Premio Racconti nella Rete 2023 “Bocca di lampreda” di Alessandra La Terra
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Il mare si apriva in un mulinello sormontato da una lingua di pietra; quando il mare era immobile i ragazzi ci si avvicinavano con l´aria spavalda di chi si sente onnipotente. Giocavano ad annegare; chi annegava doveva rimanere sott’acqua il più possibile; chi rimaneva di più, vinceva. Oppure si gettavano dalla scogliera gareggiando a chi centrava il mulinello, come in un tiro a segno.
A volte l’ignoranza dei ragazzi racchiude una logica imperscrutabile agli altri. Così un giorno in cui il mare era increspato e le onde sottili iniziavano veloci ad inanellare l’acqua tra rivoli di schiuma, successe che un bambino annegò davvero. Un ragazzino secco, marfanoide: le ginocchia puntute e il costato di fuori, la pancia così cava che potevi riempirla di acqua e abbeverartici; oggetto di scherno per la sua magrezza. Iettiti, iettiti! Fann´avvidirri comu galleggi!. Cominciarono a urlargli e urlando gli si facevano vicino vicino. Iettiti, iettiti, Marfane! I pisci hannu fami! I pisci hannu fami!. Continuavano ad urlare e a muoversi, a muoversi e ad urlare come in una danza maori. Il ragazzo non aveva un nome ma lo chiamavano Marfane per via delle sue sembianze tutt´ossa. I bulli lo accerchiarono in quella strana danza, allargandosi e stringendoglisi attorno in cerchi concentrici e urlando quella filastrocca a più non posso.
Iettiti, iettiti! Fann´avvidirri comu galleggi!
Iettiti, iettiti, Marfane!
I pisci hannu fami!
I pisci hannu fami!
Iettati, iettiti, mucchio ri ùossa
ca u mari ti fa da fossa
e si mancia i toi ùossa!
Le urla gli entrarono nelle orecchie e gli annebbiarono la vista, tanto erano forti e continue; il gruppetto di bulli lo spingeva al limite della scogliera per poi dargli respiro quando il cerchio umano si allargava, come la bocca di una lampreda.
Alla fine lui cedette, assecondandone i movimenti e trovando riparo nella sue quattro ossa.
Scantulino! Scantulino!
Ca feti di burrida!
U mari ti annusa
e senti ciávuru ri carusa.
Quando la bocca della lampreda si saziò del terrore di quel ragazzo, si chiuse ritraendo i denti; poi il cerchio si allargò disfandosi in una corsa forsennata verso le rispettive case. Le ultime rime si persero nell’aria dolciastra della sera e Marfane si accovacciò al limite di quella scogliera a guardare le lunghe dita dei piedi spigolosi affacciarsi sul mare. Provò a raggrinzirle e allentarle d´un tratto per vedere che effetto gli facesse vedere la sabbia e i sassolini cadere a strapiombo nell’occhio del mulinello. Li vide lanciarsi lentamente e poi sparire all’improvviso. Se li immaginò aggrovigliarsi tra di loro costretti in un abbraccio e poi sbriciolarsi nel vortice, diventare infiniti e sottili, disperdersi nel mare, esplorarne i mondi e goderne del silenzio, posarsi sulle spiagge e trasformarsi in un castello di sabbia tra le mani divertite di qualche bambino.
Mise la testa tra le ginocchia e l’odore delle sue viscere gli diede la nausea.
Pensò al castello di sabbia accarezzato dal mare di chissà quale spiaggia e si asciugò per un’ultima volta le lacrime con le sue dita di ragno.
Due giorni dopo il corpo gonfio di Marfane fu rinvenuto nella spiaggia, di fronte a una casa imponente a forma di barca. Lo intravide il padrone di quella casa, mentre fumava un toscano con le prime luci dell’alba sulla prua della sua casa-barca, farsi spazio con il suo iniziale gonfiore tra la sabbia ancora fredda e le rade canne verdi. Inizialmente pensò a un delfino arenatosi nella notte, ma poi intravide una chioma e cacciò un urlo secco e sordo. Cadde per terra, punf fece e il punf lasciò una sagoma simile a un fosso.
La gente del luogo disse che il ragazzo avesse perso la sua magrezza, gonfiato dai gas iniziali della putrefazione, e che avesse un’espressione serena, come di chi finalmente riesce a dormire dopo un lungo periodo di insonnia o come chi si gode gli strascichi di un bel sogno, poco prima di svegliarsi.