Premio Racconti nella Rete 2023 “Il Vulcano” di Pietro De Martino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Lui: “lo notai per la prima volta, qualche mese fa. Sarà stato l’inizio di Dicembre. Ricordo bene: era un sabato mattina e io ero andato all’alimentari a comprare qualcosa per il pranzo. Per qualche motivo, il negozio era chiuso e così decisi di tagliare dalla strada laterale per andare al supermercato su Corso Venezia. Era una mattina soleggiata, ma la maggior parte della strada era ancora in ombra e mi ritrovai a camminare molto vicino ai portici e ai finestrini delle macchine in sosta per esporre il viso alla sottile striscia di calda luce solare che correva lungo la strada. Fu lì che lo vidi per la prima volta, con la vetta che sporgeva dai tetti dall’altra parte della strada. Mi sorprese non averlo notato prima e mi chiesi che cosa fosse, ma poi me ne dimenticai per diverse settimane.
Il 30 Gennaio ero in ritardo per un appuntamento. Avevo lasciato le luci della macchina accese per tutta la notte e dovetti farmi dare un passaggio da un furgone in transito. Aspettando di svoltare in via Perugino, lo vidi attraverso lo spazio tra due palazzi. Sembrava molto vicino. Per quanto ricordo, la strada da cui l’avevo visto era a quasi due chilometri di distanza. Non ebbi il tempo di controllare la mappa, ma quella sera ne parlai ai miei vicini: mi dissero di non averlo mai visto. Qualche settimana dopo andai a trovare un amico in prigione a San Vittore. Non avevo voglia di guidare in città nell’ora di punta, così presi l’autobus. Si rivelò un incontro deprimente, dato che al mio amico avevano appena rifiutato la libertà vigilata. Mentre aspettavo l’autobus per tornare a casa, notai quel prepuzio dalle mura della prigione. Decisi che fosse un’allucinazione, ma ero sorpreso dal fatto che fosse uguale alla visione avvenuta vicino casa mia. Rimasi ancora più stupito quando l’autobus si fermò nei pressi di una fabbrica e, da lì, notai un’altra fattezza identica.
Decisi di analizzare di nuovo la città una volta tornato a casa, ma quando arrivai era ormai buio. Non c’era la luna e non riuscivo a vedere al di sopra dei tetti. Quella notte sognai di essere imprigionato in un vulcano. Avevo il corpo paralizzato e riuscivo a muovere solo gli occhi. All’inizio pensai di essere nella totale oscurità, ma dopo un po’ notai un puntino grigio che rimaneva nello stesso posto anche quando muovevo gli occhi. Mi resi conto di essere davanti a un muro scuro. Ebbi la sensazione che la zona alle mie spalle fosse al contrario inondata di luce rossa, ma non potevo esserne sicuro.
La sveglia squillò alle 8:30 e saltai fuori dal letto per spegnerla. Durante la notte era piovuto ma aprii le tende e vidi che il cielo mattutino era terso e luminoso. Battendo i denti, mi vestii rapidamente e accesi il fuoco per la macchinetta. In cucina mi versai un po’ di succo di frutta e preparai il caffè. In attesa che salisse, lavai i piatti della sera prima.
Stavo ancora pensando al Vulcano. Così dopo colazione, uscii per guardarlo meglio e dare un senso a tutto ciò. Quando arrivai nel punto dove l’avevo notato per la prima volta, non lo vidi in nessuna direzione. Ripercorsi la strada e mi avvicinai ai giardini delle case. Mi arrampicai persino sui muretti, ma non vidi nulla sopra ai tetti. Percorsi le vie circostanti nel caso avessi preso la strada sbagliata, ma del Vulcano non c’era traccia. Tornai su via Mozart e non lo vidi neanche da lì. Così entrai in un’edicola dall’altra parte della strada e chiesi al gestore cosa fosse successo al Vulcano: mi disse che non sapeva di cosa stessi parlando. Comprai il giornale locale e me ne andai. Cominciò a piovere: mi venne voglia di andarmene per un po’ da Milano.
Quando tornai a casa aggiunsi un po’ di legna al fuoco e cominciai a sfogliare il giornale. Si era bagnato molto e le pagine erano incollate. Era molto difficile leggerlo perché le lettere delle pagine sul retro erano visibili quasi quanto quelle davanti. Stesi il giornale davanti al fuoco e mi addormentai sulla poltrona.
Ridestatomi, decisi di uscire e mi appoggiai contro il lampione sotto casa, cercando di controllare la mia respirazione irregolare. Fissai il punto verso cui il Vulcano aveva cercato di attirare i miei pensieri. Passarono due ragazzi che mangiavano patatine. Provai a chiedere loro del Vulcano, ma scapparono prima che potessi finire la frase. Fermai una donna che spingeva un carrello pieno di spesa, ma mi ignorò completamente. Tornai su in casa. Poi uscii di nuovo. Mi si era slacciata la scarpa e mentre camminavo mi sfregava scomodamente contro il tallone. Sulle scale della chiesa di San Gregorio Magno mi chinai ad allacciarla e quando risollevai lo sguardo dal marciapiede vidi il Vulcano dietro il tetto della chiesa. Andai nel panico e iniziai a correre ma, quando arrivai alla fine della via, il Vulcano era lì ad aspettarmi. Voltai l’angolo e lo vidi di nuovo. Continuai a correre, prendendo diverse svolte. Ma ogni volta che alzavo lo sguardo vedevo il Vulcano. Da qualsiasi parte scappassi, era sempre davanti a me!
Tornai a casa e mi accasciai sul letto. Ma quando chiusi gli occhi, vidi la vegetazione scura del Vulcano che mi fissava. Diventava sempre più fosca e la massa del Vulcano sembrava premermi contro la fronte spingendo la nuca contro il cuscino. Cercai di tenere gli occhi aperti e fissai il soffitto. Alla fine l’oppressione svanì e caddi in un sonno profondo e senza sogni.
Mi svegliai con una strana sensazione di calma. Preparai la colazione e cominciai a fare il punto della situazione. Pensavo di dover restare a casa d’ora in poi, dato che quasi sicuramente avrei incontrato di nuovo il Vulcano se fossi uscito. Mi rassegnai al mio destino. I giorni passarono veloci all’inizio, dato che dedicavo la maggior parte del tempo a preparare questo racconto. Scrivere non mi era mai risultato facile e trovavo il ritmo della narrativa drammatica estremamente impegnativo. In un certo senso, apprezzavo la mia incarcerazione perché mi costringeva a continuare a lavorare. Dopo aver esaurito la scorta di cibo, vissi di gelati, noccioline e birra che compravo dal furgone presente nella mia strada ogni pomeriggio. Per un po’ mangiai principalmente arachidi tostate e ghiaccioli alla fragola, ma presto iniziai a sentire che qualcosa non andava. Così passai in farmacia a comprare della vitamina C. Cominciai a perdere la cognizione del tempo e trascorsi mesi seduto alla scrivania a fissare fuori dalla finestra. Sempre verso il basso, nel caso in cui quella forma familiare fosse spuntata da sopra ai tetti. Iniziai a indossare un cappellino con una grande visiera in modo da non rischiare di intravedere il Vulcano con la coda dell’occhio. L’arrivo del furgone di alimentari divenne il culmine della mia giornata.
Non so chi chiamò l’ambulanza, ma fui contento quando arrivò. All’inizio pensai fosse il furgone di alimentari e mi chiesi come mai avesse cambiato musica. Quando arrivammo in ospedale, l’ambiente non mi sorprese. Impiegai diversi mesi a guarire, ma i medici si dimostrarono solidali e per la prima volta potei parlare in dettaglio del Vulcano senza avere la sensazione che i miei interlocutori volessero cambiare discorso. Con il passare delle settimane la mia ossessione diminuì, e quando fui dimesso avevo ormai compreso che il Vulcano era esistito solamente nella mia testa. Mi suggerirono di passare la convalescenza in campagna. Così mi organizzai per andare da alcuni amici nel piacentino. Socializzare dopo tanto tempo mi incuteva ansia, ma i miei amici furono molto comprensivi e mi lasciarono in pace. C’era bel tempo, quindi trascorrevo la maggior parte delle giornate a esplorare la campagna.
Quando rividi il Vulcano, non ebbi paura. Invece, non potei far altro che ridere perché era così assurdo, lì che mi sbirciava attraverso gli alberi. Sentii tornare la mia vecchia curiosità. Mi chiedevo come avesse fatto a trovarmi. Attraversai il bosco e trovai il Vulcano, eretto in radura. Era ancora più mastodontico di quanto avessi immaginato e, da vicino, mostrava segni di abbandono e incuria che da lontano non erano visibili. Mi arrampicai… ed entrai nell’oscurità!”
Lei: “ci feci caso solo qualche giorno dopo la sua morte. Ricordo bene: era la prima volta che andavo sulla sua tomba. Era una mattina luminosa così feci un po’ di bucato, trafficai qualche ora in giardino prima di prendere l’autobus per il cimitero. Quando arrivai, mi ci vollero delle ore per trovare il punto in cui era sepolto. Il cimitero era enorme, e sulla tomba appena scavata c’era solamente una piccola croce di legno. Mi sedetti accanto e mi chiesi quale epitaffio avrebbero scolpito sulla lapide. Chiusi gli occhi e sentii il calore del sole sul viso. Quando li riaprii, fu lì che lo vidi per la prima volta. Mi sorprese non averlo notato prima e mi chiesi che cosa fosse, ma poi me ne dimenticai per diverse settimane.”
Inquietante, mi ha ricordato i racconti di Buzzati (che adoro!)
Donatella, grazie per il tuo commento falso negativo! E per l’accostamento!