Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Come le Rondini” di Maria De Arcangelis

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Dopo un’estate spensierata insieme a tanti giovani tornati a villeggiare nel paese dei loro nonni, arrivava il giorno della partenza. Tante erano state le serate a narrare i loro progetti, i loro sogni e noi ragazze ad ascoltare rapite ma con un piccolo velo di invidia. Un’invidia sana, quella che ti dà la spinta per non rimanere inerme ma ti sprona per darti da fare, per migliorare. I saluti della partenza avvenivano spesso in un posto che sembrava essere messo là dalla mano benigna della natura, era il luogo per contemplare, per parlare, divertirsi e d’estate, per ballare, per questo era chiamato “Belvedere”, nome appropriato perché da lì si poteva scorgere da lontano un piccolo spicchio di mare e tutto intorno, un verdeggiare di alberi e cime innevate. A valle, un andirivieni di curve ombrose. Si seguiva il percorso delle auto, piano piano, fino a scomparire.

Gli anni passavano, i giovani partivano. Due forze dentro di me si combattevano: restare, partire. Lasciare questo posto incantevole, incontaminato e puro, per andare dove? Quando si hanno conoscenze in testa, tutto diventa più facile. Io, inesperta e senza esperienze lavorative, avevo solo la forza della ricca povertà, quella che poi ha generato la mia modesta ricchezza. Il silenzio della notte mi aveva parlato, consigliato, incoraggiato. L’alba mi aiutò a schiarire e fugare le ultime incertezze. Poco dopo, partii con la mia valigia piena di sogni. Arrivai in una città ricca e laboriosa, ero lì, solo con la mia ombra, accecata dai mille volti di una città sconosciuta. Ma, proprio nei momenti di angoscia, si sveglia in te la forza del guerriero che affronta la battaglia senza nessuna arma. Avevo una corazza invisibile, ero pronta e da lì ho cominciato a mettere i mattoni per costruire la piramide della riscossa. Ho voluto sfidare il destino che decide per te. Non ho permesso di stare a guardare impotente e vinta. Avevo la città che mi stava accogliendo, non dovevo, non potevo fallire. Passai la notte in un piccolo albergo, la padrona si chiamava Anna, lei, abituata ad accogliere le persone, si accorse che ero impacciata, mi offrì la colazione e cominciò a parlarmi con tono materno. Sentivo il suo sguardo che mi accompagnava mentre uscivo per cercare lavoro, le occasioni erano tante, mi affrettai e alla fine scelsi un lavoro da un fioraio, mi piaceva lavorare lì, ma ciò che guadagnavo, non bastava per vivere.

Scelsi anche un altro lavoro, così con due introiti potevo cavarmela. Di mattina dal fioraio, pomeriggio in un ristorante, almeno lì, potevo mangiare. Ero felice, la stanchezza si faceva sentire ma una volta tornata nella mia stanza, tutto si stemperava. Su quel letto combattevo la fatica e il pianto. Finalmente, la mattina, mi regalava un po’ di consolazione. La signora Anna, aspettava che io scendessi per consumare insieme la colazione, delle volte mi puntava gli occhi, il suo sguardo sembrava rubare i miei pensieri, voleva conoscermi bene. Una mattina dopo il caffè, mi propose di lasciare i miei due lavori per lavorare con lei, la guardai incredula, mi confidò che cercava da tempo qualcuno che si prendesse cura del suo albergo, piccolo ma grazioso. Accettai perché potevo lavorare in un solo posto senza correre da una parte all’altra. Le condizioni erano buone, camera gratis e stipendio. Avevo imparato tanto stando con i miei, sapevo cucinare, organizzare, improvvisare. Dopo un po’ di tempo, chiesi timidamente ad Anna se si potesse aggiungere una sala ristorante. Sembrava tutto predisposto per poterlo fare, l’idea piacque alla signora e mi disse che anche lei, quando era giovane, aveva avuto la stessa intenzione, ma essendo sola, aveva abbandonato il progetto dell’albergo ristorante. Cominciammo subito a stilare i piani e poi il cambiamento. Il notaio, le maestranze ci aiutarono tanto e in breve tempo tutto si concluse. La casa della mia famiglia, ormai vecchia, aveva bisogno di aggiustamenti, ma quel periodo di gioiosa confusione mi suggerì di pensare al lavoro. Mia madre, essendo rimasta sola, espresse il desiderio di avvicinarsi a me. La felicità mi venne incontro e in poco tempo avevo tutto, il lavoro, la mia famiglia. Una volta arrivata mia madre, si allacciò un rapporto stretto di affetti, la signora Anna, la mamma ed io. Le vedevo spesso raccontare i loro sogni di gioventù, era bello respirare un po’ di serenità.

Mesi dopo, ci venne proposto l’acquisto della casa, ci pensammo, la distanza per arrivarci era tanta, il tempo per trattenerci lì era poco. Alla fine la casa fu venduta. Passarono i tempi delle belle stagioni vissute insieme. Un giorno Anna ricominciò a scrutarmi, ormai conoscevo il linguaggio dei suoi occhi. Dopo colazione, senza tentennamenti, mi propose di vendermi il suo piccolo albergo, con la clausola incisiva che lei avrebbe avuto sempre la sua camera, il suo spazio, il suo mondo. Ormai lei era diventata la mia seconda madre, non sarei stata felice saperla lontano. Ci pensai a lungo, alla fine decidemmo insieme l’acquisto del ristorante. La vendita della casa, della terra, ci permisero di portare avanti il lavoro con serenità. Avevo tre dipendenti nel ristorante e due nell’albergo.

Passarono alcuni anni felici, tutto andava bene. Poi, come un fulmine a ciel sereno, la malasorte bussò e si portò via mia madre. La cosa più cara che avevo. Un ictus fulmineo sconvolse la vita di noi tre. Mi trovavo con lei nel letto dell’ospedale, seduta vicino, le stringevo la mano, le chiesi scusa ma non sapevo neanche io a quale cosa… Lei accennò con uno sguardo indebolito, capii che mi aveva ascoltato, vidi una lacrima scendere dai suoi occhi, mi chinai per baciarla, le mie lacrime incontrarono le sue suggellando così per sempre le nostre anime. Se ne andò lasciandomi il ricordo struggente dell’ultimo saluto. In quel periodo, Anna diventò ancora più materna, era bello stare vicino a lei, mi riempiva di consigli, di attenzioni, era orgogliosa del nostro lavoro, delle nostre migliorie. Mi sentivo protetta. Venne a trovarci un giorno il nipote di Anna, educatissimo e dolce come lei. Mi disse che era giunto il giorno di cambiare vita e lasciare che la nonna potesse vivere insieme ai fratelli e sorelle, anch’essi anziani. “Avrei potuto farlo prima”, disse Anna, “ma non potevo lasciarti da sola dopo la morte di tua madre. E’ arrivato il momento giusto”. Tutto si concluse in poco tempo. Ero rimasta sola di nuovo. La vita ricominciava e si adattava al nuovo ritmo. Ogni tanto tornava il desiderio di rivedere la mia gente, il mio paese, la mia vecchia casa. Anche se tutto era stato venduto, i miei ricordi, i miei affetti, erano ancora lì. Finalmente tornavo nel posto del cuore, della bellezza che consola ma non potevo farlo subito, serviva chi potesse prendersi cura del mio albergo. Avevo da tempo come ospite un giovane ragazzo in cerca di lavoro, si adattava a tutto, era molto sveglio ed anche io, come Anna, puntai gli occhi sulla persona che in mia assenza potesse imparare e portare avanti il lavoro. Quando gli proposi l’offerta, rimase confuso e incerto, sembrava imbarazzato ma non tardò a darmi una risposta positiva. Il ragazzo, che si chiamava Carlo, imparò presto. Notai che era diventato troppo esigente con il personale, lo invitai ad essere comprensivo, solo così si ha il meglio dalle persone che collaborano.

Arrivò il giorno della partenza. Dopo un lungo viaggio, giunsi a sera. Dormii in un albergo non lontano dalla vecchia casa. Passai una notte agitata e smaniosa, avevo la sensazione di un innamorato che rivede gli occhi del primo amore, come era cambiato, come stava. Prima dell’alba ero già lì, andavo verso casa mia, il rifugio della mia mente, andavo lì per cercare conforto ma mentre mi avvicinavo, nei dintorni, tutto era cambiato, diverso, guardai ancora, non c’era più nulla, la casa, il salice, la collina. Quel luogo, ormai, era diventato il sepolcro dei miei sogni. Tutto era stato spazzato, al suo posto un supermercato con davanti una scritta appariscente: “L’Isola del Tesoro”. La collinetta, ormai sparita, dava spazio ad un grande parcheggio. Restai su una panchina pensosa mentre la gente entrava ed usciva con le loro buste gonfie, tutti erano frettolosi, avevano perso la serenità di un tempo. Avevo bisogno di un caffè, mi avviai verso il bar dove un giorno ormai lontano, insieme a mia madre, avevo assaporato la prima crêpe inondata di cioccolato, giro tra le viuzze affollate, finalmente ritrovo il mio bar ma anche qui, al posto dell’insegna dove c’era scritto Bar Centrale, troneggiava una scritta: “Kebab for You”. Mi avventurai lungo il corso, conoscevo bene i suoi negozi, erano quasi tutti spariti, inghiottiti dalla vorace bocca di un altro supermercato sorto poco lontano con enormi parcheggi e, all’interno, negozi di ogni genere. Mi consolai più tardi con i miei parenti, tante erano le cose da raccontare. Il piccolo universo contadino si stringeva intorno a me, facendomi riassaporare il tempo che ora non c’è più.

Arrivò il giorno del distacco, dovevo partire, tante cose da sistemare. Quando arrivai in città, trovai ad attendermi il mio fidato Carlo, ma non era solo. Da tempo lo vedevo che si attardava con una ragazza, ospite del mio albergo, anch’essa in cerca di lavoro. Il destino forse, stava intessendo un prezioso merletto che pianificava le sorti di noi tre. Vedevo in loro il proseguimento, le persone giuste per continuare la staffetta della vita.

Con il passare delle stagioni si acuiva in me il desiderio di rivedere la mia gente. Così, come le rondini che volano verso il loro primo nido, anche io nelle verdi stagioni ripercorrevo la strada che portava verso la mia terra, il mio paese, il mio nido.

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