Premio Racconti nella Rete 2023 “Diciotto minuti per cambiare vita” di Cecilia Tallis
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023…So che è successo già
Che altri già si amarono
Non è una novità
Ma questo nostro amore
è come musica
Che non potrà finire mai
Che non potrà finire mai
Mai mai…
Canticchiava Rosanna mentre stirava. Poi entrò Mario urlando e i suoi pugni questa volta colpirono il tavolo, per fortuna.
Non le rimaneva che continuare a stirare aspettando pazientemente che Mario uscisse. Poi conobbe Antonietta perché le porte dei loro appartamenti erano vicinissime e stringendo tre piante, cinque libri e una piccola radio Rosanna non poteva andare molto lontano. Cercava qualcuno che adottasse i suoi unici e solitari amici. Solo poche ore aveva potuto tenerli con sé perché Mario, suo marito, urlando e picchiando i pugni sul tavolo le disse che l’avrebbero distratta dai lavori domestici, e prima di andarsene ordinò di preparargli lasagne e pollo arrosto per le dodici e trenta. Rimasta sola, Rosanna non iniziò a cucinare ma raccolse piante, libri, radio e uscì sul pianerottolo. Pigiò il campanello più vicino al suo, che suonò graziosamente.
La porta si aprì e apparve un sorriso che mostrava con disinvoltura alcuni denti storti. Subito Rosanna respirò meglio perché quel sorriso l’aveva riconosciuto. Seppur notevolmente diverso era sincero come quello di zia Rosa nella foto sul comò della nonna. Ritrovare qualcosa di familiare le fece davvero bene: quel peso che sentiva sul cuore da quando era sposata con Mario cadde in terra andando in frantumi, e pensò che sarebbe rotolato via ogni volta che qualcuno le avesse sorriso così. Ripensandoci la stessa cosa era capitata il primo giorno di scuola quando, intimorita, lasciò la mano della mamma per un sorriso rassicurante che l’aspettava sulla porta della classe fermando le sue lacrime.
Nel frattempo Antonietta intuì subito come mettere a proprio agio quella triste donna che aveva davanti e, girando sulle punte delle pantofole, disse: “Accomodati in salotto e poggia quelle cose dove preferisci”. Poi andò in cucina per preparare il caffè e scelse (finalmente) la moka grande, come faceva ogni mattina nella scuola elementare dove insegnava fino a tre mesi prima. Le manca prendere il caffè con le colleghe, ma soprattutto sentiva nostalgia per i suoi alunni che aveva visto crescere, e ogni tanto si domandava cosa stessero facendo della loro vita.
Spesso Antonietta ripensava a quando tutto ebbe inizio, nel lontano 1971. Si era trasferita a Roma dalla Sardegna per seguire il suo caro marito che ancora lavorava nella stessa sartoria. Quel diploma di Istituto Magistrale le permise di ottenere il primo incarico a trenta di chilometri da casa: la sezione “B” della prima elementare da portare fino al quinto anno. Nonostante a quei tempi (talvolta) ci si affidava ancora alle punizioni corporali, Antonietta decise di sperimentare un metodo di insegnamento innovativo che stimolasse negli alunni curiosità, autonomia ma soprattutto amore per la conoscenza.
Così successe che i suoi studenti divennero “insegnanti” quando seduti in cattedra spiegavano un argomento di Storia ai compagni, oppure “scienziati” quando esploravano la flora e la fauna del giardino della scuola e infine “investigatori“ quando ascoltavano rapiti la loro maestra che, seduta sulla cattedra, inventava per loro una storia fantastica di maghi e furti di libri misteriosi. Antonietta era soddisfatta, li vedeva crescere bene, generosi e creativi, come quando improvvisarono una torta fatta con i pezzi delle rispettive merende per festeggiare il suo compleanno. Che commozione aveva provato nel vedere pane e salame, pizza rossa e ciambellone sfrontatamente mescolati ed esibiti insieme. Spesso si chiedeva se, una volta cresciuti, avessero perso la voglia di imparare, di esplorare, di sognare, sperando con tutto il cuore che non fosse così.
Ora Antonietta guardava con attenzione la sua ospite mentre bevevano il caffè insieme, e intuì di avere davanti una donna in difficoltà che aveva bisogno di essere guidata come i suoi alunni; decise pertanto all’istante di aiutarla.
Nello stesso momento Rosanna, osservandola, la accolse metaforicamente nella sua famiglia, anche se pensò: “Non mi somiglia per niente.” Nulla poteva ricordarle l’aspetto dei suoi cari che a lungo aveva guardato nei ritratti di famiglia; Antonietta mostrava tutte le caratteristiche somatiche di chi veniva dall’altra grande e splendida isola italiana, compreso quello sguardo così rassicurante, calmo e saggio, e l’andatura tranquilla mentre apparecchiava la tavola con caffè e biscottini sardi. Antonietta era la ricompensa che Rosanna meritava, finalmente poteva diventare la sua nuova famiglia.
In realtà si guardarono parecchio ma parlarono brevemente. Non c’era molto da dire. Antonietta chiese:
“Avete figli?”
“No.”
”Botte?”
“Raramente, lo assecondo per evitarle.”
“Si ubriaca?”
“Qualche volta.”
“Ti tradisce?”
“Si, è un cacciatore.”
“Ti considera una sua proprietà?”
“Certo, mi ha sposata per servirlo.”
“Quanto puoi resistere?”
“Non voglio vederlo mai più.”
“Allora abbiamo poco tempo. Vai a casa e prendi velocemente quello che ti serve così andiamo via subito, tra poco tornerà per pranzo.”
La conversazione durò circa cinque minuti. Nei successivi dieci: Rosanna prese la borsetta e mise in una valigia le ciabatte, qualche abito, biancheria, due paia di scarpe, spazzolino da denti e due pigiami. Contemporaneamente Antonietta chiuse le finestre, indossò le scarpe e controllò che nella borsa ci fossero le chiavi dell’appartamento che avrebbe ospitato Rosanna.
Sul pianerottolo si sorrisero mentre chiudevano le rispettive porte e nei successivi tre minuti scesero le scale e uscirono dall’edificio. In totale diciotto minuti per cambiare vita. “Possibile che sia così facile? Non ci posso credere. Che stupida. L’ho sopportato per tutto questo tempo mentre ci volevano pochi minuti per andare via, diciotto per l’esattezza” disse Rosanna guardando l’orologio. Mario sarebbe tornato di lì a poco, in genere alle dodici e trenta era già seduto a tavola. Si sarebbe arrangiato d’ora in poi! Lei iniziava un’altra vita e sorrise pensando che, nonostante le umiliazioni sopportate, l’aveva lasciato per tre piante, cinque libri e una piccola radio che in quel momento Antonietta trasportava amorevolmente nella borsa della spesa. L’aveva lasciato per i suoi unici amici, che avrebbero rallegrato le giornate nella casa della sua nuova famiglia, Antonietta.
Questo mi sarebbe piaciuto fosse accaduto alla mia cara maestra Antonietta: saperla finalmente in pensione trascorrere una vita tranquilla accanto al suo caro marito e sempre pronta ad aiutare il prossimo.
Purtroppo non andò così. Un male incurabile, del quale non seppi nulla, la portò via prima che io (alunna del suo primo incarico) potessi dirle che era riuscita nel suo intento.