Premio Racconti nella Rete 2023 “Turi” di Alessandra La Terra
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Lo zio Turi si chiamava Tullio. Ma siccome era stato adottato da una famiglia siciliana e Tullio sembrava un nome da forestiero, lo chiamarono con uno dei nomi più comuni di quella terra: Salvatore.
Gli usarono questa unica cortesia per farlo sentire a casa, dato che la famiglia adottiva, certi contadini asciutti e col petto pieno di sabbia, mancava anche dell’umanità più spiccia. Turi era impiegato nei campi, dormiva su una coperta marrone e righe bianche in una stanza minuscola che sapeva di legno e muffa, la coperta pure lei sapeva di muffa e aveva buchi un po´qua e un po´ là ( certe sere il bambino se la metteva addosso e si fingeva un fantasma, altre sere un pistolero dalla mira da perfezionare ), a volte gli davano da mangiare a volte no, spesso veniva picchiato ma nel cuore conservava un fare infantile che lo salvava dal mondo ( giocava con i propri ematomi come si fa con le nuvole, che ognuna nasconde una forma; un giorno gliene spuntò una a forma di cuore, un giorno una a forma di nuvola, una volta gli parve di intravedere una faccia di donna, forse sua madre si disse, chissà, e per non farla sparire la colorava ogni giorno di terra sinché quell’immagine si dissolse risucchiata dai pori e lui sperò che vagasse nel suo sangue ). Non c’era giorno in cui non si sentisse come chi sogna di cadere nel vuoto: la testa gli diventava leggera e il cuore gli si rattrappiva in un dolore stretto e acuto; pensava a sua madre, provava a immaginarsela, a immaginare la sua voce, un qualche calore percepibile nelle cose quotidiane e in grado di collegarlo a lei; ma non ne era capace. L’immagine della madre era come uno dei buchi di quella coperta attraverso cui guardare una stanza minuscola dall’odore di muffa.
Il fanciullo che conservava nel cuore lo protesse dalla vita che gli era stata riservata e Turi si sposò presto e per amore con una ragazza di nome Maria da cui ebbe tre figli maschi, tutti con i suoi occhi grandi e buoni e la connaturata predisposizione a una bontà fine a se stessa. Aveva un pezzo di terra che coltivava e a cui lavorava dalla mattina alla sera, vi erano ulivi e viti e ogni albero aveva un nome. Il primo che aveva piantato portava il nome del figlio: Pietro. Era un ulivo imponente, dalla chioma fitta, due tronchi che si annodavano tra di loro, come se una giraffa e un ariete cercassero di annusarsi o cercassero l’uno l’abbraccio dell’altro. Il tronco di Pietro aveva numerose infossature e Turi, prima di ogni inverno, faceva allestire da ognuno dei suoi figli piccole mangiatoie per gli uccelli.
Tanino invece era una vite sottile che grondava di uva bluastra; l’uva scendeva fitta come grandine dal cielo. Da lei si propagavano filari di viti altrettanto floride da cui Turi ricavava dell’ottimo primitivo, tenendo per sé la prima bottiglia di ogni stagione. Non beveva il proprio vino, ma lo conservava come le madri che conservano i denti dei figli e sull’etichetta metteva il giorno, il mese, l’anno e il nome della pianta da cui era stato ricavato, quasi a voler ricordare il rapporto di creazione e nascita che li aveva legati. Succedeva che a cena chiedesse a uno dei suoi figli di scegliere una bottiglia; poi, in base all’anno, iniziava a raccontare loro una storia. I bambini ascoltavano un po´inebetiti dai fiotti di parole e dalle immagini che nelle loro menti trovavano colori, forme, collocazioni differenti ( ne uscivano poi sempre discussioni circa la loro veridicità, perché ognuno si era figurato la storia del padre in modo differente ) e con gli occhi fissi e spalancati da lemuri. Spesso arrivavano cugini e cugine a sentire le sue storie e tutti lo consideravano lo zio preferito: lui raccontava, giocava, rideva, la casa si trasformava in un fortino, in una nave di pirati, nel castello di un principe e ogni bambino, con quelle parole piene di altri mondi, visitava ogni luogo possibile, diventava ogni cosa possibile. Il fanciullo che aveva salvato Turi dalle cose del mondo, continuava a salvare tutti, viti e ulivi compresi: conservava intatta la loro origine e dava fondo a tutte quelle forze, anche microscopiche, con cui quotidianamente si cerca di preservare chi si ama. Per lo zio preferito nipoti e bambini costituivano un qualcosa di sacro, erano tutti figli suoi perché, pensava, ogni uomo è un po´genitore di ogni bambino di questo mondo; questa frase la ripeteva spesso alla moglie e la moglie non capiva come un uomo venuto dal nulla, vagante nel mondo come una minuscola particella di plancton, avesse tutto quell’amore essendone nato senza.
Turi però a volte continuava a penzolare nel mondo, con la testa all’ingiù, il cuore stretto e un dolore acuto di aragosta. Certe sere in cui non raccontava storie, usciva di casa quasi senza farsi vedere. I figli si accorgevano dopo un po´che il padre non c’era e sapevano di doverlo cercare in ogni osteria del paese. A volte passavano due, tre ore perché le osterie erano dislocate, a volte arroccate e pronte a non farsi raggiungere; lo trovavano solo, come era nato e vissuto per gran parte della sua vita, ubriaco di quella solitudine e incapace di parlare, gli occhi liquidi e il cuore una biglia, il bicchiere incrostato di vino. Lo sollevavano con la loro forza di figli come fosse senza peso, una piuma, un vuoto e lo accompagnavano a casa mentre lui grondava di lacrime, fitte come grandine e grondando ripeteva Mamma, mamma.
La tua scrittura “classica” è un piacere per lo spirito. Il realismo punteggiato di immagini poetiche è una formula vincente. Complimenti davvero!
Grazie per le tue parole, mi fanno bene al cuore.