Premio Racconti nella Rete 2023 “Lettera a mia sorella” di Manuela Fucci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023
Me a Tea
20 Giu – 20:44
Oggetto: lettera a mia sorella
Cara sorella, tu e l’estate entrate insieme nella mia mente oggi.
Non so se sarò così fortunata da raggiungerti, se hai ancora lo stesso indirizzo. Ho tentato.
Ecco che a scriverti adesso mi sento stupida. Inizio da un fatto: sono andata al parco con Lea, ieri. Il sole bruciava tutte le panchine di ferro tranne una, era all’ombra del vecchio casolare del guardiano. Mi sono seduta a respirare. Stavo comoda e potevo guardare Lea. La sua testa era una piccola pesca che odorava di buono. Alla fine, ho chiuso gli occhi.
Un bambino è passato accanto a noi, piangeva disperato. Ho aperto gli occhi. L’ho visto appeso per un braccio alla mano della mamma. In quel momento, ti sembrerà assurdo, niente è stato più come prima.
La panchina era diventata orribile, ricoperta di scritte a pennarello, sembrava volesse cacciarmi. Era sparito l’ossigeno intorno. In quell’istante mi sono ricordata di… lo sai.
Poi, ho guardato Lea. Dormiva ancora, affidata a me, a me madre. Le voci degli altri erano diventate stridii di pipistrelli e io sentivo che dovevo salvarci. Allora mi sono chiesta cosa avrei potuto fare. Alzarmi sarebbe stata una soluzione. L’ho fatto e ho corso, ho corso mentre le ruote del passeggino saltavano sui ciottoli; sono arrivata all’uscita del parco e lì mi sono accorta che Lea si era svegliata.
La sera ho sbirciato nella libreria che Roberto e io abbiamo riempito. Nel prendere un libro, un altro mi è caduto sulla punta della pantofola, col dorso sul pavimento, aperto. C’era odore di muffa, le pagine erano ingiallite, alcune irrimediabilmente macchiate. Poi, ho visto un triangolo che sbucava tra due pagine oltre metà libro. Il sospettato di Simenon. Papà lo considerava uno tra i suoi preferiti. Non sapevo dell’esistenza di quel pezzo di carta.
Appena ho visto di cosa si trattava, mi sono seduta, senza guardare dove. Tremavo pensando a lei… Ho preso quel pezzo di carta e ho appoggiato il libro sulle gambe.
Quanto tempo io sia rimasta in quella posizione, con le ginocchia strette, solo la casa lo sa.
Ho taciuto, quando Roberto è rientrato; mi è venuto naturale fare ciò che ho fatto. Il libro e ciò che conteneva erano spariti dal salotto, nascosti nel buio del mio comodino. Abbiamo cenato, noi tre, tutto è tornato familiare. Lea non avrebbe potuto raccontare a Roberto ciò che era successo al parco, e io l’ho dimenticato, dovevo farlo.
Roberto e io siamo diventati due bravi attori. È strano, non mi ferisce più pensarlo. Non facciamo più sesso, figuriamoci l’amore; le mie amiche hanno già un amante. Con uno sconosciuto è più facile rimanere nudi.
Anna
Me a Tea
20 Giu – 21:57
Oggetto: lettera a mia sorella.
Ah, ho dimenticato di parlarti di papà. Mi domanda di te, sempre, a volte anche con una scusa. Oggi, per esempio, l’ho accompagnato al bar, aveva bisogno di fare una colazione più corposa prima di prendere le pillole. Mentre eravamo lì, davanti al bancone, una signora ha detto che stanotte c’è stata una scossa di terremoto. Le conosci le razioni di papà alle brutte notizie. È rimasto immobile col cornetto in mano e la tazzina di caffè che aveva smesso di fumare. Ha ripreso a parlare solo quando siamo tornati in strada. Ha detto all’aria, non a me, ma all’aria: “Chissà se tua sorella si è spaventata.”
L’ho rassicurato. Come potevo confessare la verità, la nostra verità?
Tu l’avresti fatto. Sei una tosta, una che non le manda a dire, tu. Io come sono? Non riesco a vedermi.
Sono passati due anni dall’ultima volta che ti ho incontrata, per caso, mentre passeggiavi sulla nostra spiaggia, la stessa che calpestavamo da bambine.
Ci lanciavamo a fare le ruote, appena arrivate al lido. Papà aveva quella fissa di essere il primo cliente. E la sabbia era fredda. L’odore del mare non c’era ancora.
Contavamo le impronte dei gabbiani e seguivamo il loro percorso. A un certo punto finiva nel nulla e allora mi ricordo che alzavo gli occhi al cielo pensando che fossero sopra di noi. Eri la più coraggiosa, la più acquatica tra le due. Ti immergevi tutta. Io entravo cauta, prima le caviglie, dopo le ginocchia e poi, quando l’acqua arrivava alla vita, allargavo le braccia convinta che quella posizione mi aiutasse a sentire meno freddo. Per incoraggiarmi pensavo: “Buttati, dai!” me lo ripetevo tre volte; oggi è ancora così quando devo convincermi a fare una cosa. Ogni tanto guardavo nella direzione del nostro ombrellone. Vedere papà seduto sulla sdraio con uno dei suoi libri mi faceva sentire sicura.
Vorrei che avesse ancora la forza di portarci lì, un tempo in cui le uniche pillole che prendeva erano le vitamine per il raffreddore.
Sono passati due anni da quando tu e io ci siamo incontrate sulla spiaggia. Sette dall’ultima volta che ci siamo guardate, che lei ha parlato.
Appena ti ho vista ho pensato: siamo diventate due perle. Ma non è stato abbastanza, tra noi c’era la fredda consapevolezza di essere diventate delle semplici conoscenze. Ho tolto le mani dalle tasche, tu hai infilato le mani nelle tue.
Poco fa ho preso dal comodino quel libro e l’ho aperto e chiuso più volte, poi ho sfilato la nostra foto. L’ha scattata papà alla Reggia di Caserta, proprio accanto alle vasche dei pesci, lungo il vialone. Tu e io così vicine; hai entrambe le mani sulle mie spalle, già mi proteggevi.
Ho girato la foto sperando di trovare una data, una frase che ci identificasse. Niente.
Avrei voluto chiudermi in camera e trovarti lì, ancora. Come quando le urla malate di nostra madre coprivano le voci della tv, quando il fracasso delle porte che sbattevano lanciavano il cuore a mille e mi nascondevo sotto le coperte per paura che la casa potesse crollarmi addosso.
Ecco che la casa non è stata più sicura; è stato il momento dell’armadio. Abbracciata alle mie gambe. Tu chissà dov’eri.
Papà non ha mai capito che noi avevamo paura delle urla, dei litigi, dei silenzi improvvisi dopo le litigate. Il terremoto.
Oggi, vorrei fare il punto della situazione… mi aiuta una frase che mi ha spezzata in due. Dicesti: “Sto per crollare”. Io ti risposi: “non è vero!”
Quel pomeriggio di sette anni fa sei corsa via come se qualcuno avesse sparato in aria un colpo di pistola. Impossibile dimenticare la tua immagine. Sotto lo stipite della porta del salotto hai guardato prima lei, poi me e di nuovo me, e me. Ti sei voltata di scatto, ho sentito i tuoi passi fino alla porta e poi il cigolio dei cardini.
Dimmi che adesso ridi, che il tuo corpo ti piace, che stai bene. Leggi questa lettera, stracciala, regalala. Io ho tentato.
Anna
Me a Anna
20 Giu – 23:12
Oggetto: R: lettera a mia sorella.
Hai un bel coraggio, sai?
Pensi che ti creda? Se tu avessi tentato veramente avresti scritto questa mail, prima.
Ci sono molte cose del nostro passato che non ricordi, oppure… fai solo finta?
Cosa devi pensare di te stessa? Tralascio le offese che meriteresti. Possibile che sia stata l’immagine vecchia di noi a farti nascere una coscienza?
Ricordi bene: ti sono sempre stata vicina. Da quando papà mi disse, il giorno stesso in cui nascesti, che avrei dovuto proteggerti come una sentinella. Quanta energia mi diede quella frase, ma ci volle poco a capire che era una trappola. Ti controllavo a mare, cercavo di distrarti col gioco delle impronte sulla sabbia. Cara mia, fui io a dirti di nasconderti nell’armadio mentre facevo la guarda alla nostra stanza.
Ti sei mai chiesta che diamine di fine io abbia fatto, dopo quel giorno? Be, semmai te ne freghi qualcosa… andai in banca e prelevai una parte di ciò che avevo. Il giorno stesso cercai un posto dove sistemarmi. Prima ho passato due cazzo di notti in macchina però. Antonella, forse te la ricordi, mi offrì un alloggio. Era così osceno che nemmeno le blatte ci volevano stare. Senza mutande, senza il pigiama, ho ricominciato comprando uno spazzolino da denti. Ancora lo conservo.
Mi scrivi come se quell’unica volta in cui ci siamo incrociate sulla spiaggia, bastasse a coprire tutto.
Non hai il coraggio di dirlo neanche dopo sette anni. Ricordati: eri già sposata all’epoca. Scoprii dalla bocca di nostra madre che eri incinta. Eppure nostra madre sapeva, sapeva quanto fossi stracciata dalla possibilità che non avrei potuto avere figli. Mi diede la notizia con tutto il veleno della sua malattia: a lei l’ho perdonata, per questo.
Sei stata tu. Tu eri maledettamente inespressiva quel giorno. Avresti potuto abbracciarmi, dire qualcosa, magari gridare anche. Ma Anna la ‘perfetta’ non si spreca!
Per cui, no cara mia, non avrai la mia comprensione.
Tea
Me a Tea
21 Giu – 10:46
Oggetto: R: R: Lettera a mia sorella.
E va bene, hai ragione,
non sono la sorella coraggiosa e sette anni sono un’eternità!
Tu puoi dire di non aver fatto mai nulla di sbagliato contro di me?
Ricordo ancora quando portavo un ragazzo a casa e ti lanciavi in mille fusa per attirare la sua attenzione. Ti riusciva facile: bionda, occhi azzurri e pelle d’ebano. Solare com’eri sapevi come fare cadere ai tuoi piedi chiunque volessi. Io, invece, quella introversa. Mi sono sentita la tua ombra, per anni. Andavo bene a scuola, nello sport e risultavo simpatica ed educata, nulla di più. Mi sentivo anonima, per questo ti ammiravo.
Lasciami dire però, che a noi due il passato non deve più riguardare.
Vorrei incontrarti, conoscere la parte della tua vita dopo che sei andata via. Avresti voluto nascere in un’altra famiglia? Dimmi se hai incontrato l’uomo che volevi e chi sono i tuoi amici.
Abbiamo combattuto molte battaglie e di certo ne abbiamo vinte alcune, ma la guerra non lo so.
Anna
Me a Anna
15 luglio – 15:00
Oggetto: R: R: R: Lettera a mia sorella.
Dalle tue parole sembra tutto molto superficiale.
Su una cosa mi trovi d’accordo: il passato non ci riguarda più. Ma il passato, Anna, l’abbiamo fatto anche noi.
Non sono la stessa Tea di cui ti ricordi. Spesso mi chiedo se malati si diventa o se lo sono sempre stata. I segni ci sono tutti, e sembrano uguali a quelli di nostra madre.
Una volta, ricordo che ero appena tornata dal lavoro, avevo ancora la giacca e le scarpe. Le accennai di un problema con una collega. Lei mi guardò, senza vedermi, gli occhi erano di vetro. Mi disse: “è tutta la vita che mi deludi.” In quel momento sono implosa.
È diventato difficile affrontare lo specchio quando si tratta di spogliarmi. Mi chiudo nel bagno. La prima parte del corpo che guardo è il viso. Poi scendo. Prima la maglietta poi la canottiera, abbasso le bretelle, una alla volta. Il seno è già cadente, i capezzoli sono asimmetrici. Eccomi lì, mezza nuda, flaccida. Qualcosa attira i miei occhi. Quel rigonfiamento sotto al seno sinistro. Una piccola palla ovale. La tasto, la misuro con la mano a cucchiaio. Dico a me stessa che non è niente, ma magari è qualcosa di importante. Provo a stirarla, inspiro, caccio il petto in fuori, sollevo il seno con entrambe le mani. Non se ne va. Quella cosa mostruosa dorme con me, mangia con me, viene a fare la spesa, è lì mentre chiacchiero con le amiche. Queste sono cose di cui si parla con una mamma o con una sorella.
Tea
Me a Tea
15 luglio – 18:02
Oggetto: R: R: R: R: Lettera a mia sorella.
Eccomi, io ci sono!
Te la guardo io quella cosa sotto al seno. Ne ho avuta una simile poco prima si sposarmi, alla fine era solo una cisti di grasso. Se ti fa sentire più tranquilla ti accompagnerò dal medico. Sono certa che non è nulla di preoccupante, fidati!
Mi chiamerai?
Anna
Me a Anna
15 luglio – 18:33
Oggetto: R: R: R: R: R: lettera a mia sorella.
Comunque, mio marito si chiama Valerio e sì ho tanti amici, adesso.
Hai parlato di guerra. Non ho pensato a questo negli ultimi tempi; ho vissuto ogni giorno senza aspettarmi un fottuto niente dalla vita. Era già un miracolo che fossi uscita viva dal passato.
Quando ho trovato una casa decente, quando sono venuta a vivere in questo nuovo quartiere, e poi è arrivato Valerio, ho vinto.
Perché non dirtelo… Sono mamma di una meravigliosa bambina: Margherita.
Anche a Margherita piace molto quel parco. Forse un giorno le nostre figlie si incontreranno.
Comunque il mio numero non l’ho mai cambiato.
Fai tu.
Tea
Fai tu! E che chiunque possa, faccia. In bocca al lupo.
Scritto con molto sentimento e con alcune immagini che mi sono piaciute, come quando le due protagoniste, in maniera alternata, infilano le mani in tasca: segno di imbarazzo, ma più probabilmente di chiusura reciproca, una barriera emotiva la cui descrizione è affidata ai piccoli gesti, inequivocabili. Brava nel delineare i caratteri anche facendo ricorso a particolari di questo tipo. Forse avresti avuto bisogno di uno spazio più amplio, di un racconto più lungo per sviluppare dei temi che sembra ti siano rimasti in punta di “penna”. Mi chiedo se tu abbia tagliato qualcosa per rendere più fruibile la lettura, curiosità mia!