco preparò la tazza e la portò al detective, ma nello stesso momento, Cristian stava rientrando in casa, così si sederono per un attimo e Marco chiese se avessero novità, il detective non poteva dirgli più di tanto, ma per farlo tranquillizzare gli disse che avevano scoperto che il numero della scarpa dell’assassino era un 44, le scarpe erano da running, altri colleghi stavano verificando il sangue nelle scarpe trovate al confine e intanto che erano uno di fronte all’altro, il detective gli chiese se Ermione potesse avere un’altra storia, specificò che per ora sono voci non confermate non voleva creare disagi in famiglia, ma capire se ci fosse un rischio di un amante e Marco rispose che non aveva nessun’altra storia con nessuno, da quello che sapeva lui, il detective non volle insistere più di tanto, ma gli chiese se ultimamente lei aveva dei comportamenti diversi dal solito e Marco, pensandoci un attimo, rispose che era così, disse che negli ultimi mesi lei si isolava più del solito era un periodo in cui non parlava molto in famiglia, era spesso al telefono a guardare video sui social però non aveva pensato di chiederle se ci fosse qualcosa che non andasse, il detective cominciò a riflettere un attimo, lo ringraziò per il caffè e gli chiese se potesse andare al piano di sopra; Marco chiamò il figlio per farlo scendere e quando lo raggiunse gli disse di avere pazienza e che sarebbe finito tutto, ma solo aiutando il detective sarebbero arrivati ad una conclusione, il figlio capì e senza fare cenno andò a sedersi sul divano. Cristian andò al piano superiore e si mise a controllare di persona una stanza alla volta con molta attenzione.
Quando entrò nella camera della vittima, si avvicinò alla finestra e vide che l’angolo dove aveva trovato il mozzicone non si vedeva, poi girò appena lo sguardo e si accorse che il marciapiede del retro era libero a tutto e a tutti, rimase qualche minuto a riflettere e pensò al fatto che se qualcuno si presentasse in quell’angolo nessuno lo riuscirebbe a vedere, cambiò stanza e arrivò alla camera di Asher ed era sempre incasinata come l’ultima volta, più o meno, lui non voleva scombinarla troppo ed entrò facendo molta attenzione e cominciò a controllare ogni particolare finché notò un pezzo di carta strappato all’angolo del letto, così si avvicinò e lo prese, quando lo aprì vide una scritta non completa, sembrava uno scarabocchio, lo mise nel taschino della giacca e decise di andare subito a farlo controllare, scendendo dalle scale disse che lui aveva finito, salutò e andò subito in laboratorio a far esaminare la calligrafia e a provare a decifrare la parola o le parole scritte e valutare se ci fossero impronte.
Il detective decise di dedicarsi un attimo a quel foglio stropicciato per capire se potesse essere utile alle indagini. Il caso si complicava sempre di più.
Quella ricerca fu molto lunga, e il pensiero del detective era che avevano ancora pochi indizi per poter arrivare a una conclusione, secondo lui c’era qualcosa che gli sfuggiva; così il detective decise di chiamare gli agenti che stavano pedinando Filippo, per chiedergli se avessero novità, ma loro dissero che per ora non sembrava esserci niente di sospetto.
Il laboratorio chiamò il detective per comunicare che avevano il risultato del sangue trovato sulla scarpa e che era quello della vittima, Cristian fece un sorriso, era contento di aver trovato le scarpe dell’assassino, era una notizia davvero ottima. Chiamò subito Marco per digli ciò che avevano scoperto e lui rispose che era felice siccome erano riusciti a trovare qualcosa dell’assassino e la conversazione finì. In quel preciso momento entrò l’agente nell’ufficio del detective per comunicare che Selene aveva detto la verità, Cristian era tranquillo nel sentire quelle parole, aveva già tolto dai sospettati la donna, ma almeno aveva avuto le certezze; ringraziò il collega e lo lasciò tornare al suo lavoro.
Finalmente gli agenti riuscirono a trovare Michael, era tornato in città e appena mise piede dentro casa, lo fecero salire in auto per portarlo in caserma.
Cristian quando lo vide lo guardò con aria di colpevolezza e dopo averlo fatto accomodare gli chiese se sapesse che non doveva lasciare la città; si scusò e disse che purtroppo la madre era stata molto male e doveva aiutare la sorella con le sue bambine. Il detective chiese dove abitassero la madre e la sorella allora Michael cominciò a spiegare quale fosse stata l’emergenza per portarlo a lasciare la città, spiegò che la sorella lo chiamò per dire che la madre non era stata molto bene, per fortuna niente di grave, ma la portarono in ospedale per farle fare dei controlli. Durante la giornata lei stava in ospedale, mentre lui si occupava delle figlie e lui le dava il cambio durante la notte; il padre morì tanti anni prima e quindi lui aveva solo loro come famiglia, si sono sempre aiutati l’uno con l’altro e non era riuscito ad avvisare perché si spaventò molto.
Disse che sua madre era ricoverata all’ospedale Maggiore e aggiunse che appena la lasciarono andare a casa, lui tornò e che non avrebbe mai voluto causare caos durante le indagini. Michael disse al detective che avrebbero potuto fare i controlli senza problemi così lasciò i dati della madre e della sorella, compreso l’indirizzo. Sembrava sincero in quel momento, ma intanto il detective gli chiese come mai la vittima era stata a casa sua la sera prima dell’omicidio, Michael impallidì e disse chi l’avesse mai detto e il detective gli rispose che non è l’unico sospettato e c’è chi è convinto che la vittima potesse avere un amante o una storia con lui. Michael si soffermò un attimo e poi decise di parlare; disse che quando Ermione andò da lui era stato per ridargli la collana che le aveva regalato, specificando che non ne voleva più sapere e che doveva smettere di assillarla e poi se ne andò, lasciandolo solo con quella collana tra le mani. Il detective gli chiese se Fosse disposto a portargli la collana e l’uomo disse che l’indomani l’avrebbe consegnata senza problemi. Ringraziandolo per la disponibilità, lo fecero andare.
Cristian disse a degli agenti di andare all’ospedale per controllare se effettivamente la madre di Michael fosse stata ricoverata e anche a confermare l’indirizzo della sorella, i due andarono immediatamente a fare un controllo, ma dissero che ci avrebbero messo un po’.
Il giorno dopo Michael portò la collana al detective e lui ringraziandolo la prese; lo portò alla scientifica per farla esaminare, ma non voleva soffermarsi più di tanto su quella collana perché aveva capito che Michael aveva detto la verità. Dopo diverse ore, gli diede indietro la collana che aveva controllato e lo lasciò andare.
Quando uscirono dalla stanza, gli agenti si misero in auto e Cristian venne fermato da una ragazza della scientifica che disse che erano riusciti a decifrare la parola del foglietto che aveva consegnato ai colleghi e c’era scritto amore in latino cioè, “amare”. Il detective confuso decise di agire immediatamente, diede l’ordine di far scrivere la parola a tutti gli abitanti di quella città, dovevano confrontare tutte le parole con il biglietto trovato in camera di Asher, uomo o donna, non fecero differenza, erano ancora molto lontani dall’assassino.
Ci misero giorni a raccogliere tutte quelle parole.
Il detective pensò che potesse essere una lettera d’amore di Asher, poteva essere che lui avesse la fidanzata, così il detective chiamò Marco e gli chiese se il figlio potesse avere una ragazza, ma lui negò perché il ragazzo era quasi sempre in casa a leggere, se usciva era per andare a scuola oppure per andarsi a prendere un gelato o a fare qualche camminata, nulla di più non stava mai fuori più di tanto. Le indagini furono quasi al punto di partenza.
Confrontando mezza città, il detective si rese conto che nessun aveva quel tipo di scrittura, dovette aspettare gli ultimi risultati e sperare di trovare lo scrittore di quella lettera d’amore.
Mentre i giorni passavano, Marco si sentiva sempre più solo, era entrato in depressione e decise di provare a scrivere ai suoi vecchi amici. Per primo scrisse a Matteo, ma lui non rispose, poi provò con Aleandro, ma anche lui un buco nell’acqua, provo anche con gli altri, ma da nessuno una risposta.
Intanto che pensava, provò a fare delle ricerche su internet, voleva capire e complimentarsi per il loro successo, ma quando inserì il nominativo di ognuno, scoprì cose sconvolgenti. Matteo andò in bancarotta, c’era un articolo dedicato solo a lui. La sua ricchezza era andata in fumo, era cascato nel gioco d’azzardo fino a spendere i suoi ultimi centesimi, era indebitato fino al collo.
Aleandro aveva avuto un incidente sul lavoro, morì sul colpo.
Jacob volle provare il deltaplano, era andato sugli appennini e quando provò, perse il controllo e andò contro una roccia che colpì con la testa, i soccorritori non riuscirono a fare nulla per poterlo salvare.
Lola era diventata una spacciatrice, aveva letto che era stata arrestata più volte per spaccio e infine Beth, anche lei si ritrovò al verde causa dell’uomo che sposò. Lui aveva portato Lola alla rovina, Marco vide un video online in cui lei minacciava il marito per il furto di molti suoi beni.
Quando Marco lesse gli articoli di ogni amico, c’era rimasto male, non riusciva a credere che fossero finiti nel fango più totale era dispiaciuto per quello che aveva appena scoperto. Cadde in una depressione pesante, non sapeva più cosa fare, suo figlio lo aiutava in tutto e il ragazzo, molto lentamente vedeva il padre consumarsi.
La mattina seguente il detective andò in laboratorio per capire a che punto fossero le indagini e i colleghi dissero che con i cestini non avevano ancora finito, ma che scoprirono la calligrafia del biglietto trovato in camera del ragazzo e aggiunsero che combaciava con quella di Filippo; Cristian esclamò – “la lettera era sua!”, si domandò perché l’uomo gli avesse tenuto qualcosa nascosto durante l’interrogatorio? Potrebbe esserci una storia d’amore tra i due?
Lui era innamorato e si era dichiarato? Ma perché era in camera del ragazzo?
Tante domande a cui non seppe rispondere e l’unico modo per avere delle risposte era provare a chiedere all’uomo. Il detective chiamò gli agenti per chiedere se avessero novità sul controllo di Filippo e Francesco rispose che in quel preciso momento si stavano recando in caserma per incontrarlo; Cristian molto fiero dei due disse che si sarebbero visti in ufficio.
Quando gli agenti arrivarono in caserma dopo aver pedinato per diversi giorni filippo, Davide disse: “capo, niente di sospetto, esce ogni mattina alle 7 e torna verso le 12, poi esce nel pomeriggio alle 14 e rientra alle 17.
Normalmente si avvia verso il bar, poi va al lavoro; lavora nell’azienda bancaria della città e al pomeriggio va oltre il confine e noi non possiamo andare oltre signore “, Cristian non rispose a quello che gli disse il collega, si soffermò a dargli l’ordine di andare da lui e a prenderlo per poi portarlo in caserma il prima possibile.
I due agenti partirono immediatamente per andarlo a prendere. Arrivati alla casa di Filippo, Marco stava spiando dalla finestra del soggiorno per provare a capire cosa stesse succedendo, così chiamò il detective e gli chiese se ci fossero novità, e lui rispose che erano sulla strada giusta, ma che si sarebbe fatto sentire appena avesse avuto prove concrete. Marco gioì, anche se era in una fase critica della sua vita, si convinse che fossero arrivati quasi al termine del caso ed era ancora più felice quando vide Filippo salire sull’auto degli agenti, era sempre più convinto che lui avesse ucciso Ermione.
Davide e Francesco portarono l’uomo in caserma e appena arrivarono Filippo, con aria molto arrogante disse: “cosa sta succedendo, siete impazziti?”
Cristian aveva già capito che Filippo aveva un caratterino particolare, così rispose che stavano semplicemente proseguendo con il caso e sottolineò che era il loro lavoro. Il detective si sedette di fronte a lui, ci fu un attimo di silenzio e poi proseguì con le domande – “eri innamorato della vittima o eri l’amante?” –, Filippo rimase stupito della domanda che gli fece il detective, e – “abbiamo trovato un pezzo di una lettera, sappiamo che l’hai scritta tu puoi raccontare, ti ascolto” – continuò il detective.
Filippo pensò che ormai il suo segreto non sarebbe stato più un segreto, così gli disse che le aveva scritto una poesia, nulla di che, il detective lo interruppe dicendogli che se avesse mentito ancora o se non avesse detto tutto, per lui le cose potevano mettersi male, l’uomo si trovò incastrato, non sapeva più cosa dire se non ciò che sapesse e quindi – “ok, io ed Ermione eravamo innamorati, si, ci conoscevamo fin da piccoli ed è anche vero che la mettevo quasi sempre in imbarazzo, ma da quando i suoi genitori morirono, ho sempre provato ad avvicinarmi a lei però mi rifiutava. Ad un certo punto mi scrisse, prese lei l’iniziativa e parlammo, la prima volta che mi cercò tramite un messaggio era stato per dirmi che si era trasferita e poi, giorno dopo giorno ci sentimmo, nulla d’impegnativo, ci sentivamo spesso, ma per parlare della giornata passata finché un giorno, mi disse che era felice, aveva conosciuto questa persona e dal momento in cui si trasferì dalla sua amica mi fece sapere di lui, ma non me ne aveva mai parlato come poco prima del mio trasferimento.
Non volevo perderla e quando vidi la casa in vendita in città, non ci pensai due volte, la presi subito. Volevo provare a conquistarla, sapevo di renderla felice e comunque sono benestante anche io, ma sicuramente lo sapete e i soldi che ho sono tutti dichiarati e potevo benissimo permettermi una casa a Soandal. Sempre più nervoso continuò a dire –“Mi state accusando di aver ucciso la donna che amavo, se fossi un killer ucciderei il marito non lei” – il detective senza dirlo affermò la sua frase, non aveva senso uccidere chi si ama, piuttosto la persona di troppo, l’uomo continuò – “quando arrivai, lei fu sorpresa, mi arrivò un suo messaggio poco dopo che mi vide, non capivo se mi volesse oppure no; mi scrisse che ero un pazzo ad essermi trasferito vicino a casa sua e che se l’avessi fatto, avrei rovinato tutto, ma non mi interessava, io volevo stare con lei. Con il passare dei giorni ci avvicinammo sempre di più, qualche volta andavamo sotto il ponte per stare tranquilli, dovevamo stare attenti a non farci vedere, non voleva lasciare il marito perché c’era di mezzo un figlio adolescente e mi faceva solo rabbia, poi è morta” – il detective annotò parola per parola, gli chiese dove fosse quel sabato mattina e Filippo rispose che era a casa da solo,
Cristian cominciò ad insospettirsi gli chiese se ci fosse altro, lui negò e lo lasciò andare. Voleva riflettere per un momento e provare a capire cosa collegasse tutto, così decise di fare un altro tentativo, chiamare Asher, forse lui avrebbe detto qualcosa in più, siccome quel pezzo di carta era in camera sua, decise di chiamarlo per farsi raggiungere e quando il ragazzo andò in caserma, lo fecero accomodare nella stanza degli interrogatori e gli fecero diverse domande; gli chiesero se sapesse che la madre si vedeva con il vicino, se sapeva che lui scrivesse lettera a lei e Asher rispose che aveva visto più di una volta la madre con Filippo, dicevano sempre a tutti che erano nemici, ma lui molte volte gli mandava lettere e una volta trovò una lettera che diceva che sarebbe voluto fuggire con lei, per dimostrarle il loro amore, ma appena la lesse la strappò, si vede che nel suo casino un pezzetto era caduto e sua madre non se n’era mai accorta perché in camera non ci andava più di tanto siccome gli diceva sempre che il suo disordine lo doveva sistemare da solo. Disse anche che suo padre non sapeva nulla di Filippo perché avrebbe chiesto subito il divorzio e che non avrebbe mai dovuto saperlo; aggiunse anche che da un angolo della sua finestra, si vedeva dietro la pianta del cortile. Il detective si incuriosì e gli disse se poteva farglielo vedere, così Asher molto furbo, gli disse di fingere di controllare qualcosa in casa e quando sarebbe entrato, di dire che doveva vedere la camera con lui presente. Il detective si convinse, ma prima di lasciare andare via il ragazzo gli chiese che rapporto ci fosse nell’ultimo periodo con la madre; Asher rispose che si erano allontanati da anni, il rapporto che avevano prima non c’era più e a lui mancava molto, parlavano meno e lui stesso da quando aveva visto la madre con Filippo si era chiuso in sé stesso. Aggiunse anche che suo padre essendo quasi sempre fuori non si accorgeva di quello che accadeva in casa e non sapeva se si rendesse conto che la madre passava le giornate al cellulare. Il detective capì che la situazione in famiglia era cambiata, ma la curiosità del vedere la finestra era molta e quindi decise di lasciare andare il ragazzo e attese il giorno dopo per vedere ciò che gli avesse detto. Marco ignaro di tutto chiese ad Ash cosa gli avessero chiesto e lui attore molto bravo, disse che erano le solite domande standard e se ultimamente avessero visto qualcuno che li seguiva o pedinava. Marco non disse niente e lasciò le cose come erano.
Arrivò il giorno successivo dall’incontro tra Cristian e Asher, verso le 11.00 di mattina, il detective si presentò da Marco, lui lo fece entrare e disse se poteva andare di sopra a vedere la camera di Asher con il ragazzo perché non l’avrebbe disturbato, avrebbe fatto un controllo veloce della finestra, Marco un po’ incredulo di quella richiesta disse che non aveva problemi, ma che avrebbe preferito chiedere a suo figlio così chiamò Ash e gli chiese se per lui andasse bene ospitare nella sua camera il detective e il ragazzo accettò senza problemi; era diventato davvero collaborativo rispetto gli inizi.
Quando entrò, Cristian vide la stanza leggermente più ordinata e chiese al ragazzo cosa fosse successo e lui disse solo che era ora di crescere e assumersi le proprie responsabilità. Il detective gli sorrise, poi Asher lo accompagnò dalla finestra e gli disse il punto preciso –“se apri la finestra e ti sposti più a destra possibile, riesci a vedere una piccola fessura, piccola, ma grande abbastanza per controllare l’angolo e se questa finestra che è quasi sempre aperta con le tende davanti, da fuori non ti accorgi che ti fisso, ma io dall’interno, vedo e sento”, Cristian si stupì di cosa avesse scoperto il ragazzo e gli chiese, se sapesse che la madre fumava e lui affermò, gli rispose che era Filippo a portargli le sigarette e lei si metteva a fumare proprio in quell’angolo, aggiunse che a volte restavano a parlare e altre se ne andava via subito. Ma di loro, so tutto da quando hanno iniziato. Cristian era molto curioso di quella storia d’amore e chiese ad Asher come fosse iniziata e cosa sapesse. Il ragazzo decise di sedersi sulla sedia davanti alla sua scrivania e cominciò a dire che quella lettera non era la prima che avesse letto, ne aveva lette veramente tante, ma non sa se sua madre gli rispondeva, diceva che le prima che leggeva le metteva in ordine, dove l’aveva presa la rimetteva, ma dopo un po’ cominciava a strapparle e lui aveva la sensazione che Filippo l’avesse capito e quando si incrociavano lo guardava sempre con aria minacciosa, ma sinceramente non si erano mai parlati.
Il detective ringraziò il ragazzo e lo salutò, mentre scendeva le scale, salutò anche Marco, ringraziandolo di avergli aperto e tornò al lavoro.
Andava di continuo nel laboratorio per capire se ci fossero novità, ma si rese conto che i risultati erano ancora molto lontani e lui sperava sempre in una svolta del caso. I giorni passavano e le indagini sembravano ferme, il detective non si dava motivazione per non riuscire a trovare l’assassino e così, decise di tornare in quella casa ancora una volta, ma prima chiamò gli agenti per fare un resoconto generale. Quando Davide e Francesco arrivarono in ufficio si sedettero e cominciarono ad ascoltare il detective – “Anna e Selene sono fuori dall’elenco dei sospettati. Abbiamo Michael, Filippo, Marco e Asher, Marco ha il numero più grande di quello dell’assassino, dobbiamo togliere anche lui dall’elenco, Michael potrebbe essere benissimo l’assassino perché nessuno ha confermato il suo alibi, Asher era con suo padre e uscendo alle 9:30 e tornando nel pomeriggio non poteva commettere l’omicidio, quindi anche lui aggiungiamolo all’elenco, manca Filippo; dobbiamo soffermarci su di lui e capire cosa avesse fatto quel sabato mattina. Il detective uscì dalla porta dell’ufficio per andare a casa della vittima e quando arrivò, suonò il campanello, Marco aprì la porta; Asher era uscito da pochi minuti, ma il detective disse che avrebbe voluto fare un controllo sbrigativo.
La cucina era in ordine, il coltello mancante era quello usato per uccidere
Ermione, la sala era pulita, le uniche impronte che c’erano erano quelle di Ash,
Ermione ed Marco, il cortile a parte quell’impronta sbiadita vicino la porta di vetro e quel mozzicone, nulla di nuovo; il detective decise di tornare al piano superiore; la camera matrimoniale nulla di sospetto, il bagno uguale, Cristian si trovò immobile in corridoio a pensare, si era fermato davanti alla porta della camera di Ash; alzando lo sguardo, rifletteva su cosa gli stesse sfuggendo finché alzò gli occhi e dietro la testiera vide un qualcosa di strano, il muro era color grigio cenere e non capiva cosa fosse quella macchiolina bianca nel muro. Così si avvicinò e spostò il letto, appena lo mosse, cadde qualcosa.
Si chinò per capire cosa fosse e vide un foglio bianco, lo prese e capì che era una lettera aperta e il detective pensò a quello che Asher gli disse; tra Ermione e
Filippo c’era davvero qualcosa? Prese la lettera, la mise nel taschino e quando scese disse ad Ermes che per il momento poteva bastare e che si sarebbe fatto sentire se avesse avuto delle novità, salutò e se ne andò.
Asher dopo pochi minuti arrivò a casa e corse subito in camera e appena entrò si accorse che il suo letto era stato spostato, così capì subito che il detective aveva preso la lettera che aveva nascosto dietro la sua testiera, non ci diede peso, tanto sapeva già che sua madre e Filippo si vedevano, così, ignorando l’accaduto, tornò a leggere il suo giornalino di fumetti. Cristian, decise di chiamare Filippo, voleva arrivare in fondo a quella faccenda. Appena arrivò in caserma, il detective lo fece accomodare nella stanza degli interrogatori e cominciò a interrogarlo e lui confessò tutto, tanto ormai lei era morta. Disse che lui ed
Ermione si erano sempre amati, lui l’amava anche quando non ricambiava il suo amore fino a poco prima che si trasferisse; disse che qualche anno prima si incrociarono casualmente nella gelateria all’angolo, era andato a trovare la sorella e voleva portarle un dolce per ringraziarla dell’invito e si incontrarono casualmente, si misero a parlare, secondo lui sembrava diversa. Con il passare dei giorni, andò a finire che cominciarono a vedersi; ogni venerdì, il figlio era a scuola tutto il giorno, Marco andava sempre a fare spesa e loro si incontravano sotto il ponte. Era diventato un incontro fisso e lui voleva vederla sempre di più anche se abitava di fronte a lei, così senza farsi notare troppo, faceva il giro intorno alla casa fino ad arrivare al suo cortile, si fermava sempre all’angolo perché non voleva farsi vedere. Il detective chiese se non avesse mai pensato al figlio, avrebbe potuto vederli e lui disse che era talmente concentrato a farsi i fatti suoi, che non si sarebbe mai accorto di niente. Secondo Filippo, il figlio era un tontolone addormentato. Cristian chiese cosa avesse fatto quel sabato mattina e Filippo disse che era rimasto a casa ad ascoltare un po’ di musica, ma viveva da solo e nessuno poteva confermarlo.
Dopo quella conversazione, il detective lo lasciò andare però gli disse che se avesse avuto bisogno, avrebbe dovuto essere reperibile, non poteva assolutamente lasciare la città.
Il detective decise di tornare in caserma, nella stanza dei sospettati e valutare per un attimo la situazione. Il coltello sporco di sangue non aveva nessun tipo d’impronta se non quella della vittima. Scarpe da running colore nero con le strisce verdi e una minima goccia di sangue, che però il sangue trovato, era sempre della vittima. Il mozzicone con la saliva della vittima e una lettera scritta dal vicino di casa. Non avevano molti indizi, non riusciva a capire quale fosse il pezzo mancante. Filippo se avesse voluto uccidere qualcuno, avrebbe ucciso il padre, anche se lui aveva detto che non aveva scarpe da running, Asher le sue scarpe le buttò tempo prima perché erano rotte, se avessero usato delle scarpe rotte, sicuramente l’impronta sul terriccio sarebbe stata molto meno chiara di quella trovata. Cosa sfuggiva ancora al detective?
Dopo aver riflettuto nel suo ufficio, il detective decise di chiamare Marco e Asher, era obbligato, era sicuro di essere vicino al risolvimento del caso.
Prima di chiamare il padre decise di vedere solo il figlio e quando il ragazzo lo raggiunse, gli spiegò che non sarebbe più riuscito a tenere la cosa nascosta perché le indagini dovevano andare avanti, Asher, molto sveglio dovette accettare il fatto che il padre avrebbe scoperto i tradimenti da parte della madre, così Cristian chiamò anche Marco e quando si presentò, vide Asher, e gli chiese che cosa ci facesse in caserma e il figlio, con aria preoccupata rispose di sedersi, Marco stupito rimase in silenzio e si sedette vicino a lui.
Il detective tirò fuori la lettera che aveva trovato in camera del ragazzo, il padre chiese cosa fosse, così Cristian gli disse che era una lettera d’amore da parte di Filippo per Ermione. Marco rimase scioccato, schifato, arrabbiato e Asher gli disse che non avrebbe mai voluto farglielo scoprire anche se lui lo sapeva da tanto tempo. Marco cominciò a piangere, non volle neanche sapere cosa ci fosse scritto in quel pezzo di carta e decise di andarsene. Il detective notò la sua reazione e lo lasciò stare, disse al ragazzo che poteva raggiungere suo padre e che li avrebbe richiamati. Prima di tornare a casa, Marco si fermò da Filippo e gli diede un pugno veramente forte da fargli sanguinare il naso.
Filippo chiamò subito la polizia e ovviamente le voci arrivarono al detective che fece arrestare Marco e gli disse che non si poteva permettere di reagire in quella maniera siccome è in corso un caso in cui ne faceva parte, volle anche specificare che erano ancora tutti sospettati, e sottolineò che se avesse fatto un solo altro errore avrebbe dovuto arrestarlo per un periodo più lungo, e lo lasciò andare. Era solo un avvertimento.
Durante il viaggio verso casa, Marco chiese ad Ash perché la lettera l’avesse lui, così Asher gli raccontò che a volte capitava che era lui a prendere la posta e spesso vedere lettere tutte uguali, finché una non la prese e quando la lesse cominciò a capire. Aggiunse che li vedeva sempre nel cortile, anzi li sentiva, lui ha sempre tenuto la finestra aperta con le tende chiuse e sentiva benissimo cosa succedesse fuori. Così, si metteva ad ascoltare tutte le volte che Filippo si vedeva con la madre in cortile, ma non disse mai niente, era un suo segreto per capire quanto sarebbe durata e non avrebbe mai voluto che loro si lasciassero. Ogni volta che li sentiva parlare, diceva di sentire dei brividi lungo la schiena e pensava al coraggio che avesse sua madre nel dire bugie continue, ma quel giorno si affacciò per capire cosa stesse succedendo e vide sua madre toccare filippo, lui alzò lo sguardo e si accorse che Asher li stava osservando, e sorrise, uno di quei sorrisi piacevoli, forse voleva farsi scoprire così sua madre e suo padre si sarebbero lasciati e lui avrebbe avuto il via libera, ma la prima cosa che pensò Asher, era solo il fatto che quei due stavano prendendo in giro tutti nel far credere il loro odio, ma che in realtà era solo una messinscena. Gli venne solo una grande rabbia, rimase a fissarli tutto il tempo finché lui se n’è andò; subito dopo, Asher andò dalla madre, per capire il suo comportamento e soprattutto se
Filippo gli avesse detto che l’aveva visto dalla finestra, il ragazzo si comportava come se nulla fosse successo e lei sembrava così tranquilla in quel momento, quando tornò in camera ci pensò tutta la notte. Marco scoppiò e volle sapere a tutti i costi cosa ci fosse mai scritto in quella lettera, si recò subito in caserma con Asher, era fuori di sé e disse al detective di fargli assolutamente leggere quella stupida lettera. Cristian vedendo la reazione del padre gliela diede e lui cominciò a leggere ‘ angelo mio, quando mai potremmo stare insieme per davvero. Pur essendo vicini, non ti ho come vorrei. I tuoi baci, le tue carezze sono essenziali per me. Non smetterò mai di scusarmi per il dolore che ti ho causato in passato, ma sappi che io, potrò renderti la persona più felice di questo pianeta. Amore mio, non vedo l’ora di portarti ancora vicino al ponte, ma fino ad allora ti penserò. Il tuo Fil’.
Marco piangendo stropicciò la lettera e quella rabbia che provava in quel momento era davvero intensa, ma pur di offendere il vicino, fece il suo commento non essenziale, come lettera, era davvero ridicola e lui era solo un buffone, non sarebbe mai stata felice con un uomo così.
Finito di leggere, Marco salutò e se ne andò con il figlio, si vedeva da subito che era a pezzi, ma Cristian lo fermò per un istante e gli aveva chiesto a che ora fosse arrivato a casa per andare a prendere Asher quella mattina e lui disse che non si ricordava, ma tra le 9:30 e le 9:40, Cristian guardò il ragazzo e lui rispose che non aveva guardato l’ora quando era uscito, voleva solo andare a fare dei giri con il padre, ma Asher disse anche che quella mattina, mentre si stava preparando Filippo era andato da sua madre, non sapeva a far cosa perché aveva fretta di uscire, ma li aveva sentiti mentre si salutavano, Cristian lo ringraziò e li lascio andare. Il detective cominciava ad irritarsi con le continue mezze verità di Filippo, così chiamo Davide e Francesco e disse di andarlo a prendere e portarlo in caserma, gli agenti si misero subito al lavoro.
Durante il tragitto verso casa, il padre disse ad Asher che da grande sarebbe diventato un uomo davvero umile. Lo ringraziò per il segreto mantenuto, aveva capito che anche suo figlio soffriva nel vedere Ermione con un altro uomo e gli aveva promesso che da quel momento non l’avrebbe mai abbandonato; Asher sorrise nel sentire quelle parole e gli disse che non l’avrebbe mai più fatto soffrire.
Gli agenti arrivarono con Filippo e il detective, molto arrabbiato gli disse:” continui a girare intorno alle cose, una donna è morta e noi vogliamo scoprire la verità. Quel sabato tu eri andato da lei, cosa hai fatto?”, Filippo sconvolto dalla reazione di Cristian rispose:” le ho portato una sigaretta, non pensavo fosse importante siccome è stato un incontro di pochi minuti. Non ci siamo mai visti al mattino se non il venerdì e voglio precisare nuovamente che io ero a casa a fare gli affari miei ed ero innamorato di quella donna, volevo sposarla non avevo un motivo valido per ammazzare lei”, il detective non si convinse molto, ma doveva attendere gli ultimi risultati dal laboratorio, anche se avesse voluto fare qualcosa, non avrebbe potuto farlo, lasciò andare Filippo.
Con l’avanzare dei giorni le indagini non andavano avanti, il detective si domandò se effettivamente fosse il delitto perfetto, non si giustificava.
In quel preciso momento, i colleghi della scientifica chiamarono il detective per comunicargli che avevano terminato il controllo dei cestini e della spazzatura raccolta, così Cristian disse che li avrebbe raggiunti.
Appena arrivò in laboratorio, Giovanni disse che i cestini erano puliti, avevano solo qualche impronta della vittima, ma nulla di più, dentro i sacchetti invece c’erano cianfrusaglie varie e poco importanti finché non trovarono un paio di guanti e studiandoli per bene, si accorsero che c’era del sangue; Cristian, non riusciva a crederci di aver finalmente trovato un indizio valido, disse di fargli vedere subito il risultato del sangue trovato e che avrebbe aspettato nel caso ci fossero state impronte; Giovanni cominciò a dire che il sangue era di Ermione, la vittima, ma disse anche che avevano trovato un altro tipo d’impronta che non era la sua, il collega della scientifica con il braccio indicava dove sarebbe dovuto andare il detective per vedere a chi apparteneva l’impronta trovata e quando Cristian vide al computer il risultato, Giovanni disse che poteva essere l’assassino, il detective rimase scioccato, non riusciva a credere che il killer era sempre stato d’avanti ai suoi occhi.
Dopo circa una settimana il detective chiamo Marco e gli disse di andare subito in caserma con il figlio, disse che finalmente avevano chiuso il caso.
Marco era emozionato nel sentire quelle parole, chiamò subito Asher per dargli la notizia appena ricevuta. Il ragazzo era un po’ incredulo nel sentire quelle parole, ma seguì il padre in caserma.
Appena arrivati Cristian li fece accomodare e Marco notò subito che negli angoli della stanza c’erano alcuni agenti immobili, ma pur non capendo il motivo non chiese; lui era solo in agitazione per sapere chi avesse mai ucciso Ermione.
Cristian, guardandoli cominciò:” allora, Filippo ed Ermione avevano una storia, vivevano una relazione alle spalle di tutti. In casa non c’erano indizi che potessero essere utili, agli inizi.
Abbiamo trovato solo l’impronta che era vicino all’ingresso e un mozzicone di sigaretta, probabilmente Ermione cercava di mettersi nell’angolo nascosta e solo quel punto della casa, da qualsiasi finestra non si sarebbe visto o per lo meno si credeva fosse così.
Marco lo fermò e disse, se lo stesse accusando perché aveva l’amante e se la lettera fosse davvero di Filippo, gli avrebbe mentito da quanti anni. Il detective notò che si stava agitando così lo fermò e gli disse di calmarsi perché non sarebbe stato d’aiuto.
Marco non capiva cosa stesse succedendo, in quella stanza si stavano scoprendo troppe cose e tutte insieme; il padre non era sicuro di essere in grado di affrontare tutto e accettare i fatti accaduti, ma continuò a lasciare parlare il detective; Cristian fece cenno con la testa e continuò a spiegare, sperando di non essere più interrotto.
Spiegò che le scarpe da running le avevano trovate al confine del paese, combaciavano dal tacco consumato e la lunghezza, erano un 44, scarpe nere con strisce verdi e appena Marco sentì il colore alzò lo sguardo e disse “no, non può essere davvero” e il detective senza parlare annuì.
Cristian disse: “Asher, tu sapevi del rapporto di filippo con tua madre, quelle lettere che tu eri riuscito a prendere le buttavi, sicuramente erano più di una” il ragazzo mosse le sopracciglia e il detective continuò -:” le scarpe da running le abbiamo trovate al confine della città.
L’impronta era vicino alla porta d’entrata sul retro, l’assassino non poteva essere andato molto lontano, nessun indizio utile in tutta la casa, anzi la casa era fin troppo pulita e nessun segno di lotta.
Le accuse potevano benissimo cadere su Michael, in effetti il numero di scarpe combaciava e non aveva alibi per dimostrare la sua innocenza, come Filippo, ma pur facendo diverse ricerche e tantissimi giri per la città, gli alibi dei vicini in un modo o nell’altro erano confermati”.
Marco si alzò in piedi e fece cadere la sedia mentre disse:” spero che voi state scherzando?”, Cristian gli disse di sedersi, il suo guardo era cambiato faceva quasi paura e Marco in silenzio, ascoltò.
Il detective continuò – “e tu, quando hai visto Ermione toccare con le sue mani, il corpo di Filippo, non hai più ragionato.
Quel sabato mattina, uno dei tanti, quando Filippo si allontanò, hai controllato che la zona fosse libera, sei corso da lei e l’hai assassinata dandole un calcio sul polpaccio destro per poi accoltellarla e farla morire di agonia e questo, poco prima di uscire di casa.
Ora arriva la ciliegina sulla torta; sarebbe stato l’omicidio perfetto se non avessi tralasciato un piccolo particolare. Hai buttato i guanti che hai usato per commettere l’omicidio in uno dei cestiti di casa, azione davvero ingenua, oltre al fatto di aver mentito di aver buttato le scarpe da running perché si erano rovinate”.
Ash impallidì, nel sentir parlare il detective e sentiva la storia così dettagliata. Marco si trovava totalmente spaesato, non riusciva a capire il senso di tutte quelle parole finché Asher non iniziò a dire – “cosa avresti fatto se dopo tanti anni continuavi a vedere tua madre a tradire tuo padre? Come avresti reagito sapendo che lei era una bugiarda e traditrice? Come saresti andato a dormire la notte sapendo che con quelle mani toccava un altro uomo e poi ti accarezzava prima di dormire? Dopo tutti questi anni, non sono più riuscito a resistere, quel tradimento versò papà era troppo da sopportare; mi venne una rabbia che non sono riuscito a fermare e il mio odio era superiore all’amore che avevo nei suoi confronti” – lui si reputò il figlio di una madre facile ed Marco rimase scioccato nell’aver sentito tutte quelle parole uscire dalla bocca di suo figlio.
Calò il silenzio per qualche minuto e mentre gli agenti stavano mettendo le manette ad Asher lui guardando suo padre disse: “papà scusa, ti voglio bene”. Marco era in lacrime, sua moglie morta e il figlio in galera, peggio di così non sarebbe mai potuto andare, si sentiva a pezzi.
Mentre racconto la mia storia, sono seduto su una seggiola di un tribunale a parlare con un ragazzo per me sconosciuto e sperare che il giudice capisca un atto grave, ma stupido.
Sono qui a pregare e ad accettare una punizione severa e giusta, ma che un ragazzo di 15 anni non può essere arrestato per la sua immaturità che lui stesso non sapeva gestire; l’immaturità dell’adolescenza potrebbe essere pericolosa, bisogna mettersi nei panni degli altri a volte, lui non poteva capire cosa stesse facendo in quel momento. Gli ho promesso che sarei stato sempre accanto a lui e così sarà. Che la giustizia faccia il suo compito, ma nell’attesa io, sarò ancora in quella casa ad aspettarlo.
Ringraziamo per ciò che abbiamo senza dover fare dei paragoni con gli altri perché ognuno di noi è unico a modo suo.
Cosa dire, il destino ha già segnato la nostra vita, non possiamo cambiarla, forse rallentarla, ma il cammino da prendere sarà sempre quello scritto.
Ognuno di noi ha uno scheletro nell’armadio;
non ne parliamo, ma sappiamo che c’è, e probabilmente ce ne vergogniamo. Potremmo definirla debolezza, ma sappiamo che quello scheletro
resterà costudito per sempre.
Ad oggi, viviamo la vita come se non avesse fine.
Siamo sicuri di svegliarci l’indomani e ci prepariamo a concludere il
giorno presente per vivere quello successivo.
Il tragitto del sonno si potrebbe definire attimo di morte?
Chi lo potrà mai sapere.
Dal momento in cui il soggetto è venuto al mondo, era già predisposto a fare un tipo di vita, pur provando a rallentare l’algoritmo, ciò che è stato già scritto sarebbe dovuto accadere.
Noi siamo solo la pedina di una scacchiera,
non abbiamo scelto di nascere, non sceglieremo quando morire
e non sceglieremo realmente come vivere.
Il destino è solo uno e noi non sapremo mai cosa ci aspetta un domani.