Premio Racconti nella Rete 2023 “Voglia di pulito” di Simona Rossi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Con la posta in una mano e il vassoio take-away tiepido e aromatico in equilibrio sull’altra, Veronica sale le scale. L’imminenza dell’incontro con Gianluca rende gradevole l’affanno, la prova di equilibrismo invece la irrita. ‘Perché svuoti proprio ora la buca delle lettere, se sai che contiene solo pubblicità?’. Tenere casa pulita per cancellare ogni appiccicaticcio dei residui matrimoniali era un conto, ma che la sua forza abrasiva e rinnovatrice si spingesse ogni volta sino alla cassetta delle lettere!
Comunque, superato l’ultimo gradino, il braccio anchilosato che da solo aveva portato la cena per lei e Gianluca, è soddisfatto, perché dalla confezione si ergono ancora originali e distinti, l’odore dolciastro e pungente di curry giallo con uvetta, l’umido neutrale del riso bianco e l’unto salutare del sesamo che incrosta il pollo. Gianluca adora il mangiare indiano raffinato, quello che non affoga tutte le pietanze in un unico pappone, e lei adora il ristorante ‘Ganesha’ che prepara piatti indiani raffinati a portar via.
A uscio di casa spalancato Veronica si dice: “E questa è fatta. Fase uno: caccia al cibo – conclusa”. Sfilandosi soprabito e scarpe si complimenta con il suo fisico atletico e si raffigura mentalmente le altre fasi della serata con Gianluca. Fase due: cena perfetta. Fase tre: ballo sfrenato. Fase quattro … davanti all’occhio dell’immaginazione compare il nero. Dalla scarpiera appena aperta era fuoriuscito un odore di lacca agglomerato e violento che le era impattato contro. Max, il suo ex marito, portava stivaletti di marca e il suo spray per lucidarli era un’aggressione chimica al cervello ogni volta che uscivano in tenuta elegante. Quante volte gli aveva detto di trattare le scarpe fuori dal balcone e lasciarle lì a disperdere la puzza tossica, e lui aveva riso, replicando che l’odore di nuovo dava fastidio solo a lei e a chi come lei si accontentava di certezze piccole-piccole. Con occhi chiusi e il naso tappato Veronica butta dentro l’armadietto le scarpe dell’ufficio e afferra il decolté, quello finemente procace, con punta stondata-gentile e tacco aggressivo. Altro che paura del nuovo, dal plateau di quelle scarpe era il mondo a essere piccolo-piccolo.
Lentamente, perché insieme alla tenuta da lavoro cadano anche le preoccupazioni, Veronica si sveste. La sferzata di acqua tiepida dal diffusore sistemato su ‘massaggio’, le conferma quanto già dal mattino sentiva sistemarsi sotto gli strati più interni dell’epidermide. La massa corporea si stava preparando a portare un capo preciso del guardaroba, e cioè il tubino nero, che per spessore e aderenza poteva essere una muta da sub. Ancora sotto l’effetto-antietà della crema-corpo Veronica appoggia il tubino sul letto, prende al primo colpo le calze color-nudo dal groviglio nella cesta e si aggiusta la lingerie, tirando bene le bretelle del reggiseno. Una le rimane attaccata al pollice e le scocca sulla clavicola. Il dolore proviene però dall’interno del naso, nel posto che normalmente occupa il raffreddore. Veronica si siede sul letto e il malore si intensifica. Le serve un’aspirina, che è nell’armadio in cucina. Già nel corridoio il dolore sparisce, rimane il capogiro di chi si è perso in un bosco. Reggendosi al muro Veronica torna in camera da letto e comprende. Il tubino emana flutti di bergamotto e geranio, come se la busta della lavanderia che lo conteneva fosse stata piena di petali e frutti di Calabria. Gli aromi dell’eau de toilette di Max si erano permessi di resistere al lavaggio a secco, al ferro da stiro e ai venti euro pagati. Veronica scaccia lo shock con una serie di imprecazioni rumorose. L’effetto è catartico. Veronica si vede avvolta nell’abito vestale verde bottiglia, i cui drappeggi di seta seguiranno seducenti il suo corpo, mentre lei e Gianluca ballano sul ritmo sfrenato di un ballo indiano.
“Benvenuto Gianluca, accomodati, giù in fondo è il salotto”. Veronica chiude la porta più lentamente del necessario per ammirare il passo del suo collega. Lo fa quasi ogni mattina. Arriva appositamente prima in azienda per aspettare in garage che Gianluca scenda dalla macchina e si diriga verso l’ascensore con il suo andamento continuo, da lancetta di orologio meccanico. Con quei passi leggeri, ingranati e calmi, sembra padroneggiare il tempo.
“Vedo che hai dei bei batik, oltre che degli eleganti drappeggi al vestito. Ti piace l’India?”. La voce di Gianluca è quella di uno speaker radiofonico notturno.
“Mi diverte Bollywood. Non ci sono ancora stata. Tu invece?”.
Con affermazioni affascinanti Gianluca conduce il racconto dall’Himalaya fino al Kerala e Veronica, che annuisce francamente interessata, si inserisce nel flusso solo per indicare il vano-bar della libreria e il salotto: “Qui ci vuole un gin tonic! Prendi la bottiglia, per favore, io porto il resto”. Lei si tiene lontana dal vano-bar, perché conteneva i whiskey scozzesi del suo ex, e le sembra ancora pieno di torba.
La frutta a spicchi – un omaggio alla tradizione orientale – e le olive nostrane sono già sul tavolino basso. Veronica riempie i bicchieri e si siede accanto a Gianluca che sembra compiacersi della vicinanza tra le loro gambe e della sottigliezza della seta.
“Gianluca fumi o posso togliere il posacenere?”. Come mai puzza di sigaro adesso? Non lo fa mai.
Gianluca si allenta il risvolto del collo alto: “Ti ho appena detto che non fumo più da quando sono tornato dall’India”.
Lei glielo ripeteva a Max di non spegnere i toscani dentro il posacenere di pietra. Cento volte gli aveva spiegato che era stata la sua compagna di stanza all’università a regalarglielo per farla sentire una dura e aiutarla a smettere di fumare. Quel posacenere, così granitico, simboleggiava il suo auto-controllo. Lei glielo ripeteva costantemente di non sporcarlo e Max lo ignorava! Lei lo aveva salvato, il posacenere. Dopo averlo lasciato immerso nell’acqua che la pietra scava, ne aveva grattato alacremente il fondo e i bordi con la spugna di ferro e la cenere del camino. Era sicura che lei e il granito avessero vinto la guerra contro l’onta del tabacco bruciato. Ecco perché il posacenere troneggiava ancora sul tavolino basso del salotto.
“Ti senti bene, Veronica? Hai gli occhi spenti, vuoi che torni un’altra volta?”. Gianluca si spinge di colpo sul bordo del cuscino e una ciocca della sua folta chioma scura si distacca dal resto nonostante il gel.
“No, scherzi? La cena è pronta. Ascoltandoti, mi sono scordata di mangiare qualcosa prima di bere. Accomodati a tavola”. Veronica solletica il ginocchio contratto di Gianluca e si alza con slancio per far fluttuare tutta la lunghezza della seta e dei capelli. “Metti su un po’ di musica”.
Mentre Gianluca si intrattiene allo stereo, Veronica sistema sulla tavola i fiori, l’omaggio dell’ospite, e la cena calda, miracolo del microonde.
“Tutti quei dischi…. La collezione del tuo ex?”. Gianluca punta la forchetta con sopra solo riso bianco nella direzione di Veronica.
Dopo aver infilzato un pezzetto di pollo e accennando un fendente nella direzione di Gianluca, Veronica risponde: “Ma neanche per sogno. Considerala il mio lato maschile. Ho anche una collezione di farfalle”.
Veronica si gode l’espressione di Gianluca. All’aria pensosa e scettica che accompagna il Gianluca della mattina quando scende dalla macchina nel garage dell’ufficio, si aggiunge in quel momento l’autoironia di un sorriso che svela con convinzione lo spazietto tra i denti frontali e che intenzionalmente fa risaltare l’assenza più della presenza.
“Ah, ma allora nascondi molte cose”, dice Gianluca con le esse che si intrufolano nello spazietto.
Veronica alza il capo con una contrazione, come se il collo fosse stato esposto a uno spiffero e domanda: “Balli? Perché so anche ballare”.
I suoni striduli del sirtaki sciolgono il primo imbarazzo. Esercitandosi con gli sghignazzi, quelli a piena dentatura che tutti i ballerini indiani si devono stampare in viso, Veronica e Gianluca dimenticano le remore dei primi incontri a due. Ed è seguendo le percussioni bollywoodiane, elettroniche e rintronanti, che i corpi trovano movimenti e ritmo coordinati. Quando il loro ballo diventa sensuale e accaldato i loro vapori si mischiano. Veronica inebriatasi di quell’alchimia, che è la stessa che si liberava nelle notti d’amore con Max, sviene.
Dopo qualche ora, Veronica si risveglia da sola. Su un post-it c’è scritto in bella calligrafia: “Ti lascio dormire tranquilla, Gianluca”.
La rabbia cresce incontrollabile. L’aria che respira in quell’appartamento le toglie il respiro. Veronica corre in cucina, accende tutti i fornelli del gas, chiude porta e finestra. Aspetta mezz’ora, poi prende l’ultimo accendino di Max, ne apre il coperchio, lo fa illuminare e lo butta in cucina. Veronica non ricorda chi ha chiamato i pompieri, il viaggio in ambulanza. Per quanto si sforzi, non riesce a concentrarsi, perché tutto in quella stanza di ospedale, ordinata e sterile, odora di Max.