Premio Racconti nella Rete 2023 “Il tesoro” di Aurora Biagini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Ai Pinguini Tattici Nucleari,
Che accompagnano tutte le mie giornate.
E a Marco,
Il mio tesoro più grande.
Rubina lo sapeva. Ogni brutta giornata aveva un inizio e una fine, esattamente come qualsiasi altra giornata.
Certo che lo sapeva. Era questo che la faceva andare avanti, semplicemente. Persino in quelle giornate, pesanti come macigni, in cui avrebbe voluto solamente rigirarsi nel letto, e dormire, perché un mostro nero dentro di sé le sussurrava malefici all’orecchio.
Ma perché, si chiedeva, a tratti incessantemente, una persona deve forzarsi così, e trascinarsi attraverso il tempo e lo spazio, fuori dal letto, in giro per il mondo. Lei doveva andare a spasso lungo le lancette dell’orologio, quando le giornate proprio non passavano mai, e doveva inventarsi un’altra vita per vivere la sua.
Doveva inventarsi un’altra vita per non vivere la sua. Perché la sua la soffocava. A momenti la schiacciava, la opprimeva, la atterriva.
Aveva un piccolo tesoro, la cosa per lei più preziosa al mondo. Era il pensiero di quella sua rarità a spingerla fuori dal letto, per alleggerirla di quel peso dal cuore, per liberarla dai suoi demoni interiori.
Perché alle persone come lei, le persone troppo sensibili, a volte succedeva questo. A volte, ombre senza volto bisbigliavano malvagi incantesimi, e queste si ritrovavano completamente immobilizzate, bloccate.
Ma il suo tesoro aveva un compito speciale. Se la faceva ridere, quelle ombre si dissipavano e tornava la luce. Rubina poteva liberarsi anche se per poco da quel sortilegio e riusciva a scivolare quasi indenne attraverso le sue giornate.
La nostra mente, c’è da osservare, è un potente strumento, potentissimo in verità. È capace di farci vedere ciò che vogliamo. La mente è una chiave. Può farci sprofondare negli abissi più reconditi delle sue stanze, e intrappolarci all’interno di esse. Oppure può trarci in salvo su lidi sicuri, ameni, dove i pericoli non esistono e non sono che echi lontane.
A volte le succedeva, e Zaffiro lo sapeva benissimo. Lo sapeva quando guardava Rubina negli occhi, quegli occhi vibranti di ambra liquida, e riusciva a decodificarne luci e ombre senza che lei proferisse parola. Lui sapeva cosa lei avesse nel cuore, e mai l’aveva o l’avrebbe giudicata, né per la caratura del suo cuore né per la cifratura della sua mente.
Esatto, la mente di Rubina era come una serratura, un meccanismo che doveva essere disinnescato, per far sì che scaturissero potenti energie. Per permettere che rilasciasse tutto il suo potenziale. Zaffiro lo sapeva, e non esitava ad accompagnarla dolcemente nel suo dondolare, attraverso il labirinto sgangherato delle sue giornate; a cullarla, accudirla a volte come fosse una bambina, a prenderla per mano e guidarla, interrompendo irregolarmente quel suo ciondolare.
Lei si domandava come mai dovesse sforzarsi così. Era stanca di doversi trascinare, di arrancare, di essere così lontana dalla luce e non vederla mai arrivare. Anche se Zaffiro per lei era luce e ossigeno. Ma ciò non era sufficiente ad acciuffarla e tirarla fuori dalla sua oscurità.
Lei si chiedeva perché dovesse stimolare la produzione di serotonina, ossitocina e qualsiasi altro ormone facesse rima con -ina. Si domandava a cadenza settimanale (in verità se lo chiedeva a giorni alterni) perché le fosse sembrata una buona idea seguire quelle lezioni di yoga. Ah sì, per stimolare le endorfine, ecco perché, si rispondeva ogni volta.
Forse ho questo umore perché non abbiamo un gatto… vorrei tanto un gatto, Diceva Rubina ogni volta che terminava lo shavasana (la sua posizione yoga preferita), tirandosi su lentamente dal tappetino e infilandosi la felpa dal verso giusto.
Ma no che non è per questo, sciocca, Le rispondeva sorridendo Zaffiro, che ogni volta aggiungeva, Ed è inutile che insisti, non lo prendiamo un gatto. Prima giriamo tutto il mondo… e poi pensiamo al gatto.
Zaffiro si rivolgeva a lei scherzando dolcemente, aveva un modo di fare giocoso che la faceva ridere. La sua risata per lui era il suono più bello mai esistito.
Il giro del mondo… sì, però iniziamo dal mese prossimo magari… Rispondeva lei, grattandosi la fronte pensierosa.
Quella bella idea di Zaffiro doveva essere uno stimolo, qualcosa di accattivante per strapparla un po’ alla sua nebulosità. E invece ciò non faceva che renderla ancora più inquieta, più seriosa, più desiderosa di affondare la testa nel cuscino e non uscire mai più dal letto.
Secondo me non è una questione di umore, Proseguiva lui.
Allora è pigrizia, Rispondeva lei mentre continuava a pensare al gatto immaginario.
Ma no… non è nemmeno quello, Diceva lui prendendo delle pause. È un momento, è solo un periodo, vedrai che piano piano starai meglio.
Mi faccio spesso molte domande, Zaffiro. Soprattutto mi chiedo, ma come fanno gli altri a fare tutto? Non si stancano subito? Come fanno ad alzarsi ogni mattina pieni di vitalità?
E poi, uno come fa… come fa a darsi tutta questa forza, questa energia…tutta questa motivazione. Ogni. Santo. Dannato. Dannatissimo. Santissimo. Giorno. Rubina faceva una pausa e sospirava, E giorno dopo giorno, queste persone arrancano, o forse sono solo io che arranco. Ma giorno dopo giorno, queste persone si trascinano. No…sono io che mi trascino. Queste persone navigano a vista tra le loro splendide certezze dorate, le loro sicurezze, perché sanno che riusciranno, che nella vita eccelleranno, sanno che vinceranno.
La loro è una corsa al traguardo successivo, è una competizione continua, una strenua sfida mortale. La mia invece… La sua voce si faceva sconsolata. La mia non è una sfida neanche con me stessa. Io arranco, mi trascino, lotto…ma è una lotta solo nella mia testa. La mia è una prigione dorata. E la prigione è la mia mente.
Le mani di Zaffiro accarezzavano quelle di Rubina, lei aveva la sua comprensione.
Vedi, Zaffiro, se uno si ferma a riflettere, nota la tendenza sempre più grande di voler ostentare, di voler sfoggiare. Ognuno si sente in dovere, quasi obbligato a condividere i propri progressi. Io a malapena riesco a farli nelle asana, i progressi. Anche se in quel momento siamo solo io e la mia mente, e mi sto sfidando al massimo delle mie possibilità. Io più di questo… La ragazza sospirava, poi si sistemava i capelli che le ricadevano sulla fronte.
Tutti si vantano dei loro traguardi mentre io non ho nemmeno un gatto da mostrare.
Rubina, ciò che conta non è ostentare o vantarsi. Non siamo in una vetrina, la nostra vita non è una gara. Dobbiamo solo pensare al nostro bene, a metterci alla prova e ricordare che l’unica competizione è con noi stessi. Ma è sempre con noi stessi che dobbiamo essere gentili, al massimo delle nostre possibilità.
Zaffiro aveva questo modo tenero di dirle la cosa giusta, come se potesse guarirla con le parole, come se fosse la più potente e dolce delle medicine. Era la cosa più preziosa che lei possedesse nel mondo intero.
Questa corsa continua alla perfezione, Riprendeva fiato lei, serve solo a farci sentire in difetto perché non tutti stiamo progredendo. Non tutti stiamo raggiungendo obiettivi. Tutto questo serve solo a farci sentire peggiori perché non stiamo ottenendo importanti riconoscimenti o eccellenti traguardi.
Rubina pensava a voce alta, mentre soffocava la tentazione di sprofondare nel pavimento.
Non so se il mio problema è decidere… o non decidere affatto.
Ma tu non hai assolutamente nessun problema, Rispondeva Zaffiro con dolcezza, accarezzandole i capelli dorati.
Il problema generalizzato di questo secolo, Proseguiva lei, è doversi celebrare insistentemente in modo materiale.
Inspirava. Espirava.
Il male di questo secolo è questa malattia sociale radicata troppo in profondità ormai. Anche il mio spirito è malato Zaffiro…
La signorina si è specializzata in vaniloqui? La canzonava lui.
Il male di questo progresso è che siamo ininterrottamente costretti, incentivati, sovvenzionati a smettere di pensare.
Rubina sospirava alla fine di ogni frase.
Perché, io, Zaffiro, a differenza di quel che può sembrare…penso, penso, penso. Non smetto un attimo di pensare.
Certo che non smetti mai, sei una piccola trottola e la tua testa gira sempre come un frullatore.
Sì… e tu, Zaffiro, non sai quanto vorrei a volte riuscire anche io a non pensare. Per non lasciarmi afferrare dai miei pensieri più oscuri.
Zaffiro la ascoltava e non indugiava nel prenderle la mano, accarezzarle il viso, sfiorarle i capelli. Il suo compito era portarla nella luce e cercare di renderla felice, ogni giorno, proprio come diceva lei. Doveva sempre ricominciare da capo. Non era un dovere in realtà, era il piacere più grande che avesse nella vita. Era una gioia estrema per lui fare ogni cosa con lei, e per lei, guidarla, accompagnarla, cullarla… amavano fare tutte le loro cose preferite, amavano fare ogni cosa insieme.
Lui la faceva ridere, faceva splendere quel sorriso che le illuminava armonicamente il volto, ed era l’unica cosa che contasse. L’avrebbe fatto fino alla fine dei suoi giorni. Avrebbe custodito quel sorriso e per ciò si sarebbe battuto strenuamente. Zaffiro sarebbe stato il suo guardiano.
Era vero ciò che le diceva, non era colpa sua ciò che le era capitato. Era semplicemente successo. A volte le cose accadono senza che ci sia davvero un motivo. Era stata travolta dagli eventi, dal caos esterno, e si era arresa. Aveva smesso di lottare.
Quello che sto cercando di dire…è che tu Zaffiro… mi salvi la vita ogni giorno. Tutte le volte che cerco di star meglio, di capire cosa sia davvero la felicità…io penso a te. Solo tu riesci a farmi stare bene. Penso a tutte le cose che ci piace fare insieme. Mi tieni sempre per mano…mi accompagni in ogni piccolo passo di questo mio percorso ingarbugliato.
Non preoccuparti Ruby… è il mio cuore che lo vuole.
Sì… il punto è che mi aiuti ogni giorno, un po’ per volta a… almeno a fingere di guarire. A fingere di star meglio. Forse si tratta solo di convincersi di certe cose… e se io mi convinco di star meglio, di fare progressi, di essere almeno un po’ felice o anche solo contenta…
Rubina, non devi forzarti a fare niente… nemmeno a essere felice per finta. Ci penso io a te, sono qui per questo. Ora e sempre… ora, e sempre.
Zaffiro la accarezzava dolcemente, seduti per terra sul tappeto, le teneva le braccia intorno alla schiena mentre lei gli stava seduta in braccio. Rubina si asciugava alcune lacrime dalle guance col dorso della mano, ogni tanto dava a lui dei baci dolci sul viso. Zaffiro continuava, senza mai smettere, ad accarezzarla. E poggiava le labbra sulla sua fronte.
Zaffiro… tienimi sempre per mano. Insegnami a sorridere anche quando la vita non sorride a me.
“è sempre con noi stessi che dobbiamo essere gentili, al massimo delle nostre possibilità.”: è così!
Trovo il racconto delicato, mi sono rivista in certi pensieri e in alcuni punti l’ho sentito come un abbraccio.
Grazie Gloria!
Concordo con Gloria, il racconto è molto delicato, ha la texture dei colori pastello, ma anche la loro malinconia. Molto bello!
Grazie di cuore Giovanni!