Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Giovanni” di Alessandra La Terra

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

La moglie se ne andò un giorno che il vialetto era giallo di narcisi e minuscole veroniche si scomponevano qua e là; l’aria era leggera, quasi una ballerina sulle punte; lei si trascinò lentamente la porta dietro di sé come se oltre non ci fosse nulla, al massimo uno spostamento d’aria, qualcosa lasciato al vento; invece c’era suo marito.

Giovanni rimase nella piccola stanza come in attesa di qualcosa; gli occhi buoni brillavano in modo disumano e lui affondava le braccia nelle tasche dei pantaloni di flanella, le dita nodose immobili, curvo, grigio e insipido come la vita l’aveva reso; per la sua età sembrava quasi decrepito, i capelli pochi e grigiastri, il viso allungato, un po’ rugoso. Tutti si domandavano come Teresa se lo fosse sposato, bella in un modo che non si poteva nascondere né attenuare, la bocca perfetta atteggiata a sorrisi sempre necessari, separati dal cuore; gli occhi due perle nere e i capelli corvini acconciati come di chi se li cura molto. Ogni mattina infilava la strada assieme al gruppetto di donne tutte uguali che prendevano il pullman per andare a lavorare in città; le donne camminavano a coppie tenendosi a braccetto, un po’ curve sotto il peso del freddo e della nebbia invernale e parlando fitto fitto, senza pause; Teresa invece moderava le parole, le soppesava e veniva da lasciarlo il suo braccio perché di amicizia o di affetto ne passava appena e a volte sembrava fatto di ghiaccio. Nessuno vedeva attraverso la luce nerissima dei suoi occhi la quotidiana insofferenza verso i ritmi sempre uguali della vita e del mondo così, quando sparì, tutti si meravigliarono e non parlavano d’altro.

Giovanni prese a stare sul balcone, lo si vedeva ogni giorno, una linea di sofferenza incurvata sulla balaustra di cemento con accanto un posacenere; guardava le donne andare al lavoro e forse si immaginava Teresa, che con la sua bellezza rompeva quella riga tutta uguale; a volte gli sembrava di sentire il suo nome e il nome gli si agganciava al cuore come un amo alla bocca di un pesce; le donne chiacchieravano, immaginavano, fantasticavano, abbassavano la voce quando passavano in fila sotto il suo balcone Ma dove può essere andata? Sarà sicuramente scappata, magari con uno più giovane, E certo da quella casa mai un urlo mai una litigata cosa volevi che succedesse? A tutti parve di vedere Teresa almeno una volta, ancora più giovane dei suoi quarant’anni, alcuni forse ne intravidero in mezzo alla folla il sorriso assai bianco, altri i due occhi nerissimi ma poi prendeva a dissolversi, come una visione, come una suggestione, come il desiderio di collocarla in uno spazio definito dopo tutti quegli anni trascorsi a falcare la stradina aggrappate al suo braccio di ghiaccio. Ma nessuno fu mai sicuro di averla vista, nessuno forse la vide mai più.

L’aria ingrigiva di fumo e il pensiero di Giovanni rimaneva quel nulla che solo il dolore lancinante di una perdita può fare esistere. Smise di mangiare e divenne una linea, semi invisibile, i vestiti quasi enormi, le scarpe lunghissime, la faccia una forma di creta scavata. Se ne stava con le mani a penzoloni e una sigaretta tra indice e medio quasi lasciata scivolare; lo sguardo plumbeo e perso scivolava pure lui, la bocca sottilissima che pareva una ferita in un lembo di pelle inespressivo. Così i figli un giorno si presentarono a casa con un labrador. Il cane gli scodinzolò tra le gambe, i suoi occhi gli incontrarono il cuore, vagarono in quel vuoto a lungo e lì si fermarono.

La mattina la fila delle donne incontrava Giovanni e il cane, Ciao Giovanni! gli dicevano squillando nella voce la felicità di non vederlo più solo. Giovanni salutava con un cenno, quasi si schermiva e imboccava la stradina sterrata che si snodava lungo la campagna, assaporando l’odore dolciastro del riso che proveniva dalle risaie, quello aspro del vino e il profumo ovattato e caldo della terra rimestata dagli aratri. Giovanni parlava a Lucky, così l’aveva chiamato perché averlo in torno era stato proprio un colpo di fortuna, come una delle donne in quella fila a braccetto: gli parlava fitto fitto, gli raccontava di Teresa, di come l’aveva incontrata bellissima tra le amiche, di quel suo modo di parlare buffo una volta che dalla Calabria era salita al Nord, di come non amasse la nebbia e il freddo. Forse se ne è sempre voluta andare, sai Lucky? Forse non è mai venuta qui con me, è sempre stata via. Lucky capiva, lo guardava con uno sguardo pieno di una comprensione incontrollata, poi iniziava a correre dietro ai piccioni e a disegnare attorno a Giovanni cerchi di polvere. Fu così per tutti gli anni a venire, anni in cui le persone a volte si chiedevano ancora perché Teresa se ne fosse andata e non seppero mai la risposta; Lucky invece sapeva tutto e seguiva il suo padrone anche sotto il peso della pioggia, della neve e dell’età, il passo spezzato come la sofferenza fa implacabilmente con certe vite. Più gli anni passavano, più Lucky allentava il suo passo e Giovanni giorno dopo giorno capiva che nel suo cuore presto ci sarebbe stato anche quel vuoto.

Lucky se ne andò una notte, le stelle chiarissime nel cielo infarinato dalla luna, il cuore di Giovanni sciolto in quel senso di morte che lascia l’irreversibile assenza dell’amore; Giovanni lo prese in braccio con la tenerezza di un padre e lo seppellì nella campagna, in mezzo ad un piccolo cumulo di pioppi che sembravano formare un laghetto argentato, quando il vento rivoltava il loro fogliame leggero. Da lì il cane avrebbe sentito lo schiamazzare dei piccioni e l’odore acre del vino e i racconti di Giovanni che ogni giorno prendeva la stradina e si perdeva nella campagna sino a quel lago di pioppi; si sedeva lento e affaticato affianco al cane e iniziava a parlare fitto fitto, come chi ha da raccontare una vita intera. Accarezzava il cumulo di terra, accarezzava Lucky e parlava in quel suo modo senza pause. Le donne lo incontravano ogni mattina, le braccia a penzoloni e un minuzzolo di mozzicone che pareva bruciargli le dita; lui ricambiava il loro saluto con un cenno brevissimo, lo sguardo nemmeno sbieco di chi non vede più nulla; certi giorni l’uomo sembrava una pennellata data per caso nell’aria.

Una mattina la fila di donne non lo incontrò e nemmeno la mattina dopo.

Di ritorno dal lavoro andarono a cercarlo, si unirono i mariti e a loro i figli di Giovanni e le voci si ricalcavano le une sulle altre con un filo di speranza che ciondolava incerto; il sole era alto nel cielo e l’aria ancora fresca e alla fine lo videro, lo sguardo chiuso e la bocca socchiusa in chissà quale parola ( forse un ti amo, forse Teresa, forse nulla ); se ne stava steso nel laghetto argentato di pioppi, abbracciando il cumulo di terra e sembrava chiedesse solo di rimanere lì.

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7 commenti »

  1. Ho letto con piacere quel racconto, parla del’ amore, della noia, della solitudine, del’ amicizia in modo poetico. Non è soltanto una storia, inveche parla anche della vita reale. Grazie.

  2. Confermo i complimenti, hai una scrittura magica (la pennellata data per caso nell’aria), ti si legge come ascoltando un antico canto popolare, con gli occhi chiusi e il cuore colmo. Bravissima!

  3. Composto eppure struggente. Quasi una lunga poesia… A parte l’uso un po’ forzato delle virgolette, a mio modesto parere, mi è piaciuto molto.

  4. In questo splendido racconto ho visto immagini poetiche, tenere e malinconiche. Hai rappresentato il personaggio in toto, rievocando tratti dal passato, dal presente e verso il futuro. Complimenti!

  5. Scusami Alessandra, intendevo dire “punto e virgola” e invece per errore ho scritto virgolette.

  6. Complimenti. Scrittura liscia, lineare. Pennellate di sensazioni e sentimenti vividi, semplici ma che impattano l’anima.
    Mi piacerebbe leggere di più sul rapporto tra Giovanni e Lucky che rappresenta il vero legame, quello più profondo del racconto. Mai pensato a scrivere solo di loro due con il resto sullo sfondo?

  7. Grazie Gianpaolo per le sue parole; ho scritto vari racconti e sì, alcuni mi piacerebbe diventassero un romanzo ma sono onesta: non credo di esserne capace. Mi attraversano solo le piccole storie, almeno per il momento.

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