Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Novella d’estate” di Ilaria Pizzini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Aveva gli occhi del mare.

Non l’azzurro ceruleo che sembra da lontano e non è che il riflesso del cielo d’estate, ma il verde fluido dell’acqua di Positano, un po’ al largo, quando vedi le rocce sotto di te.

Si muove tra la folla, liquido eppure forte e presente, i pantaloni blu o forse neri e la camicia a righe grosse. È il mio primo ricordo, e subito l’ansia di scoprire chi fosse. «Uno del posto, Salvatore o Gennariello o un nome così…esce con un’inglese e ha un barchino verde verde». Non mi piace quel che dice Giusy, ma lei sa tutto; sono tre giorni che siamo qua e già conosce vita, morte e miracoli del circondario. Dio che strano, mi mette l’angoscia e nello stesso tempo vorrei che mi notasse, ma se sta con un’inglese gli piaceranno bionde e slavate, non brune e rigorosamente mediterranee come me. Meglio far finta di niente e giocare con le parole e con questi ragazzi di pianura come noi, che come noi sono in vacanza dopo un anno di nebbia e si aspettano di provare l’avventura del mare. Mi sono meritata la vacanza quest’anno, la prima dopo la maturità, così siamo qui in tre – io, Manuela e Giusy – le tre leonesse (siamo tutte d’agosto) del liceo alle prese con l’orgogliosa indipendenza della maggiore età. Abbiamo già fatto amicizia con una banda di mantovani e ci muoviamo con le loro Vespa tra una spiaggetta e l’altra, alla vana ricerca del posto perfetto.

Le fitte nel cuore cominciano qui e io le riconosco il giorno dopo, in spiaggia. Infatti è lui, sul suo barchino verde verde che punta diritto sul mio materassino e lo schiva all’ultimo momento, con una mossa un po’ da bullo, quelle che non mi piacciono e mi fanno venire il nervoso. Però mi guarda, ci guardiamo.

Ho visto l’inglese: è davvero alta e slavata e bionda e dolcissima e abita qui, si è fermata l’anno scorso dopo averlo conosciuto.

Lo guardo ancora, non ne posso fare a meno, e lo seguo fino al largo con gli occhi e, di già, con il cuore.

È di nuovo quasi sera, il momento tutto mio nell’acqua del mare. Mi diverto a fare il morto, per non muovere e non disturbare questa dolcezza silenziosa che mi circonda (gli altri sono già risaliti). Che importa se quando esco sono blu, il mare è mio, lo riconosco così come lui riconosce me. Chi ha detto che esiste il color “cenere di rose” deve aver visto Positano a quest’ora. Un fruscìo tra le onde inesistenti, è lui. Nuota senza che il mare si sposti, con la sicurezza e l’amore che hanno solo i marinai.

«Ciao, chi sei, ti ho visto ieri sera» – ha la voce che mi aspettavo, calda e fonda con l’accento speziato di queste parti.

«Sono Novella».

«Raffaele». Un’altra fitta, che strano, mi sto abituando. «Andiamo».

Salgo ansando i quattrocento scalini che separano questa spiaggetta dalla strada. Lui va avanti, si volta ogni tanto, ha poca pazienza e a metà strada si ferma e mi bacia. Non è neanche un bel bacio, sono troppo imbranata e sorpresa. Mi prende per mano e mi tira, io quasi sto correndo, io con la maglietta di Topo Gigio e le birkenstock, i capelli bagnati e le spalle bruciate. Io non bella, non alta, non bionda, i miei occhi marroni “da cocker” come mi ha detto un amico in vena di bontà.

Ci mettiamo sulla terrazza di un bar, in paese, a vedere gli orti scarsi e le finestre lucenti, una granita alla mora di gelso davanti. Gli parlo del mio amore finito (chi non ne ha uno?) che mi brucia ancora, gli studi, le voglie, l’ansia di essere adulta, il mio orgoglio, la solitudine malinconica che da sempre mi fa compagnia, la mia voce squillante per gli altri, il mio sentirmi Rossella O’Hara, quella che dice «Ci penserò domani» e poi gli scherzi degli amici perché mi addormento alle 9 di sera.

«Ma è mezzanotte».

Lo guardo stranita.

«Andiamo».

Andiamo un po’ fuori, sulla strada che porta ad Arienzo e avanti ancora.

«Cecilia ha appena abortito». Non chiedo nemmeno chi è, Cecilia, tanto lo so dalla sua voce, dai suoi occhi che non mi guardano più, da un’altra fitta nel cuore. «E’ stato un aborto spontaneo, ha degli strani problemi». Dio che dolore per questo bimbo non nato, per quello che poteva essere e non è stato, perché li ha uniti, Raffaele e Cecilia, e adesso li sta dividendo.

«Andiamo».

E andiamo a Furore, anche lui ha una Vespa, e una casa nel fiordo, una camera, un letto.

A un quarto alle otto rientro. Non voglio vedere gli occhi di Giusy e Manuela, le loro domande che hanno già una risposta.

«Ma sei deficiente? Eravamo in pensiero. Non sai neanche chi è».

«Abbiamo sempre detto che eravamo tutte libere, senza problemi. E comunque sono qui per cambiarmi. Ci vediamo».

 «Novella».

 «Ti prego» e guardo Manuela, lo so che mi capisce, che tutto sommato è con me.

I giorni sono splendidi. Il caldo mi penetra dentro, fa crescere la mia felicità. Vedo solo i colori più vivi, sento solo i profumi più veri. Le notti sono splendide. Riconosco le stelle, amiche della campagna dei nonni di qualche anno fa. Non vedo le occhiate perplesse dei ragazzi di Mantova «Non avrei mai detto che Novella fosse un tipo così».

Così come? Così innamorata, così viva, così tranquilla nei miei toni marroni, così matta da andarmene con uno sconosciuto, così saggia da cullarlo di notte quando pensa a quel figlio che non c’è, e intanto parla male della mia pianura, dice che è chiusa, che niente e nessuno emoziona come il mare. Lo so. Mi sento bene, e giusta, e forte. Non importa la testa bionda che ogni tanto appare tra la gente di Positano e di lì nei miei sogni; non importano le fitte nel cuore, fanno ormai parte di me.

«E’ arrivato Rodolfo».

Scopro una sera questo fratello marinaio, uguale a Raffaele nel modo di muoversi, ma con gli occhi castani così simili ai miei e dieci anni di vita e di mare in più. Non parla molto, non parlerebbe affatto se non fosse per Raffaele che lo sprona e lo insegue di domande sparate. Non ha chiesto nulla di Cecilia.

Mi vede di notte seduta sulla porta di casa. È bello il fiordo, l’acqua così leggera da chiedersi come possa reggere le barche dei pescatori.

«Cosa lasci per lui?»

Forse me stessa, ma come faccio a confessarlo ad un altro. Così parla di sé, storie e avventure di vento suadente, di onde spumose, di stive pesanti, di donne. «Ho sempre affascinato le madri, al posto delle figlie». Diventa mio amico, un’amicizia fatta di sapere che c’è, perché Raffaele riempie il mio tempo in modo totale, inesorabile, ineludibile.

Ogni giorno è una gioia di sole e di mare, di odore succoso di pesce alla griglia. Vedo Manuela e Giusy ogni tanto, quando ripasso a prendere i vestiti. Non hanno capito, o forse non accettano, questo mio votarmi ad una storia scombinata, dove non sono io la più forte. Mi guardo allo specchio una sola volta: ho quasi paura di vedere che fisicamente non sono cambiata, che ho ancora il colore della terra padana come dice Raffaele, e si vede che intende qualcosa di grigio e di triste.

Oggi festeggio un mese d’amore.

Ho deciso di comprare un pupazzo per lui, un Topo Gigio in divisa da marinaretto. Mi affretto al ritorno, sarà una sorpresa. Che strana la voce da fuori, è come un sussurro mordace e dolcissimo insieme. E poi le sue mani, che stringono forte una testa bionda. Cecilia.

«Novella».

Solo Rodolfo mi ha trovato, in questo pezzo di spiaggia, in quest’ora color cenere di rose. Adesso so perché si chiama così, per le speranze bruciate, perché è il colore del nulla.

«Cosa hai lasciato per lui?». Davvero me stessa, il mio orgoglio, il mio essere forte e tenace, la mia voce squillante, il rispetto di me.

Ancora mi mancano le fitte nel cuore.

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2 commenti »

  1. Davvero una bella scrittura, a tratti poetica e musicale. L’ho trovato solo un po’ frettoloso. Comunque bello!

  2. Poetica ferita d amore.

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