Premio Racconti nella Rete 2023 “Un anno fa, oggi” di Marco Sgroi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Il vento accarezza il mare.
È un vento di terra blando.
Increspa appena la superficie.
Scivola controcorrente sulla natura. Il suono che produce soffiando è quasi impercettibile, ma s’insinua ovunque.
Attraversa ogni pensiero.
Il cielo è lì, che sta per arrendersi alla penombra. Lontano, sottili nuvole rosa, giusto un passo sopra l’orizzonte, spingono il sole al tramonto, verso la linea dell’acqua. Giocano a nascondere quel punto dai contorni ormai slabbrati, incandescente e basso, muovendosi lente. Paiono stanche, ma di una stanchezza appagata. Piena. Bella.
Seduto sulla sabbia, faccio ruotare una fotografia, tenendola sul palmo di una mano. La guardo; poi guardo avanti. La riguardo. Poi mi fermo. Rovescio l’inquadratura. La rimetto dritta. L’aria, leggera, cede ossigeno ai polmoni e all’anima.
Sento il mio respiro.
Un’ora fa viaggiavo in macchina.
Solo.
Diretto altrove.
Poi il nastro sciolto di un ricordo mi ha inseguito, mi ha raggiunto lungo la strada e mi ha riportato qui, su questa spiaggia, tutta segnata da orme invisibili.
Adesso.
Dopo aver camminato lungo un sentiero di canne secche, riavvolgo il filo. Ti cerco, fra le dune e il mare, dove ovviamente non sei. Ad occhi chiusi, ti cerco; e vedo bene le tracce, ma poi li riapro e non ci sei.
Lo scheletro della barca, invece, è sempre lì, dov’era l’anno scorso. Il relitto, che tirai a riva con degli sconosciuti, per sottrarlo alla marea della sera, mentre tu sorridevi, mi guarda di traverso. I suoi occhi sono quel che resta di un paio d’oblò sbilenchi. Coricato com’era, è ancora.
Mostra il fianco sinistro, quello di babordo, compromesso in chissà quale navigazione. Ormai è una carcassa. Il suo profilo, in quest’ultima controluce del giorno, sussurra qualcosa alle orecchie. Sono echi vaghi di risate lontane. Le sento distintamente, portate dal riverbero leggero del vento che tutto avvolge.
Dal silenzio, emerge la tua voce.
Oscilla.
Ma è un segnale capriccioso, che va e che viene. È appena un sibilo. Tanto basta. La punta della memoria d’improvviso sbanca, salta, dopo aver beccheggiato sulle onde, in sfida confusa fra correnti contrastanti.
Il movimento dà una stretta allo stomaco. È doloroso, ma ad un tempo consola.
C’è un gruppo di ragazzi che gioca sulla spiaggia. Li guardo. Sono un altro universo, altre galassie, altre stelle. Li scruto. Osservo meglio.
No. Né tu, né io siamo fra loro. E non potrebbe essere diversamente, perché il nostro attimo non è adesso.
È stato un anno fa, oggi. In questo luogo e a quest’ora. Ma non adesso.
Non c’è, adesso, alcuna entità, ultima e indivisibile, in cui fondersi.
Tu ed io.
Non c’è la tua mano che copre la mia e appartiene a noi. Al suo posto, c’è una marea invisibile che sale da dentro e vuole prendersi il mio corpo di naufrago. Il movimento di quest’acqua interiore è costante, ipnotico, in ascesa.
Sono fermo, seduto sulla sabbia, guardo avanti e lentamente affondo.
Senza pietà, gli occhi si piantano nel cuore e lo portano ancora più lontano. Corrono verso un momento preciso, oltre l’orizzonte ormai completamente colorato. Lo rivogliono. Io lo rivoglio.
Lo rivorrei.
Vorrei che, soltanto per un attimo, lui, tu, noi, io, esistessimo ancora una volta. Assieme. Affannosamente, vorrei vederci risorgere nelle pieghe di questo paesaggio, riabbracciare quel momento, con la felicità di chi ritrova una cosa persa.
Vorrei.
Ma è un desiderio solitario e vano. Una congiunzione che non può riuscire. L’esile speranza di una magia estiva si risolve, così, in un numero d’illusionismo impossibile.
Non resta allora che annusare il succo evaporato della grazia che ricevemmo e provare a respirarlo per rivivere, nel ricordo, i frantumi di un istante che è stato tanto semplice e tanto pieno di bellezza. Regalata. Inaspettata.
Il relitto, le risate e gli sguardi che s’accarezzano, mentre la luce del giorno cade e, spegnendosi, si fa livida sul piccolo mondo di mare attorno e sulla nostra pelle salata.
Un bacio, due baci, poi mille.
Io che fotografo te e le isole in lontananza, nell’ultimo bagliore di quel tramonto.
Ora quella fotografia è nella mia mano destra. La giro e la rigiro. La osservo, come si fa con un feticcio o con un cimelio.
Mentre la mia mente si agita, tu nell’immagine sei incredibilmente ferma. Sei di tre quarti, con il corpo ambrato in posa, appena uscita dall’acqua, coperta dal poco tessuto di un costume nero e bagnato. E un sorriso leggero, appena accennato, colora i tuoi occhi.
Guardo dietro e oltre la fotografia, ma ormai è andata. Nel poco tempo che ci siamo concessi, mai abbiamo parlato di quell’istante. C’è bastato viverlo. Abbiamo scelto cosi. E alla fine, forse, è stato meglio.
Lancio un ultimo sguardo nel buio della sera, che ormai s’è fatta. È tempo di andare via da questa festa solitaria. Mi alzo e consegno al mare aperto questo stravagante anniversario.
Scuoto via la sabbia dai pantaloni e percorro il sentiero di canne, a ritroso, verso la macchina.
La notte calda appena accesa ha portato via tutto. Il sapore sublimato di quel piccolo attimo d’amore eterno sfuma nell’oblio dei ricordi. Si decompone nel dolceamaro delle zagare tardive e nel profumo del gelsomino, che ad ogni passo ubriaca le narici.
Bello,molto efficace ed originale l’intersecarsi delle frasi in corsivo,una poesia breve dentro il racconto
Racconto poeticamente melanconico.
BravBravo.
Racconto poeticamente melanconico.
Bravo.
Grazie
Un’elegia in cui è impossibile non immedesimarsi. Diventiamo anche noi parte di quell’orizzonte, di quel mare, di quel tramonto, parte di quel ricordo.
Grazie Simona
Bel racconto… intenso, profondo, elegante… in cui ci si immedesima via via che procede, riga dopo riga. Complimenti!
Concordo con chi ha detto che non è difficile immedesimarsi nella narrazione. Una nostalgia raccontata che si fa man mano sempre più vivida, che commuove ma che lascia comunque una scintilla nell’anima, anche di chi legge! Molto bello!
Grazie!